Il nome di Robert Jungk a molti nostri contemporanei forse dice poco, benché si sia trattato di uno scrittore le cui opere hanno avuto un successo e un effetto grandissimi. Jungk era nato nel 1913 in Austria e aveva iniziato una fortunata carriera di giornalista; dopo l’occupazione nazista dell’Austria era dovuto fuggire in Svizzera dove aveva continuato a scrivere contro il nazismo passando un periodo anche in un campo di internamento svizzero. In questi anni ha potuto analizzare a fondo il destino e il futuro dell’umanità in un mondo dilaniato da stermini, massacri, dalla bomba atomica, dalla contrapposizione fra popoli e paesi.
Il suo primo libro di successo, “Il futuro è già cominciato”, del 1952, tradotto in italiano da Einaudi, lo fece conoscere in tutto il mondo e fu dedicato alla descrizione dei possibili futuri condizionati dalle nuove tecnologie, prima di tutto quelle nucleari, e alla propaganda della necessità di far prevalere la pace sugli egoismi, pena la distruzione e la contaminazione planetaria. In questo Jungk anticipava i temi che si sarebbero chiamati “ecologici”. Il libro successivo, del 1956, a mio parere il più bello, pubblicato in italiano col titolo: “Gli apprendisti stregoni”, descrive le contraddizioni e i dilemmi, le viltà e il coraggio degli studiosi che hanno trasformato il progresso della conoscenza della natura, nell’arma di sterminio di massa per eccellenza, la bomba atomica, la grande fonte di devastazione e alterazione dell’ambiente.
La storia degli scienziati atomici, è il sottotitolo del libro, mostra come la volontà di conoscenza possa essere asservita alla volontà di potere e come ben pochi scienziati abbiano avuto il coraggio di dire “no” alla costruzione di un’arma che ha condizionato e condizionerà la vita di miliardi di persone. Sarà vero che la costruzione e l’uso della bomba atomica hanno accelerato la fine della Seconda Guerra Mondiale, sarà vero che la sfrenata concorrenza nucleare fra Stati Uniti e Unione Sovietica ha di fatto impedito, per un intero mezzo secolo, una terza guerra mondiale, sarà vero che “la scienza” troverà una qualche soluzione per la sistemazione delle code avvelenate della grande macchina militare-industriale, dalle scorie radioattive all’uranio impoverito, nuova forma di avvelenamento e morte di civili e militari.
Ma la storia degli scienziati atomici insegna chiaramente che bisogna sempre chiedersi quanto c’è di morale nelle decisioni che uno studioso, un amministratore, un soldato, un imprenditore, un lavoratore, decidono di, o sono costretti a, prendere.
Nel filone di questo invito a interrogarsi sulle conseguenze morali del “progresso” rientra un altro libro di Robert Jungk, “Lo stato atomico”, scritto con grande passione per indicare le conseguenze politiche e ecologiche della diffusione delle centrali nucleari. Inevitabilmente un paese che affronta l’avventura nucleare, sia militare sia nella costruzione dei reattori commerciali, deve avere un governo autoritario, deve sottostare a rigide regole di segreti. Il libro apparve nel 1977, quando tanti governanti, anche in Italia, sostenevano che il futuro energetico richiedeva la moltiplicazione delle centrali nucleari, quando in Europa esistevano depositi di armi e sottomarini e basi nucleari. Conobbi Jungk a Salisburgo nel maggio dello stesso 1977 durante una manifestazione contro una grande conferenza internazionale a favore dell’energia nucleare. In una piccola pattuglia, con alla testa Jungk, avevamo organizzato una protesta e un picchettaggio all’entrata dei delegati ufficiali alla conferenza; la polizia austriaca ci fermò per identificarci, ma Jungk, che a Salisburgo era una autorità, ottenne che fossimo tutti rilasciati.
Gli anni settanta del Novecento furono quelli della crisi energetica, seguiti dalle guerre per la conquista delle materie prime e sempre di più c’era bisogno di una voce alta che parlasse di pace e di disarmo. Proprio in questo periodo tempestoso, nel 1983, Jungk pubblicò il libro: “L’onda pacifista”, tradotto da Garzanti. Jungk voleva completare il suo contributo alla diffusione di una cultura della pace con un libro sull’energia solare che egli riconosceva giustamente come l’unica fonte di energia che avrebbe potuto fermare i conflitti in corso, il degrado ambientale che già si manifestava con i cambiamenti climatici provocati dal crescente uso del carbone e delle altre fonti energetiche fossili. Parlò di questo suo progetto durante una conferenza sull’energia solare a Dobbiaco nel 1989; ormai era malato – è morto il 14 luglio 1994 – e il libro non fu mai finito.
Jungk ha voluto legare alla città di Salisburgo la sua biblioteca e l’archivio dei manoscritti e dei documenti raccolti nella sua lunga vita di lavoro, di insegnamento e di passione civile, di persona attenta al futuro, instancabile nel parlare dei pericoli provocati dalla miopia e dall’arroganza del potere e nel diffondere un messaggio di speranza e di coraggio.