Per la serie crescita e declino delle merci l’ecologia ha assassinato un altro dei grandi successi della tecnica, la lampada ad incandescenza, accusata di consumare troppa elettricità. Col passare del tempo e con la crescita dell’attenzione per la sicurezza, la vita e l’ambiente molte merci di grande successo in passato sono state condannate a morte. Si pensi al DDT, salutato come la sostanza chimica che ha sconfitto la malaria, il cui uso è stato vietato dopo che si è scoperto che, per il suo carattere persistente, non biodegradabile, era in grado di intossicare molti esseri viventi e anche gli umani; il mercurio, che ha consentito la nascita dell’industria chimica e della produzione del cloro e che è stato impiegato per decenni nei bulbi dei termometri, è destinato a scomparire a causa della sua elevata tossicità; il piombo tetraetile, l’additivo per benzine che ha permesso decisivi progressi verso automobili più veloci e potenti, è stato bandito per la sua pericolosità e tossicità per i lavoratori e per l’aria urbana.
In altri casi è stata la maggiore comodità a uccidere vecchi, sicuri oggetti; i computers hanno fatto sparire le macchine per scrivere e le calcolatrici meccaniche; i telefoni mobili hanno soppiantato i telefoni fissi e anche le cabine telefoniche; la posta elettronica sta cancellando l’abitudine di inviare lettere per posta. Si potrebbe scrivere una storia della tecnica proprio esaminando come e perché alcune merci hanno avuto un grande successo, talvolta un breve successo, e poi sono scomparse. È tutta gloria? Le merci “morte” talvolta avevano un proprio valore e una propria comodità; di alcune si assiste alla resurrezione in altra forma, talvolta proprio grazie all’ecologia.
Dal settembre commercio di quest’anno non saranno più in vendita le lampada ad incandescenza da 60 watt; dal 2009 sono scomparse quelle da 100 watt; dal settembre 2010 quelle da 75 watt; l’anno prossimo scompariranno quelle da 40 e 25 watt. Una decisione, presa in seguito ad una disposizione europea motivata dal fatto che le lampade ad incandescenza consumano “troppa” elettricità e che il loro uso contribuisce all’effetto serra. E’ vero che l’elettricità consumata dalle lampade si trasforma in “luce” solo per il 20 percento, mentre l’80 percento viene dissipata sotto forma di calore all’esterno; eppure quando sono state inventate e sono entrate in commercio sono state salutate come il vero nuovo segno della “civiltà”.
La luce è il “bene” più grande che gli esseri umani si siano conquistati. Per milioni di anni l’unica fonte di luce è tata quella diurna del Sole; le notti e le caverne sono rimaste buie fino a quando qualcuno non ha scoperto che era possibile accendere la legna e con questo avere luce anche quando il Sole è tramontato; la luce teneva lontani gli animali nemici e allontanava la paura. Poi è cominciato il cammino della civiltà con la scoperta che anche il grasso di animali bruciava con una fiamma luminosa, che una bella luce poteva essere ottenuta con le candele di cera, e poi, ma ormai siamo in tempi vicino a noi, che la luce poteva essere ottenuta con lampada in cui veniva bruciato il gas di carbone, il “gas illuminante”, appunto, e poi il grasso di balena e poi ancora il cherosene ottenuto distillando il petrolio greggio.
La vera grande svolta si è avuta con l’utilizzazione dell’elettricità. È stato il chimico inglese Humphry Davy (1778-1829) che nel 1802 ha scoperto che, facendo passare la corrente elettrica attraverso un sottile filo di platino, questo emetteva una intensa luce; purtroppo il filamento di platino durava poco. Lo stesso Davy scoprì, nel 1809, che una intensa luce poteva essere ottenuta facendo passare una corrente elettrica fra due elettrodi di carbone; il principio sarebbe stato utilizzato su scala limitata nella lampade ad arco, usate per un secolo nei proiettori cinematografi. Ma la vera svolta verso le moderne lampade ad incandescenza si ebbe nel 1835 quando il fisico scozzese James Lindsay (1799-1862) osservò che il filamento di platino, attraversato dalla corrente elettrica, poteva emettere luce a lungo se era contenuto in un bulbo di vetro privato dell’aria e mostrò che, con la luce del nuovo dispositivo, era possibile leggere un libro a un metro di distanza.
