“Commodities” è una parola inglese, ma ormai internazionale, che indica le merci e le materie prime da cui dipende la possibilità che ciascuno di noi ha di trovare nell’edicola questo giornale, nei distributori la benzina o il gasolio, negli scaffali dei negozi la pasta o le scatolette di conserva di pomodoro. Gli innumerevoli oggetti del consumo quotidiano dipendono da un gigantesco flusso di “commodities”, diecine di miliardi di tonnellate all’anno nel mondo. Esistono delle speciali borse-merci in cui viene fissato il prezzo, ora per ora, di ciascuna di tali “commodities” che comprendono minerali metallici, fonti energetiche come carbone, petrolio, gas, metalli come oro e platino, ma anche zinco e stagno, prodotti agricoli come frumento, zucchero, pancetta di maiale, legname, eccetera.
Un film del 1983, “Una poltrona per due” (il titolo originale è “Trading places”, borse-merci), è ambientato nella borsa merci di Filadelfia, negli Stati Uniti e permette di dare, sia pure ironicamente, un’occhiata al clima nevrotico delle transazioni e speculazioni sulle “commodities”. Gli sbalzi dei prezzi delle materie prime dipendono da molti fattori, alcuni dei quali di natura ambientale; basta un grave incidente in una miniera o in un pozzo petrolifero perché i prezzi di metalli o petrolio aumentino bruscamente; basta la scoperta di un nuovo giacimento di stagno o di terre rare per far diminuire il prezzo della banda stagnata o dei telefoni cellulari.
Il consumatore finale, come ciascuno di noi, sente relativamente poco o con ritardo, simili sbalzi di prezzo. È difficile, per esempio, capire come il graduale aumento del prezzo della benzina dipende dal prezzo della materia prima, il petrolio greggio, il quale a sua volta dipende da eventi politici: le rivolte in Libia o le minacce iraniane sul traffico attraverso lo stretto di Ormuz (quello che separa il Golfo Persico dal Mare Arabico e attraverso cui passa un terzo di tutto il petrolio mondiale trasportato per mare). E ancora meno si riesce a capire quale ruolo abbia il graduale impoverimento delle riserve petrolifere mondiali. A noi interessa che la benzina arrivi al distributore, ma nessuno spiega che ciò è reso possibile soltanto perché continui e costosi perfezionamenti tecnici consentono di raggiungere giacimenti sempre più profondi, a migliaia di metri di profondità, in mezzo a paludi e deserti e nel mare aperto, e di trasportare il petrolio attraverso oleodotti stesi sotto i mari o nelle steppe ghiacciate.
I problemi della scarsità e dei prezzi crescenti riguardano praticamente tutte le materie prime, sia minerarie, sia agricole e forestali. Per esempio, la crescente richiesta di carburanti “rinnovabili”, alternativi alla benzina e al gasolio, tratti dai prodotti agricoli fa diminuire la disponibilità dei prodotti alimentari e fa aumentare il prezzo di cereali come grano e mais, della soia e dei grassi. L’impoverimento dei giacimenti di minerali essenziali, da quelli metallici a quelli che forniscono fosfati e sali potassici per i concimi agricoli, si sta facendo sentire. I giacimenti di fosfati delle isole del Pacifico, come Nauru e la australiana Isola del Natale, sono stati sfruttati così intensamente che ormai sono esauriti.
Un recente libro di Ugo Bardi, un chimico professore nell’Università di Firenze, “La Terra svuotata. Il futuro dell’uomo dopo l’esaurimento dei minerali”, Roma, 2011, Editori Riuniti University Press, contiene numerose informazioni sull’impoverimento delle riserve dei giacimenti di molte materie prime. Le statistiche della produzione mostrano chiaramente che la quantità estratta nel corso degli anni dapprima aumenta rapidamente, poi raggiunge un massimo, un picco, poi declina. La “paura” per il carattere generale di questo fenomeno è cominciata nel 1956 quando un geologo americano, King Hubbert (1903-1909) ha avvertito che i giacimenti petroliferi americani, quelli favolosi del Texas e della California, dove era nata l’”età del petrolio”, si stavano svuotando.
Finora il declino delle riserve di materie prime non ha fermato il cammino delle economie mondiali; altre materie sono state scoperte, nuove invenzioni hanno permesso di far fronte ai problemi di scarsità. Finora gli aumenti dei prezzi conseguenti la crescente scarsità delle “commodities”, sono ricaduti principalmente sui paesi e sulle classi povere, ma oggi si fanno sentire anche nei paesi più industrializzati. La soluzione va cercata in innovazioni tecniche e nel cambiamento dei consumi, scelte che potranno essere affrontate con coraggio e lungimiranza se si avranno migliori conoscenze della geografia e della merceologia delle “commodities”, dei rapporti fra le persone e le risorse della natura. Occorre cominciare nella scuola e nell’informazione del pubblico perché tali informazioni arrivino ad influenzare le decisioni politiche ed economiche.