Mi ha sempre infastidito chi si qualifica o qualifica altri, “scienziato”. Di certo nessuno scienziato, Galilei, Darwin, Einstein, Fermi o qualcuno di quei pochi altri veri, ha influenzato la mia vita. Che invece è stata cambiata radicalmente da un chimico, professore universitario, che non si trova in nessun dizionario ufficiale di scienziati. Avevo venti anni, ero studente di ingegneria, ero povero e lavoravo a Bologna in una modesta officinetta meccanica che riciclava residuati bellici tedeschi. Un giorno, all’inizio del 1946, per ricuperare il ferro tagliavano a metà dei contenitori di liquido per lanciafiamme. Quando ho visto quel liquido sono stato certo di essere di fronte ad una invenzione segreta che meritava di essere studiata; ne riempii una bottiglia e la portai all’Istituto di Chimica industriale; trovai un professore che mi disse che non erano ancora in grado di fare analisi e mi indirizzò all’Istituto di Merceologia dove insegnava un certo professor Walter Ciusa (1906-1989). Questi mi promise che avrebbe fatto l’analisi, mi disse di tornare la settimana dopo, e poi ancora la settimana dopo: non fece l’analisi (si trattava comunque di petrolio e comunque ho imparato da lui a dilazionare le cose inutili o sgradevoli fino a stancare il richiedente) ma mi chiese se, per la stessa paga dell’officina, sarei stato disposto a fargli da dattilografo e disegnatore e in cambio mi avrebbe lasciato del tempo per studiare per gli esami.
Nei mesi successivi mi ha insegnato a fare analisi e ricerche chimiche, a leggere e tradurre testi scientifici, a scrivere articoli; dopo alcuni anni mi sono laureato in chimica, sono diventato assistente di Merceologia, e poi ho vinto un concorso e sono diventato professore di ruolo di Merceologia, ma questo conta poco. Il prof. Ciusa era bravo ma farei fatica a definirlo uno “scienziato” anche se ha scritto un libro fondamentale, dimenticato e ormai introvabile (“Aspetti tecnici ed economici di alcuni cicli produttivi”, Bologna, Zuffi, 1953) nel quale ha indicato, anche con buoni riferimenti storici, la Merceologia come la disciplina che si occupa di come le merci vengono ottenute con “cicli produttivi” che partono dalle risorse naturali, passano attraverso i campi e le fabbriche e ritornano alla natura come scorie, peraltro in parte riciclabili, anticipando concetti che sarebbero stati la base dell’“ecologia” vent’anni dopo.
Nei dieci anni in cui sono stato “suo” assistente (scusate se uso i termini di “Istituto” e “assistente” ormai paleouniversitari) ho imparato tutto; soprattutto Ciusa mi ha assicurato indipendenza di giudizio; ogni volta che proponevo un argomento di studio bizzarro o fuori dai temi seri della merceologia “ufficiale”, mi ha incoraggiato ad affrontarlo; per questo sono stato un modesto e inquieto, ma felice, merceologo.
Fra questi temi eterodossi, intorno, credo, al 1950, mi prese il capriccio di vedere se la quantità delle merci – acciaio, detersivi, zolfo – prodotte nei vari anni aumenta e diminuisce seguendo una qualche “legge” simile a quella con cui aumentano e si fanno concorrenza le popolazioni animali e umane (nei decenni successivi ho poi visto che è proprio così e che anzi l’esame della dinamica delle popolazioni di merci aiuta a prevedere crisi economiche). Girovagando nella biblioteca dell’Istituto di Matematica, che era al piano sottostante quello di Merceologia in Via Belmeloro a Bologna (ormai non ce n’è più traccia), ho trovato per caso il libro che ha cambiato la mia vita, pubblicato nel 1924 e acquistato probabilmente prima della guerra (parlo della II guerra mondiale 1939-1945): “Elements of physical biology” (Baltimore, Williams & Wilkins) scritto da Alfred Lotka (1880-1949) (se ne è parlato anche in questa rubrica, nel n.10 di “altronovecento”), chimico e matematico che era finito a fare l’attuario in una compagnia di assicurazioni. Si trattava di una sintesi fra i fenomeni biologici e quelli “economici”, dai grandi cicli biogeochimici alla dinamica delle popolazioni animali. In quel libro c’era tutto quello che ho insegnato per tutta la vita come merceologo – e anche nella lunga stagione in cui ho insegnato anche Ecologia a studenti di economia – e la chiave per capire, ancora oggi, perché certe risorse si esauriscono, perché la natura è ricca di beni “economici”, poco conta se li offre gratuitamente o se si pagano al padrone della terra o della miniera, perché le cose materiali crescono e si fanno concorrenza come avviene nel mondo degli affari. L’editore Dover di New York pubblicò, nel 1956, una ristampa del libro di Lotka col titolo: “Elements of mathematical biology”, ma anche questa ristampa è esaurita: qualche lettore curioso deve cercarlo – chi sa che non cambi anche la sua vita – in una biblioteca pubblica o in antiquariato.