Da allora il successo sarebbe dipeso soltanto dai perfezionamento dei sistemi per creare il vuoto entro bulbi di vetro, una tecnologia a cui aveva dato un contributo fondamentale l’italiano Evangelista Torricelli (1607-1647), e soprattutto per ottenere dei filamenti più duraturi. Il platino o l’iridio erano soddisfacenti, ma troppo costosi. Nella metà dell’Ottocento l’attenzione degli inventori si rivolse all’uso di filamenti di carbonio che è poco costoso, buon conduttore dell’elettricità e capace di fornire una bella luce. Gli esperimenti si rivolsero a utilizzare dei fili di cellulosa molto pura, come quella della canapa o del lino, che venivano trasformati in filamenti di carbonio puro ad alta temperatura.
Gli anni settanta dell’Ottocento videro una concorrenza spietata fra inventori, fra i quali emerse la figura di Thomas Edison (1847-1931) che nel 1878 brevettò la lampada che avrebbe avuto il successo definitivo e che fece di Edison l’”inventore” della lampada ad incandescenza, capace di fornire luce ininterrottamente per oltre mille ore. Da allora molti inventori perfezionarono i vari aspetti, soprattutto i processi per ottenere fili di carbonio. Anche il carbonio si rivelò un materiale non del tutto soddisfacente e nacquero le successive lampade con filamenti di osmio e di altri metalli con alto punto di fusione fino alla diffusione dei filamenti di tungsteno che si affermarono per tutto il Novecento. Altri inventori sostituirono il vuoto all’interno dei bulbi di vetro con una atmosfera rarefatta, dapprima di argon, poi di cripton, poi di xenon.
È difficile dire quante lampade ad incandescenza dei vari tipi sono stati prodotte nel mondo ma non si va lontani dal vero parlando di molte diecine di miliardi, il che ha rappresentato anche un grande mercato industriale e commerciale, attraversato da lotte di monopoli. L’unica vera concorrenza al grande mercato delle lampade ad incandescenza è stata offerta dalle lampade fluorescenti; comparse in commercio a partire dagli anni trenta del Novecento sono costituite, come tutti sanno, da tubi con due elettrodi e con la superficie interna rivestita di una polvere bianca. Nel tubo viene praticato un vuoto e immessa una piccola quantità, alcuni milligrammi, di mercurio che si libera allo stato di gas; la scarica elettrica attraverso questo mercurio gassoso produce una radiazione ultravioletta, non visibile, che colpisce il rivestimento interno da cui si genera una luce fluorescente bianco-azzurra. Poco costose, con basso consumo di elettricità, le lampade fluorescenti sono state usate largamente soprattutto per grandi locali, negli uffici, meno nelle abitazioni che hanno preferito la luce “più calda” delle lampade ad incandescenza.
Le lampade fluorescenti, perfezionate, si propongono adesso come surrogati delle lampade ad incandescenza in varie forme, in genere come lampade a basso consumo di elettricità. L’industria è riuscita a produrre lampade fluorescenti con attacchi a vite, adattabili quindi nei portalampade delle lampade ad incandescenza. È tutta gloria? Le lampade a basso consumo di energia pongono problemi alla fine della loro vita utile; bisogna evitare che finiscano nelle discariche e che il mercurio e i sali fluorescenti finiscano nell’ambiente; alcune industrie propongono lampade fluorescenti senza mercurio, altre ancora lampade con LED, dei “diodi”, piccole unità elettriche che emettono luce. Il campo delle invenzioni è tutto aperto. Alcuni si chiedono se veramente il risparmio energetico giustifica le enormi spese per l’acquisto di lampade alternative e guardano, con un po’ di nostalgia, alle vecchie lampade che ci hanno permesso, per tanti decenni, di leggere e scrivere e chiacchierare la sera intorno alla tavola.