Los Alamos, nel New Mexico, negli Stati Uniti, era un villaggio di boy scout in cima ad una mesa, uno di quegli altopiani visti tante volte nei film western. Nel novembre 1942 il posto fu scelto, proprio per il suo isolamento, per insediare le apparecchiature, i materiali e i migliori scienziati capaci di dare agli Stati Uniti una super-arma capace di assicurare la vittoria nella guerra da poco cominciata: nel dicembre 1941 il Giappone aveva aggredito gli Stati Uniti e Roosevelt aveva ordinato l’avvio del programma per costruire la nuova bomba.
Si trattava di comprendere la fisica e la chimica di fenomeni fino allora sconosciuti, di estrarre, su scala industriale, l’uranio-235, quello fissile, dai minerali di uranio nei quali l’isotopo 235 è presente in ragione di solo lo 0,7 per cento. Occorreva effettuare innumerevoli calcoli matematici e inventare nuovi macchinari, e tutto questo richiedeva il lavoro di centinaia di scienziati e tecnici, dai premi Nobel Fermi, Oppenheimer, Teller, Szilard, ai meccanici, ai chimici, tutti uniti, con le famiglie, in condizioni abitative di fortuna, in mezzo al deserto.
Los Alamos nacque con l’inevitabile contorno di gelosie e pettegolezzi e sotto l’ossessione che niente filtrasse all’esterno, soprattutto ai russi, ai comunisti. L’Unione Sovietica era alleata nella guerra contro la Germania e l’Italia, ma il governo e soprattutto i militari americani volevano avere il monopolio della nuova arma, se questa funzionava. E funzionò: il 16 luglio del 1945 gli scienziati di Los Alamos fecero esplodere la prima delle bombe atomiche (ne furono allora costruite solo tre) nel deserto di Alamagordo, nel New Mexico, e videro con i proprio occhi gli effetti distruttivi, molto più grandi di quelli ottenuti con qualsiasi bombardamento con armi convenzionali.
A questo punto alcuni scienziati prepararono un appello (dall’aprile 1945, dopo la morte di Roosevelt, il presidente degli Stati Uniti era Truman che fino allora era stato tenuto all’oscuro perfino dell’esistenza della bomba atomica) perché la nuova arma non fosse usata su una città giapponese che sarebbe stata, come avvenne, spazzata via dall’esplosione. Il dramma morale di alcuni degli scienziati atomici è ben raccontato nel libro di Robert Jungk, “Apprendisti stregoni”, pubblicato da Einaudi e quasi introvabile, e nel libro di Richard Rhodes, “L’invenzione della bomba atomica” (Rizzoli); il lettore curioso troverà molte informazioni su quegli eventi dell’estate 1945 nel sito Internet www.dannen.com. Ma i militari, che avevano investito tanti soldi e tanto “prestigio” nella fabbricazione “della bomba”, insistettero per usarla, nell’agosto 1945, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.
La polvere velenosa e radioattiva delle due esplosioni si era appena depositata che Los Alamos divenne la sede di un altro dramma umano: cominciò un clima di delazioni, di “caccia alle streghe”, a tutti coloro che erano sospettati di essere comunisti, o amici di comunisti, o anche solo pacifisti, e non ne fu risparmiato neppure il grande Oppenheimer che poté continuare a lavorare soltanto dopo aver denunciato i suoi amici “sospetti”.
Una brutta pagina aggiunta ad una storia di tanti morti. Alla fine del 1945 Los Alamos si svuotò della prima generazione di scienziati e divenne un paesino sede comunque ancora oggi di un centro di ricerche sulle bombe atomiche, centro anzi di nuove invenzioni che sono arrivate a mettere in circolazione nel mondo, in questo inizio del XXI secolo 30 mila bombe nucleari, con una potenza distruttiva migliaia di volte più grande di quella delle bombe di Hiroshima.