A scrivere questo saggio non poteva essere che Gianfranco Bettin, ecologista di lungo corso, radicato da sempre nella sua Venezia, unica per il suo sorprendente fascino, ma anche per la tremenda fragilità di fronte all’impazzimento del clima. Una scrittura che si coglie subito come necessaria e urgente per l’autore, espressione di un istinto di sopravvivenza innanzitutto esistenziale, ma che immediatamente abbraccia l’intera umanità, minacciata dalla reazione boomerang della Terra, che rischia di diventare sempre più incontrollabile ponendo fine al cosiddetto Antropocene.
Dunque un lavoro appassionato, che rende accattivante la lettura, anche grazie ad uno stile narrativo efficace, suggestivo, proprio di chi sa gestire sapientemente la parola, senza rinunciare ad un intento divulgativo decisamente riuscito. Si fa leggere piacevolmente, nonostante il rigore scientifico, la ricchezza informativa e la completezza dell’analisi sulle cause dell’attuale sconvolgimento climatico, sulle dimensioni degli effetti catastrofici nella permanenza dell’umanità sul Pianeta, già verificati e, ahimè, ancor più attesi per il futuro. Un’analisi che viene approfondita con opportune e tutt’altro che scontate riflessioni che sconfinano nell’etica e nella filosofia, sul ruolo della scienza e della tecnica, sulla loro presunta neutralità, sul loro rapporto, da un canto con l’attuale megamacchina del sistema termoindustriale e dei meccanismi del mercato globale e, dall’altro, con la Natura e con l’ineludibile reattività della Terra.
Un’analisi talmente approfondita e convincente da rendere definitivamente insopportabile il chiacchiericcio inconcludente che da decenni si fa su scenari di aggiustamento di facciata del sistema: “sviluppo sostenibile”, green economy, e ora “transizione ecologica” nella versione di Roberto Cingolani. La profondità della crisi non tollera più illusori salti tecnologici tesi nella sostanza a confermare quel sistema tecnologico, produttivo ed economico che ci ha portato sul ciglio del precipizio, evocati esemplarmente dall’autore, come la cattura ed il confinamento dell’anidride carbonica, o il nucleare di quarta generazione prêt-à-porter.
Ma l’autore non si limita alla denuncia delle “trappole tecnologiche” inconcludenti se non dannose. Nella parte centrale del volume il cambio di paradigma invocato viene declinato in strategie e cose da fare possibili, con la consapevolezza che il cambiamento richiesto è molto impegnativo e nel medesimo tempo urgente e che deve avvenire su scala globale. Nonostante le incertezze e le contraddizioni che hanno segnato le tante Conferenza globali sul clima, non ultima la Cop 26 di Glasgow del 2021, il processo di fuoriuscita dai fossili è obbligato e, giustamente ricorda Bettin, non contempla solo la loro necessaria sostituzione con il solare e le rinnovabili: “serve una riconversione globale” ovvero “una riorganizzazione dei sistemi economici, produttivi, logistici, della mobilità, dell’organizzazione sociale modellata su (e da) questa nuova base energetica” (p.100). Una sfida tanto gravosa e drammatica da non aver forse precedenti nella millenaria storia dell’homo sapiens.
Rimane forse insoluto, ma non si può caricare Bettin di questo ingrato compito, il tema dei soggetti sociali, culturali e politici che dovrebbero cimentarsi per dar corpo, con la necessaria partecipazione di massa e conflittualità di lunga durata, a questa trasformazione epocale dello stare dell’umanità sul Pianeta in rapporto con la Natura.
Di certo per chi volesse intraprendere questo percorso il testo di Bettin è di grande utilità, una sorta di gradevole ed intelligente manuale da studiare e portarsi appresso come bussola preziosa.