Cento anni fa moriva a Parigi Herman Frasch, il chimico americano che ha distrutto l’economia mineraria siciliana dell’Ottocento. Dai tempi antichi, e poi in tutto il Medioevo e nel corso dell’Ottocento la Sicilia, con le sue miniere di zolfo, ha occupato la posizione di monopolista di una delle più importanti materie prime industriali, qualcosa come i paesi petroliferi oggi. Lo zolfo era già noto dall’antichità. I romani facevano estrarre lo zolfo dalle miniere siciliane usando schiavi e prigionieri di guerra, destinati a breve vita per le inumane condizioni di lavoro; i cinesi avevano scoperto che lo zolfo era un ingrediente necessario della polvere da sparo. Più tardi gli alchimisti hanno imparato ad ottenere dallo zolfo un potente liquido corrosivo, il vetriolo, che sarebbe poi stato riconosciuto come acido solforico, proprio quello indispensabile alla successiva industria chimica europea per produrre detersivi e altre merci.
In molte zone della Sicilia lo zolfo si trova nel sottosuolo, frammisto a solfato di calcio, il gesso, sabbie e altre rocce; all’inizio dell’Ottocento, quando è aumentata la richiesta di zolfo da parte di Francia e Inghilterra, i proprietari delle miniere sono stati investiti da un’ondata di ricchezza, usata male; non sono stati fatti investimenti per migliorare il processo di escavazione del minerale e di estrazione dello zolfo, operazioni dannosissime per i minatori e fonti di inquinamento atmosferico. I prezzi variavano capricciosamente destando la protesta degli importatori inglesi che addirittura fecero arrivare una flotta militare per imporre al re delle Due Sicilie di mettere ordine in questa produzione. Anche dopo l’avvento del regno d’Italia la situazione dell’estrazione e del mercato dello zolfo siciliano restò disordinata e turbolenta, una sorta di capitalismo selvaggio e imprevidente.
Intanto dall’altra parte dell’Oceano Herman Frasch, un giovane chimico di origine tedesca, nato nel 1852 e emigrato a 18 anni negli Stati Uniti, aveva deciso di cercare una soluzione che permettesse di recuperare lo zolfo che alcuni cercatori di petrolio avevano trovato nel sottosuolo della Lousiana, lo stato che si affaccia nel sud degli Stati Uniti, sul Golfo del Messico. Si trattava di uno strato di zolfo puro, qualche centinaia di metri sotto sabbie e rocce e acqua; molti avevano tentato senza successo di raggiungerlo e portarlo in superficie. Partendo dalla sua esperienza di estrazione del petrolio, con la quale aveva già fatto una certa fortuna, Frasch applicò la stessa tecnica e nel 1890 brevettò il processo che avrebbe trasformato gli Stati Uniti da paese importatore di zolfo a paese esportatore di questa materia strategica.
Lo zolfo è un metalloide giallo solido che fonde a circa 115 gradi Celsius, una temperatura di poco superiore a quella di ebollizione dell’acqua, cento gradi. Il metodo Frasch consisteva nel far arrivare nel giacimento sotterraneo di zolfo, due tubi concentrici; in quello esterno veniva iniettato vapore a circa 150 gradi che faceva fondere, nel sottosuolo, lo zolfo; la stessa pressione del vapore faceva salire, attraverso il tubo centrale, lo zolfo fuso fino in superficie dove solidificava come zolfo purissimo. Gli industriali siciliani ebbero notizia della scoperta di giacimenti di zolfo negli Stati Uniti ma furono lenti a capire l’enorme potenziale di questo concorrente; e fecero male perché nel 1905 lo zolfo americano che sbarcò in Europa costava la metà di quello siciliano.
Frasch creò una sua società, la Union Sulfur Company, in un paesino della Lousiana che prese il nome di Sulfur, zolfo, una delle poche città del mondo che hanno il nome di un elemento chimico. Il giacimento di Frasch si esaurì dopo alcuni anni ma molti altri furono sfruttati con lo stesso processo. Frasch, ormai ricco, era celebrato come il “re dello zolfo”, uno dei grandi inventori del Novecento. La produzione di zolfo americano col processo Frasch aumentò subito rapidamente e invase i mercati mondiali e l’industria zolfifera siciliana fu colpita a morte; sopravvisse durante il fascismo, grazie alla politica autarchica, ma le miniere chiusero definitivamente negli anni cinquanta del Novecento dopo aver raggiunto una produzione massima di mezzo milione di tonnellate all’anno e aver causato innumerevoli dolori ai lavoratori e gravi inquinamenti. Ma anche la produzione dello zolfo Frasch declinò fino a scomparire, dopo un secolo, per la concorrenza dello zolfo ricavato dalla depurazione del petrolio e del gas naturale, imposta dalle leggi contro l’inquinamento atmosferico.
La storia di Frasch e dello zolfo insegna varie cose: la produzione industriale dipende da materie prime che possono essere tratte soltanto dalla natura; la natura è un “serbatoio” grandissimo di materie utili per le necessità umane, ma le sue riserve non durano a lungo e sono destinate ad esaurirsi. Un processo produttivo è esposto alla concorrenza di altre innovazioni e una politica industriale deve stare bene attenta ai segni di scoperte e innovazioni, all’inizio apparentemente insignificanti, ma che si rivelano poi rivoluzionarie.
Infine la storia personale di Frasch mostra che il successo arride alla mente preparata, a chi osserva attentamente il mondo naturale e industriale circostante e i suoi mutamenti. Auguro a molti giovani chimici di avere la stessa attenzione e successo del loro collega Frasch.
10.6.2014