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L’agricoltura biologica in Italia: il punto della situazione

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In Italia l’agricoltura biologica è passata in poco più di un ventennio da una nicchia marginale e variegata di “pionieri” ad un settore strategico in forte crescita, in controtendenza rispetto all’andamento stabilmente depresso dell’economia, anche di quella agroalimentare.

Il “successo” dell’agricoltura biologica è del resto una storia internazionale. Iniziata come protesta contro l’industrializzazione dell’agricoltura negli anni Venti, l’agricoltura biologica ha oggi acquisito una forza considerevole ed è presa in seria considerazione da agricoltori, consumatori, trasformatori, distributori, regolatori e scienziati in tutto il Mondo.

In questo quadro globale estremamente positivo, il nostro paese spicca per un dato fondamentale: la quota del territorio agricolo coltivata secondo il metodo biologico.

Sulla base dei dati recentemente forniti dal Sinab (il sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica realizzato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dalle Regioni), in Italia sono oggi coltivati a biologico circa 1,3 milioni di ettari, oltre il 10% della superficie agricola utilizzata! Un dato eccezionale se si pensa che solamente Spagna, Germania e Uruguay seguono con rapporti intorno al 7%. Gli Stati Uniti, per intenderci, destinano al biologico solo 0,6% della loro superficie agricola: 1,9 milioni di ettari. Più dell’Italia in termini assoluti ma pochissimo in termini relativi, se poi si pensa che mercato interno statunitense sviluppa un giro di affari di 21 miliardi di euro, che rappresenta la metà del mercato biologico mondiale.

Il recente e dettagliato Bioreport 2013, disponibile sul sito del Sinab, traccia un quadro completo dell’agricoltura biologica in Italia, fornendo dati e spunti estremamente interessanti. Il censimento dell’agricoltura del 2010 ha per la prima volta rilevato dati di dettaglio delle aziende agricole biologiche italiane permettendo ai redattori del report di tratteggiare il profilo delle aziende biologiche italiane e di compararlo con quello delle aziende totali (biologiche e convenzionali insieme).

In Italia le aziende agricole sono localizzate prevalentemente in collina (60,7% ) e in montagna (20,8%) e hanno dimensione media (27,7 ha) molto maggiore della dimensione media nazionale (7,9 ha). Questo fatto si spiega con la vocazione estensiva del biologico e per il più alto ricorso all’affitto dei terreni agricoli in un contesto come quello collinare e montano da decenni caratterizzato dal fenomeno dell’abbandono.

Seppur localizzate prevalentemente in aree marginali, le aziende agricole biologiche sono gestite da imprenditori mediamente più giovani e più istruiti e presentano elementi di forte innovazione. Rispetto al totale della aziende agricole, le aziende biologiche fanno più frequentemente utilizzo di sistemi informatici, hanno una attività aziendale maggiormente diversificata (più alta presenza di agriturismi, attività ricreative e sociali, fattorie didattiche, trasformazione aziendale dei prodotti), sono più orientate alla vendita dei propri prodotti attraverso canali commerciali diversificati (vendita ad aziende di trasformazione e ad aziende commerciali anche estere, vendita diretta in spacci agricoli, farmers’ market, GAS, e-commerce). Completa il quadro comparativo effettuato con i dati del censimento, un maggiore ricorso nelle aziende agricole biologiche al lavoro salariato, un più elevato livello di produzione per azienda, una più alta incidenza di realtà agricole che uniscono coltivazione e allevamento.

Dai recenti dati forniti dal Sinab (Bio in cifre 2014) si evince che nel corso del 2013 la superficie agricola biologica ha fatto un altro sorprendente salto del 13%, arrivando a 1.317.177 di ettari, superando per la prima volta il picco storico del 2001, un periodo in cui soprattutto a seguito degli allarmi sulla “mucca pazza” si scatenò improvvisamente il fenomeno del “bio che boom”.

Prati e pascoli, colture foraggere, cereali e olivicoltura rappresentano i principali orientamenti produttivi del biologico italiano in termini di utilizzo della superficie. Anche la vite e le produzioni ortofrutticole occupano superfici significative. I terreni agricoli biologici sono localizzati principalmente nel Sud Italia (Sicilia, Puglia, Sardegna, Calabria), segue per importanza il Centro Nord (Toscana, Lazio, Emilia Romagna). I trasformatori certificati per la preparazione di alimenti biologici sono ubicati prevalentemente nelle regioni di Centro Nord (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto).

