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Gli articoli scientificipubblicati nelle più prestigiose riviste internazionali, dopo 6 mesi dalla prima stampa dovranno essere consultabili gratis in un archivio on line unico. E’ quello che chiede una lettera aperta diffusa in forma elettronica dal gruppo Public Library of Science sottoscritta da 15.817 docenti e ricercatori universitari da 138 paesi del mondo, tra cui vari premi Nobel.

Se la richiesta non verrà accolta i firmatari minacciano di boicottare gli editori delle riviste: a partire dal settembre 2001 dichiarano che non scriveranno né collaboreranno in altra forma che per quelle testate che metteranno poi a disposizione i loro articoli per il progetto comune. Dal loro punto di vista, gli autori hanno tutti i diritti per usare un tono deciso: loro è la fatica maggiore dal momento che scrivono gratis e, sempre senza chiedere una lira, indicano le correzioni e giudicano la validità (peer review) dei contributi degli altri colleghi. Gli editori si “limitano” a editare gli articoli, organizzare il processo di revisione e fornire notizie e informazioni complementari rispetto agli scritti degli autori.

“Li consideriamo un po’ come delle balie – spiega Michael Eisen, uno degli ideatori della Public Library – sono pagati per il loro ruolo ma, alla fine della giornata, è bene che restituiscano il ‘bambino’ ai loro genitori”. In molti, infatti, sostengono che i soldi che gli editori prendono per il loro compito sono eccessivi: “Credo che dappertutto gli scienziati – avverte Nicholas Cozzarelli, redattore capo di Proceedings of the National Academy of Sciences – sarebbero scioccati se si rendessero conto di che business straordinariamente lucroso sia l’industria dell’editoria scientifica”. Grossi introiti anche se spesso utilizzati per finanziare attività di ricerca, come succede nel rapporto tra la celebre “Science” e la American Association for the Advancement of Science che fornisce fondi e borse di studio ai ricercatori statunitensi.

La lettera aperta è stata suggerita dai lentissimi avanzamenti del progetto PubMed Central, che avrebbe dovuto costituire un archivio di argomento medico-biotecnologico ricercabile full-text. Dagli inizi del 2000 a oggi solo 7 giornali scientifici gli hanno offerto i loro articoli per la ripubblicazione. Assai pochi rispetto alle aspettative. Ma nessun editore ha accolto bene la petizione, per vari ordini di ragioni. Si è citato, ad esempio, il timore che nel processo di archiviazione centralizzata si inserissero degli errori negli articoli, diminuendone l’attendibilità (se l’abbreviazione per “microgrammo” viene interpretata come quella di “milligrammo”, cambia tutto). C’è chi teme una maggiore vulnerabilità tecnica: se andasse in crisi il server centrale nessuno potrebbe più avere accesso ai documenti mentre, se questi rimarranno distribuiti nei siti originari, il sistema sarebbe più sicuro.

E poi c’è un’obiezione più politica: se si offrirà tutto – anche se vari mesi dopo la pubblicazione originaria – gratis in Rete, chi si abbonerà più alle riviste? Se le sottoscrizioni diminuissero drasticamente sarebbe un danno grave per il finanziamento alla ricerca dal momento che basta circa un decimo degli introiti per coprire i meri costi editoriali. Una controproposta è di rovesciare il modello attuale e far pagare non i lettori ma gli autori – o meglio le loro università di appartenenza – eccezion fatta per quelli dei paesi in via di sviluppo che non potrebbero permetterselo. Proprio costoro, in ogni caso, sarebbero i principali beneficiari del progetto Public Library, dal momento che generalmente non hanno i soldi per abbonarsi alle riviste tradizionali.

Dibattito a parte, tuttavia, resta da vedere se gli scienziati arriveranno davvero sino in fondo nella loro azione dimostrativa. “Non posso permettermi di boicottare queste le riviste – ammette, sotto condizione di anonimato, un assistente di una scuola medica di New York – la mia carriera non è ancora consolidata”. E per far carriera accademica, più si pubblica e meglio è. Un premio Nobel può tranquillamente permettersi il lusso di fare sciopero – il suo potere contrattuale glielo consente -, un dottorando no. E anche l’ipotesi, ventilata, di creare riviste elettroniche in proprio dove auto-pubblicarsi i saggi è più teorica che altro. Il più delle volte è la testata che dà valore al contributo, e non viceversa. La dichiarazione di guerra, comunque, è stata pronunciata. Per assistere alle prime schermaglie tra la concezione libertaria e quella commerciale della cultura scientifica non c’è che da attendere sino a dopo l’estate.

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