Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Abitare l’età della tecnica. Memoria, culture, immaginario.

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CONVERSAZIONI IN S.BARNABA – Brescia

A cura del Museo dell’Industria e del Lavoro “Eugenio Battisti” e della Fondazione “Luigi Micheletti” di Brescia.

Ancor prima che volgesse al suo termine, il Novecento aveva denunciato il suo carattere di “secolo breve”, e insieme  denso di fatti e di trasformazioni tanto radicali da indurre la percezione di uno stacco: non una “fine della storia”, ma senz’altro un irreversibile andar oltre. Non soltanto sul piano politico ed economico, con il venir meno della dialettica tra potenze che si interpretavano come contrapposte e che avevano segnato tanta parte del secolo, ma anche su quello delle culture, delle mentalità, dei comportamenti quotidiani e degli orizzonti di senso.

Come in ogni passaggio, anche in questo si è insinuata l’esigenza di un bilancio, che è sembrato per molti versi condizionato dal sospetto di uno scacco: “Paradossalmente – osserva lo storico – un’epoca, la cui unica pretesa di aver portato benefici all’umanità si fondava sull’enorme trionfo del progresso materiale, ottenuto grazie alla scienza e alla tecnologia, finiva con il rifiuto del sapere scientifico-tecnologico da parte di consistenti fette dell’opinione pubblica e da parte di coloro che si ritengono le menti pensanti in Occidente. (…) Il mondo è permeato da una tecnologia rivoluzionaria in costante progresso, basata sui trionfi della scienza (…). Perché, dunque, il secolo non è finito con la celebrazione di questo progresso meraviglioso e incomparabile e invece si diffonde un senso di disagio e di inquietudine?” (Hobsbawm).

Non diversamente, il filosofo, partendo dalla constatazione inevitabile che “il Novecento ha coniugato insieme progresso e catastrofe”, si chiede se sia “possibile ipotizzare una ripresa del progresso oltre la catastrofe” o se invece “la catastrofe [abbia] definitivamente disvelato le illusioni del progresso, il progresso stesso come illusione” (Natoli).

Certamente in queste domande echeggiano processi di portata epocale, destinati a caratterizzare il XXI secolo: l’occidentalizzazione del mondo e l’insorgere dei localismi etnici; la crisi ambientale e l’aumento delle diseguaglianze, fra Nord e Sud del mondo e all’interno dello stesso Nord; la guerra tornata al ruolo di ordinario strumento di confronto fra gli stati; l’eclissi del sacro e il perdurare di una domanda di senso che attraversa le dinamiche della secolarizzazione. Sono appunto i temi sui quali hanno richiamato l’attenzione  gli “Incontri in Loggia” negli anni scorsi. E’ dunque il proseguimento di un discorso avviato quello che si propone nelle otto conversazioni che si terranno nella primavera del 2000, non con la pretesa di concludere una riflessione, ma di arricchirla accogliendo un punto d’osservazione capace di approfondire i motivi dell’inquietudine nella quale il XX secolo si è concluso, di evidenziarne il colore nella sensazione di un ritardo, nell’impressione diffusa di essere sempre meno all’altezza dei tempi, che questi ci sopravanzino, o forse ci abbiano già sorpassato: “Ogni rimpianto, ogni disaffezione al nostro tempo ha del patetico”, osserva Umberto Galimberti. “Ma nell’assuefazione con cui utilizziamo strumenti e servizi che accorciano lo spazio, velocizzano il tempo, leniscono il dolore, vanificano le norme su cui sono state scalpellate tutte le morali, rischiamo di non chiederci se il nostro modo di essere uomini non è troppo antico per abitare l’età della tecnica”.

La “dominazione che la tecnica esercita”, dunque, “su tutto ciò che vorrebbe ridurla alla funzione di mezzo”, come sostiene Emanuele Severino; l’instaurarsi del potere della tecnica come processo che – portando a compimento la sostituzione fra mezzi e fini – ne fa un Assoluto, oltre le ideologie, lo Stato, l’economia, la Storia stessa, tendenzialmente ridotta a “memoria procedurale”. Un destino, perciò, inevitabile in quanto già inscritto nella tradizione occidentale, o un fenomeno, per quanto pervasivo, e reso tanto più difficilmente contrastabile dalla scientificizzazione della tecnica e dalla tecnicizzazione della scienza, “centrale solo in quanto è inserito in un contesto sociale e nella storia”, come afferma Serge Latouche? E dunque una “razionalità economica” come base perdurante e insuperata della ricerca tecnoscientifica?

