Spray e aerosol sono diventati ormai nomi di uso corrente per indicare i prodotti che possono essere spruzzati, in finissima polvere, da una bomboletta che contiene un gas sotto pressione. Quando si vuole immettere nell’aria una sostanza in forma polverizzata, per esempio un insetticida che possa esercitare una rapida efficace azione tossica sui parassiti nocivi, o se si vuole spruzzare un cosmetico, una lacca o un colorante sui capelli, un deodorante sul corpo, è molto comodo ricorrere alle bombolette spray che vengono ormai vendute in ogni paese a miliardi di pezzi all’anno.
Come spesso capita, ci si dimentica che anch’esse, come molti altri oggetti della vita domestica, hanno una loro storia, sono il risultato di ricerche e invenzioni e che c’è qualcuno, il cui nome è sepolto in qualche enciclopedia, che dovremmo ricordare e ringraziare. Quando ero ragazzo, molti decenni fa, la battaglia contro i parassiti era condotta mediante una macchinetta consistente in una specie di pompa a mano che spingeva l’aria in un serbatoio, riempito con una soluzione del liquido insetticida da spruzzare; da un piccolo foro usciva l’insetticida sotto forma di particelle disperse nell’aria, gli aerosol, appunto. A rigore gli aerosol sono infatti costituiti da piccolissime particelle di un solido sospeso nell’aria. Il dispositivo si chiamava “il flit” ma non ricordo se questo fosse il nome dell’apparecchio o dell’insetticida.
Intorno al 1929, settanta anni fa, il norvegese Rothheim inventò un dispositivo che aveva al suo interno sia l’insetticida, sia un gas tenuto sotto pressione da una valvola: aprendo la valvola l’insetticida veniva spruzzato nell’aria sotto forma di aerosol: era il progenitore, ancora rudimentale, delle moderne “bombolette”.
Un passo avanti fu fatto negli anni 40; per difendere dagli insetti e dai parassiti i soldati americani che combattevano nelle giungle e nelle paludi l’esercito li rifornì di bombole spray che però erano grosse, pesanti e ingombranti. La svolta definitiva si ebbe mezzo secolo fa quando l’americano Goodhue perfezionò la bombola spray riducendone il peso e l’ingombro e utilizzando come propellente dei gas che erano stati inventati pochi anni prima: i CFC. Con questa sigla si intendono i clorofluorocarburi, sostanze gassose, facilmente comprimibili, chimicamente inerti, non infiammabili, di basso costo; l’invenzione si doveva all’americano Midgley lo stesso che aveva scoperto che il piombo tetraetile era un efficace antidetonante per le benzine.
Il cammino delle bombolette spray è stato trionfale, anche se ha dovuto superare varie trappole. La prima è stata rappresentata dalla scoperta che i CFC, una volta dispersi nell’atmosfera, salgono verso la stratosfera, fra 15 e 30 chilometri al di sopra del livello del mare, e qui scompongono chimicamente l’ozono, il gas stratosferico che impedisce alla radiazione ultravioletta solare, quella dannosa per gli organismi viventi, di arrivare sulla superficie della Terra. Ci sono volute molte ricerche, che hanno fruttato tre premi Nobel ai principali studiosi dell’argomento, e molti negoziati politici internazionali per arrivare a riconoscere che l’uso dei CFC doveva essere vietato per conservare quello “strato di ozono” che protegge la vita presente e futura sul pianeta.
Da molti anni nella maggior parte dei paesi industriali i propellenti per le bombolette spray sono costituiti da idrocarburi, come propano, che non interagiscono con l’ozono stratosferico, ma sono infiammabili. Se leggete con attenzione l’etichetta delle confezioni spray vedrete che spesso figura il simbolo della fiamma — segno di pericolo di incendio — e l’avvertenza che il prodotto contenuto è infiammabile; bisogna infatti usarlo lontano dalle fiamme e dalle sigarette accese.
In Europa si consumano ogni anno alcuni miliardi di bombole spray per vernici, per cosmetici (lacche e coloranti per capelli, deodoranti da spruzzare sul corpo), per lubrificanti, per usi industriali, per estintori di incendi. Alcune bombolette, con lo stesso principio, sono caricate con emulsioni che permettono di ottenere la “panna montata”, oppure le soffici creme da barba, o molti detersivi, eccetera. In ciascun caso, naturalmente, cambiano gli ingredienti e gli agenti propellenti.
Le bombolette spray sono fatte di lamierino di alluminio oppure di banda di ferro stagnata, e qui sorge il problema dello smaltimento dopo l’uso. La massa delle bombolette è di molte centinaia di migliaia di tonnellate all’anno, ma quello che da fastidio è il loro grandissimo volume che, aggiungendosi al volume delle lattine per bevande gassate, fa dilatare la richiesta delle discariche di rifiuti. Lo smaltimento delle bombolette esaurite nelle discariche è la peggiore soluzione possibile, tanto più che il materiale metallico di tali bombolette potrebbe essere riutilizzato e riciclato: però a due condizioni, La prima è che le lattine siano separate dagli altri imballaggi e contenitori che finiscono nei rifiuti: proprio il contrario di quanto avviene in genere adesso con la raccolta “differenziata” multimateriale che prevede un unico contenitore per lattine, vetro, plastica, eccetera. Se si ha una miscela soltanto di lattine di ferro e di alluminio, quelle di ferro possono essere separate per via magnetica e così si avrebbero le lattine di ferro tutte insieme da una parte, e quelle di alluminio dall’altra. Il secondo passo prevede che le bombolette e le lattine siano frantumate e lavate per eliminare i residui di insetticidi, cosmetici e, soprattutto, di solventi e propellenti o altro materiale infiammabile.
Una volta che si hanno i rottami di ferro e di alluminio basta fonderli, ciascuno in adatti forni, per ricuperare i metalli che possono essere rimessi in ciclo; ci vuole qualche precauzione per eliminare lo stagno dal lamierino di ferro, per eliminare le tracce di metalli contaminanti, i residui di vernici esterne: Un insieme di operazioni non facili, ma che sono vantaggiose dal punto di vista ecologico, che permettono di risparmiare energia e minerali e che offrono occasioni di innovazione e di lavoro.