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Farmoplant: la stagione della rabbia

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Dedicato ad Augusto Puccetti (1929-2007), instancabile animatore delle lotte per l’ambiente e la salute a Massa e Carrara

Per comprendere Il decennio di lotte per l’ambiente e la salute a Massa-Carrara negli anni Ottanta nel secolo scorso occorre fare un salto indietro, alla crisi economica del 1929-33. Tale crisi aveva colpito duramente la zona apuana il cui marmo, la principale ricchezza, era in gran parte destinato all’esportazione verso paesi ricchi, divenuti improvvisamente poveri. L’estrazione del marmo e l’esportazione diminuirono, così, bruscamente e l’ondata di disoccupazione fu arginata in qualche modo dalla creazione nel 1938, di una zona industriale che offrì posti di lavoro, contribuì alla crescita di cultura e consapevolezza operaia, ma portò anche ad alterazioni ambientali e a conseguenze sociali che fanno sentire i loro effetti ancora oggi, a molti decenni di distanza.

Per accontentare i due gerarchi del fascismo locale, Sebastiani di Massa e Renato Ricci di Carrara, la zona industriale si insediò in un territorio che ricadeva per metà nell’attuale Comune di Massa e per metà nel Comune di Carrara che furono unificati, insieme a quello di Montignoso, nel comune di Apuania. Nel 1938 fu istituita la Zona Industriale Apuana, un organismo pubblico con il compito di coordinare gli interventi nel territorio, accolta con grandi speranze di occupazione.

I primissimi insediamenti della zona industriale furono stabilimenti meccanici e chimici legati alla produzione bellica; successivamente alcune fabbriche furono costruite da imprenditori illuminati, come quella che Adriano Olivetti volle a Massa nell’ambito della sua filosofia di sviluppo di zone depresse; altre, con capitale pubblico o privato, attratte soltanto dagli incentivi finanziari.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, che arrecò gravi danni e dolori, ci fu una lenta e coraggiosa ricostruzione, la ripresa delle attività “della Zona” e l’aumento dell’occupazione.

Dalla Liberazione in avanti Massa e Carrara (diventati di nuovo comuni autonomi) hanno avuto varie amministrazioni, da quelle moderate a quelle di sinistra; in particolare a Massa la sinistra ha governato dal 1975 al 1986. La sinistra, che ha avuto un ruolo determinante nella lotta per ottenere posti di lavoro nella zona industriale e per contrastare la chiusura degli stabilimenti, è stata però spesso troppo timida nei confronti dell’inquinamento industriale e nella salvaguardia delle risorse naturali.

In queste condizioni e contraddizioni si svolge la nostra storia,

cominciata con l’incendio del 17 agosto 1980, in un deposito del pesticida Mancozeb dello stabilimento Montedison Diag, che sollevò una grande paura e le proteste degli abitanti di Massa, una zona circondata, anche se gli abitanti non ne erano pienamente informati, da varie altre industrie inquinanti: la Cokitalia con sostanze cancerogene, la Ferroleghe con cromo, la Fibronit con amianto, l’Olivetti con residui di vernici.

L’atmosfera a Massa era già rovente quando il 18 marzo 1984 si verificò un altro grave incidente, un incendio al deposito di vari pesticidi all’Enichem Anic, ex Rumianca, con conseguente chiusura dello stabilimento. Nel 1985, in occasione delle elezioni amministrative, mi fu proposto di candidarmi alle elezioni nel consiglio comunale di Massa come indipendente nella lista del Partito Comunista Italiano.

Il PCI si presentava alle elezioni amministrative con un programma (“Ladri niente, facciamo dell’Italia un bell’ambiente”, secondo il felice titolo proposto per la campagna elettorale del PCI da Fabio Mussi), in cui per la prima volta appariva il concetto di ambiente da difendere.

Fui eletto e i due anni e mezzo che ho passato in Consiglio comunale, dal luglio 1985 al dicembre 1987, sono stati quelli delle lotte contro la Farmoplant, della crisi dell’estate 1986 dell’amministrazione socialista e comunista, della formazione del gruppo della Sinistra indipendente, della nascita di una giunta di quadripartito.

La mia presenza in Consiglio comunale era stata pensata, io credo, come occasione per raccordare il gruppo comunista con la nuova attenzione ecologica della popolazione; in realtà tale presenza ha scontentato i comunisti ed è stata criticata dai movimenti ambientalisti, nelle cui lotte peraltro mi riconoscevo.

La “chimica” aveva cattiva fama in quegli anni, in Italia. Nel 1976, a pochi mesi di distanza, c’erano stati l’incidente all’ICMESA di Meda che aveva portato alla fuoriuscita della fino allora quasi sconosciuta diossina, e quello all’Enichem di Manfredonia con fuoriuscita di arsenico che era ricaduto sulla cittadina. Nel 1984 aveva fatto grande impressione l’incidente avvenuto a Bhopal, in India, con fuoriuscita di isocianato di metile e migliaia di morti; nel 1986 si era verificato a Basilea un incendio in un deposito di pesticidi. Come se non bastasse nel 1986 si era verificato l’incidente al reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina ed era in corso la raccolta di firme per il referendum del 1987 contro il nucleare. Nell’estate del 1987 erano inoltre in corso le elezioni nazionali.

