Si deve ad alcuni geografi dell’economia (vedi soprattutto Peck, 2013) l’invito ad una lettura più aperta e creativa dell’opera di Karl Polanyi che vada oltre le categorie entro le quali il grande studioso ungherese è spesso trattenuto.
Si tratta di un suggerimento condivisibile. In effetti Polanyi non è “solo” il fondatore di un nuovo indirizzo nel campo dell’antropologia economica, l’aspro critico della società di mercato e dell’utopia liberale, il teorico del “doppio movimento” quale chiave esplicativa delle trasformazioni politiche, il sostenitore di un ordine internazionale basato sulla pianificazione regionale, anziché sull’universalismo globalista.
Ci sono delle potenzialità inespresse nell’opera (purché complessivamente considerata; vedi “Gli scritti di Karl Polanyi”) di un autore la cui ispirazione profonda è più populista, anarco-sindacalista e comunitaria che socialdemocratica e/o marxista (vedi la Prefazione di Kari Polanyi Levitt a Polanyi, 2015).
Neppure ha giovato al nostro autore l’annessione operata dall’antiutilitarismo francese, poiché inevitabilmente è destinato ad emergere (come si ammette in Latouche, 2000, Appendice) il contrasto fra un progetto volto a dissolvere l’economia nella totalità sociale e l’intento di costruire una nozione transtorica e universale di “approvvigionamento materiale della società” caratterizzata da termini specifici e ad hoc (Sostantivismo – vedi “Il Sostantivismo di Karl Polanyi (in breve)”).
Le note che seguono hanno l’intenzione di proporre alcuni luoghi meno frequentati di tale ecologia polanyiana, intesa come processo socialmente organizzato dei rapporti della specie umana con l’ambiente naturale, volto alla fornitura prolungata e continuativa di beni e servizi utili.
Il suo sostantivismo ci consente di vedere l’organizzazione industriale anziché solo gli affari, i beni capitali anziché il capitale e di scorgere dietro il velo (transeunte) della forma economica di volta in volta prevalente il problema (che ha carattere di permanenza) dei modi e i mezzi della sussistenza nella sua relazione con la tecnologia e le funzioni degli ecosistemi.
Il Sostantivismo di Karl Polanyi (in breve)
Sorprendentemente il sostantivismo di Polanyi affonda le proprie radici culturali nell’analisi economica del secondo Menger (quello dei fabbisogni tecnici della produzione, indipendentemente dalla scarsità dei mezzi e dal problema della scelta), oltre che nell’antropologia di Malinowski e Thurnwald (vedi Becchio,2002 e Martini, 2006).
Nell’economia polanyiana hanno rilevanza le istituzioni nelle quali gli scambi e le transazioni sono incorporati (embedded), ma altrettanto importanti sono l’ecologia e la tecnica.
Ogni processo economico, in quanto interazione fra uomo e ambiente, produce due tipi di movimento: movimenti appropriativi, cioè il passaggio di mano di un bene fra persone o gruppi; e movimenti ubicativi, o locativi, vale a dire lo spostamento dei beni nello spazio. Nella prima tipologia rientrano le transazioni e le cessioni, nella seconda il trasporto e la produzione. Quest’ultima è una combinazione di beni di ordine “inferiore” e di ordine “superiore” in senso mengeriano.
Le forme di integrazione definiscono le diverse modalità di integrazione dell’economia nella società. A ciascuna forma corrisponde una struttura istituzionale che regola i movimenti appropriativi e ubicativi. Esse sono la simmetria, la centricità e il mercato regolatore di prezzi.
Le preoccupazioni per la “civiltà tecnologica“
Come a suo tempo sostenuto da Marramao (1997) con riferimento all’opera di Polanyi, è difficile trovare, oltre che segnalazioni così anticipate della crisi ecologica, preoccupazioni altrettanto anticipatrici sulle modalità con cui costruire un assetto delle tecniche che non sia distruttivo dell’ambiente.
In effetti il sostantivismo di Polanyi pone le basi per il superamento della distinzione, costitutiva del mainstream, fra economia e tecnica e della considerazione di quest’ultima esclusivamente nel novero dei mezzi.
Gli ultimi scritti, in gran parte di occasione, (collocabili, nel periodo del secondo dopoguerra, fra il 1955 e il 1957), pubblicati nella Parte terza de La libertà in una società complessa (1987)[1], così come quelli che trovano ospitalità nella recente raccolta Per un altro Occidente (2014)[2], mostrano in maniera inequivocabile la centralità che riveste nel mondo intellettuale polanyiano la questione della “civiltà tecnologica” e delle sue conseguenze sociali e morali.
E’ difficile pensare che tali preoccupazioni non abbiano influenzato l’elaborazione che nel frattempo, nello stesso periodo, l’economista e antropologo ungherese andava elaborando, cessato l’insegnamento, con l’aiuto di studiosi di varia provenienza disciplinare ed intesa a definire una teoria (valida generalmente) del mutevole posto dell’economia nelle società e nella storia.