A fronte di questa dinamica estremamente positiva del comparto produttivo, fortemente sostenuta dai finanziamenti europei all’agricoltura biologica, da anni la crescita della domanda supera quella dell’offerta. Sulla base dei dati elaborati di recente dall’Ismea, gli acquisti domestici di biologico confezionato presso la grande distribuzione organizzata nei primi cinque mesi di quest’anno sono aumentati del 17,3%, a fronte della flessione del-1,4% della spesa agroalimentare delle famiglie nello stesso periodo. Il più alto incremento del biologico degli ultimi dodici anni. Solo nel 2002, quando anche le grandi catene di supermercati iniziarono a sviluppare propri prodotti a marca commerciale “bio”, ci fu un aumento così rilevante delle vendite in questo canale commerciale. Recentemente anche alcune catene di discount hanno iniziato a vendere prodotto biologici a proprio marchio.

I consumatori italiani, come quelli europei, statunitensi, australiani, neozelandesi apprezzano sempre di più il prodotto biologico, sia per le sue valenze nutrizionali che per le sue valenze etiche e ambientali (maggior, benessere animale, aumento della biodiversità, minore consumo di combustibili fossili, minori emissioni di gas serra, aumento del contenuto organico del suolo, miglioramento della qualità delle acque) . Lo scorso anno la Commissione Europea ha promosso una consultazione pubblica sul riesame della normativa vigente alla quale hanno risposto soprattutto cittadini. Da questa consultazione è emerso che per l’81% degli intervistati l’assenza di OGM costituisce una motivazione importante per consumare biologico (il regolamento vigente stabilisce una soglia di tolleranza dello 0,9%, fatto che nel 2007 al tempo dell’approvazione suscitò accese polemiche).

Dato che la produzione non ha potuto seguire gli incrementi a volte repentini della domanda, nel corso dell’ultimo decennio è fortemente aumentato il ricorso alle importazione di prodotti biologici, soprattutto per supplire alle necessita dell’agro-industria e della mangimistica. In un contesto caratterizzato da consumatori sempre più disponili ad acquistare prodotti più costosi, purché biologici, e una produzione nazionale ed europea incapace di soddisfare completamente questa domanda in crescita inarrestabile, purtroppo si sono verificati in Italia dei casi “colossali” di frode, che rappresentano l’intento vergognoso e criminale di chi vuole approfittare del “valore” del biologico italiano, a grave danno dei consumatori e dei produttori.

Grazie all’efficace collaborazione tra Guardia di Finanza e ICQRF (Ispettorato Centrale per la Tutela della Qualità e la Repressione delle Frodi ) dal 2011 sono state scoperte delle vere e proprie organizzazioni criminali che hanno immesso nel mercato nazionale ed europeo delle grandi quantità di alimenti e mangimi falsamente biologici (anche contaminati con sostanze non ammesse nell’agricoltura convenzionale e ad alta presenza di OGM). I nomi delle operazioni ormai hanno esaurito la fantasia degli investigatori: Gatto con gli Stivali, Green War, Bio Bluff, Vertical Bio, Aliud Pro Olio…

Il sistema di controllo basato sull’attività di organismi di certificazione privati e sul coordinamento ministeriale ha mostrato delle debolezze imbarazzanti, sulle quali l’Italia è stata costretta ad intervenire con modifiche normative importanti che hanno, ad esempio, portato alla creazione di un unico Sistema Informativo Biologico (SIB) gestito direttamente dal MIPAAF.

Del resto anche a livello europeo ci si è resi conto che alcuni aspetti, come i controlli delle importazioni, non possono essere basati solamente su evidenze documentali, rivolte a “fare quadrare le carte”. E’ in questo quadro che deve essere letta la proposta di modifica del regolamento europeo sul biologico, che è seguita alla consultazione pubblica promossa dalla Commissione, dove si ipotizza, ad esempio, una rivoluzione copernicana del sistema di controllo delle importazioni con il passaggio del “focus” ispettivo dall’analisi (documentale) del processo all’analisi (chimico-fisica) del prodotto.

A parte alcuni aspetti effettivamente discutibili di questa proposta di modifica del regolamento sul biologico, come l’eliminazione delle aziende miste (biologiche e convenzionali), dato la situazione fino qui illustrata, chi scrive non condivide la posizione di rigetto totale di tale iniziativa, recentemente espressa da quella parte del biologico italiano, maggiormente rappresentativa degli interessi degli organismi di controllo e del mondo della trasformazione e del commercio.

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