In questa atmosfera di rabbia contro la violenza ambientale, di fronte alla contaminazione dell’aria, del terreno, delle falde idriche sotterranee, del mare dovuta alle industrie inquinanti della zona industriale di Massa Carrara, a seguito dei due gravi incidenti, già ricordati, in attesa di una “bonifica” mai fatta dello stabilimento Anic, davanti al rifiuto della Farmoplant di limitare l’inquinamento e di maggiore sicurezza, la popolazione dei Comuni di Massa, Carrara e Montignoso, animata dalla vivace Assemblea Permanente dei cittadini di Massa-Carrara, chiese un referendum consultivo con la domanda: “Sei favorevole alla chiusura definitiva, lo smantellamento e la bonifica degli stabilimenti Farmoplant (compreso l’inceneritore) e Anic, nella prospettiva di superamento del polo chimico, per una alternativa di sviluppo che punti alla valorizzazione delle risorse del territorio ?”.

Furono raccolte oltre 10.000 firme nei tre Comuni interessati e il referendum fu dichiarato ammissibile dalla Regione Toscana nell’ottobre 1986.

Nel febbraio 1987 il Consiglio comunale di Massa, a maggioranza, introdusse un secondo quesito B: “Sei favorevole alla trasformazione e alla diversificazione dello stabilimento Farmoplant di Massa (386 dipendenti e 200 occupati nelle lavorazioni indotte) a fronte degli impegni, certi e verificabili, da parte dalla Farmoplant rispetto al documento presentato dall’ente locale, con il superamento delle produzioni nocive a rischio nella prospettiva di uno sviluppo compatibile con l’ambiente e con la salute dei cittadini e basato sulla valorizzazione delle risorse del territorio ?”.

Di quei febbrili mesi ha dato un appassionato e documentato resoconto Simone Ortori nel saggio: “Figli della Farmoplant”, http://www.fondazionemicheletti.eu/altronovecento/files/Figli-della-Farmoplant.pdf.

Il comitato promotore del referendum denunciò l’introduzione del secondo quesito come uno scippo della volontà popolare: nel secondo quesito non si parlava più neanche della bonifica dell’area contaminata dell’Anic !

Il Comune di Massa inviò alla Farmoplant un “documento” chiedendo una serie di impegni “certi e verificabili”, come la cessazione della produzione di esteri fosforici e del funzionamento dell’inceneritore, fonti di infinite nocività. Il 2 settembre 1987 la Farmoplant rispose che non intendeva interrompere ne’ “superare” la produzione di composti chimici nocivi e a rischio e l’incenerimento dei rifiuti tossici.

Mancando un impegno “certo e verificabile” della Farmoplant, il secondo quesito B sarebbe risultato così inammissibile anche sul piano formale, ma il Comune di Massa, a maggioranza, confermò di volerlo lasciare nella consultazione che si sarebbe tenuta il successivo 25 ottobre 1987. Gli elettori erano così chiamati a rispondere “si” o “no” o al primo o al secondo quesito.

Ci furono appelli a votare “SI al primo quesito A” a favore del quale si schierarono i partiti che allora erano all’opposizione nel Consiglio Comunale di Massa (PSI, MSI) e anche noi tre della Sinistra Indipendente, il Comitato promotore e l’Associazione del commercio e del turismo di Massa Carrara. A favore del secondo quesito si schierarono i partiti della Giunta (PCI, DC, PRI, PSDI) e le forze sindacali.

Il 25 ottobre 1987 fu schiacciante, 72 %, la vittoria del SI al quesito A, con voti anche comunisti, a riprova di quanto grave fosse la lacerazione nel tessuto sociale provocata dal comportamento arrogante della Farmoplant.

Il 31 ottobre 1987, subito dopo l’esito del referendum, il Sindaco di Massa emise una ordinanza di sospensione delle attività produttive e del funzionamento dell’inceneritore. Tale sospensione, su richiesta della Farmoplant, fu respinta dal TAR della Toscana in data 15 dicembre 1987 con la motivazione che delle indagini peritali risultava un ”rapporto di funzionalità degli apparati di sicurezza nella misura del 99,99 per cento”.

I Sindaci della zona e le associazioni ambientalistiche ricorsero contro questa sentenza, insistendo per la chiusura dello stabilimento e dell’inceneritore, e il TAR della Toscana dette di nuovo ragione alla Farmoplant proprio una settimana prima dell’incidente del 18 luglio 1988 in cui prendeva fuoco un serbatoio contenente il pesticida Rogor. A proposito della sicurezza al 99,99 per cento !

Sui rapporti fra magistratura e Farmoplant si può infine ricordare che il 21 novembre 1987 la Farmoplant veniva assolta per una ‘moria di pesci’ verificatasi l’8 marzo 1986 nel torrente Lavello dove si riversavano le acque dello stabilimento: ‘un trattamento di favore’ perché in realtà l’inquinamento c’era stato e la Farmoplant fu assolta soltanto per un cavillo, perché i prelevamenti dei campioni non erano stati fatti alla presenza dei rappresentanti della azienda !

Dalla stagione della rabbia, che vide una intensa partecipazione popolare e democratica, ma anche una spaccatura fra lavoratori, istituzioni e popolazione, anche nelle stesse famiglie, resta una terra con gravi problemi di occupazione ed economici, con una incompleta bonifica delle aree su cui sorgevano le fabbriche ormai scomparse, che stenta ad avviare una utilizzazione economica di quanto resta della Zona Industriale.

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