L’importanza della contabilità (socio-ambientale)
Poiché è orientato all’interscambio fra il soggetto e il proprio ambiente naturale, il sostantivismo di Polanyi, purché adeguatamente sviluppato, fornisce non pochi elementi utili ad affrontare le complesse questioni della crisi ecologica in relazione alla prassi umana così come si stanno configurando nell’epoca c.d. dell’antropocene, dopo gli insoddisfacenti risultati che l’economia formale su questo terreno ha conseguito. Esso sollecita inoltre una determinazione quantitativa dei rapporti fra i vari tipi di movimento nello spazio e delle relazioni fra i beni produttivi nel loro ordine gerarchico.
Tale fatto non deve stupire, se è vero che uno degli aspetti più significativi, anche se meno noti, dell’elaborazione del nostro autore è costituito dal suo intervento nel dibattito sulla contabilità socialista svoltosi negli anni venti/trenta del secolo scorso[3]. Gli schemi elaborati in tale circostanza hanno una valenza che oltrepassa la circostanza in cui sono maturati e bene si adattano alle caratteristiche di un’economia vista come processo sociale-naturale soggetto a regolazione. Essi si focalizzano sulla centralità dei costi e della loro riconducibilità ai fattori che li determinano, “natura” e “società”, costituendo perciò, al di là della loro originaria ispirazione socialista-funzionale, una lettura utile anche per le sfide odierne.
L’esperienza di Speenhamland , ovvero la rovina della working class
Nell’attuale dibattito sul carattere innovativo del reddito di cittadinanza, può infine essere utile considerare quelle che sono state, secondo il filtro interpretativo del nostro autore, le conseguenze economiche e morali sulla working class dell’introduzione in Inghilterra, fra il 1795 e il 1834,del primo sistema europeo di protezione ispirato al principio del “diritto di vivere”, cioè la Speenhamland Law. Come è noto, si tratta di un sistema di sussidi inteso ad assicurare un reddito minimo indipendente dai guadagni (anche mediante integrazioni ai salari) che Polanyi esamina a lungo nei capitoli 7 e 8 della Grande Trasformazione, inquadrando la questione nello “sconvolgimento sociale causato dalla macchina”.
Il principale effetto, secondo Polanyi, fu quello di abbassare i salari al di sotto del livello di sussistenza e di escludere coloro che volevano guadagnarsi la vita con un’attività dalla possibilità di farlo. Quella che intendeva essere un’innovazione positiva si tramutò in un formidabile strumento di demoralizzazione popolare e di degradazione delle classi lavoratrici.
Riferimenti bibliografici
Becchio G.D., Polanyi e la visione austriaca del mercato, 2002.
Marramao G.,Dono, scambio, obbligazione. Il contributo di Karl Polanyi alla filosofia sociale, in Inchiesta, 1997.
Martini F., At the origins of ecological economics. Karl Polanyi’s substantivism. In: (a cura di): Salomone M., Educational Paths Towards Sustainability, Scholè, 2006.
Menger C., Principi di economia politica, UTET, 1976.
Latouche S., La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, 2000.
Peck J., Disembedding Polanyi: Exploring Polanyian economic geographies, Environment and Planning, 2013.
Note nel testo
[1] Essi si intitolano: Libertà e tecnologia, 1955; La macchina e la scoperta della società, 1957; La libertà in una società complessa, 1957.[2] Vedi soprattutto l’articolo che dà il nome alla raccolta, Per un nuovo occidente, 1958.
[3] Gli scritti in questione sono contenuti nella Parte prima de La libertà in una società complessa e si intitolano: La contabilità socialista, 1922; La teoria funzionale della società e il problema della contabilità socialista, 1924; Nuove considerazioni sulla nostra teoria e pratica, 1925.
Gli scritti di Karl Polanyi
Polanyi K., La Grande Trasformazione, Einaudi, 1974.
Polanyi K., (a cura di G.Dalton), Economie primitive arcaiche e moderne, Einaudi, 1980.
Polanyi K., (a cura di H.W.Pearson), La sussistenza dell’uomo, Einaudi, 1983.
Polanyi K., Il Dahomey e la tratta degli schiavi, Einaudi, 1987.
Polanyi K., Arensberg C.M., Pearson H.W., Traffici e mercati negli antichi imperi, Einaudi, 1978.
Polanyi K., I due significati di economico in Carl Menger, in Inchiesta n.117-118, 1997.
Polanyi K., (a cura di Alfredo Salsano), La libertà in una società complessa, Boringhieri, 1987.
Polanyi K., (a cura di Michele Cangiani), Cronache della grande trasformazione, Einaudi, 1993.
Polanyi K., (a cura di Michele Cangiani), Europa 1937. Guerre esterne e guerre civili, Donzelli,1995.
Polanyi K., (a cura di Resta G. e Catanzariti M.), Per un nuovo occidente. Scritti 1919-1958, Il Saggiatore, 2013.
Polanyi K., (a cura di Michele Cangiani e Claus Thomasberger), Una società umana un’umanità sociale. Scritti 1918-1963, Jaca Book, 2015.
Testo pubblicato in http://www.iris-sostenibilita.net/iris/homepage_2016-12-07.asp