Se, al di là delle divaricazioni che segnano le diverse posizioni, è comune il riconoscimento che non di uno spostamento culturale si tratta quando si constata il potere crescente della tecnica, ma di una mutazione pervasiva, già all’opera nella vita quotidiana di vasta parte dell’umanità, risulta evidente che le vie percorribili per scongiurare quella sensazione, fondata, di non essere all’altezza dei tempi, devono andare oltre il pur decisivo riconoscimento di alcuni presupposti di fondo – siano questi la “comprensione del senso autentico dell’inevitabilità del processo che dalla tradizione conduce alla tecnica” (Severino); un “ampliamento psichico” in grado di evitare all’uomo che “la tecnica avvenga a sua insaputa” (Galimberti); un'”etica del finito all’altezza, se non di vincere, certamente di fronteggiare la puntualità e contingenza delle sfide tecnologiche” (Natoli); una “decolonizzazione dell’immaginario”, nel quale la “Megamacchina” si è ancorata, al fine di “neutralizzare i pericoli potenziali di questa creatura” (Latouche).

Andare oltre l’indicazione di una fatalmente elitaria acquisizione di consapevolezza culturale, significa porre il tema della tecnica come centrale nei processi di formazione, “al centro di ciò che nella nostra scuola (e non solo nella nostra) deve essere saputo”: “affinché un popolo come il nostro – scrive Severino – non viva in sogno, al centro del suo sapere deve trovarsi la ‘tensione’ che sussiste tra i valori della tradizione occidentale e la civiltà della scienza e della tecnica; la tensione che è ‘scontro’, lotta e, insieme, ‘implicazione’, legame”.

In una società nella quale il ruolo della scuola nella formazione si fa sempre meno esclusivo, è tuttavia necessario allargare il discorso ad altri strumenti.

Fra questi, i musei della scienza e della tecnica, o dell’industria e del lavoro, come quello che si realizzerà a Brescia, nel cui progetto si inscrive anche questo ciclo di conversazioni. Passare ad esaminare progetti in via di realizzazione ed esperienze già in corso significa allora proporre una fondamentale articolazione del discorso sin qui sviluppato: è possibile una storia della tecnica che non si risolva nell’apologia acritica della sua affermazione o, viceversa, nella sua demonizzazione? la memoria storica, quella dell’evoluzione tecnico-scientifica in particolare, può mantenere un ruolo autonomo e critico nell’epoca in cui la “memoria procedurale” della tecnica sembra tradurre “il passato nell’insignificanza del ‘superato'”? a quali modalità di comunicazione devono oggi ricorrere i musei per non risolversi in stanche e superflue riproposizione del mito del Progresso e quale contributo specifico possono offrire nel confronto ineludibile con la tecnica? ricostruire anche attraverso oggetti materiali – secondo lo statuto dell’istituzione museale – i radicali cambiamenti indotti dalla rivoluzioni industriali che hanno investito il mondo può proporsi come un modo per sollecitare una maggiore consapevolezza rispetto alla grande trasformazione che si svolge sotto i nostri occhi?

 Calendario degli incontri  (inizio ore 17,45)

 17 marzo

  UMBERTO GALIMBERTI (Università di Venezia)

 L’uomo nell’età della tecnica 

 24 marzo

 GIULIO GIORELLO (Univeristà di Milano)

 Scienza e tecnica: un confronto aperto

 29 marzo

 SERGE LATOUCHE (Università di Parigi XI)

 La tecnica e l’occidentalizzazione del mondo

 7  aprile

 SALVATORE NATOLI (Università di Milano)

 Progresso e catastrofe

 14 aprile

 LOUIS BERGERON (Presidente del Ticcih – The International 

Commitee for the Conservation of the Industrial Heritage)

 La memoria e la tecnica: significati e obiettivi per i musei  del XXI secolo

 28 aprile

 GIOVANNI LUIGI FONTANA (Università di Padova)

 Patrimonio storico-industriale, reti museali e sviluppo   locale

 MASSIMO NEGRI (Direttore dell’European Museum Forum)

 I bambini e l’ambiente museale

 5  maggio

 EUSEBI CASENELLES (Direttore del Museo della scienza e della  tecnica della Catalogna)

 Memoria dell’industrializzazione e identità collettiva

 19 maggio

 VALERIO CASTRONOVO (Università di Torino; Presidente del  

 Museo dell’industria e del lavoro di Brescia)

 EMANUELE SEVERINO (Università di Venezia)

 VITTORIO MARCHIS (Politecnico di Torino)

 La formazione nell’età delle tecnica

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