La Carta di Roma nasce come contributo autonomo degli studiosi raccolti intorno all’Officina dei saperi alla lotta aperta dall’ Appello per la scuola pubblica redatto da un folto gruppo di insegnanti e sottoscritto da oltre 10.000 cittadini.
1)La scuola non ha il compito di preparare al lavoro, che costituisce solo una delle dimensioni in cui si realizza la vita umana. Tra l’altro il lavoro è destinato a una rilevante riduzione nelle nostre società, sempre più dominate dall’informatica e dai processi di automatizzazione. Tecnologie che chiederanno sempre più intelligenza e immaginazione per il loro impiego creativo, che non mera capacità di strumentazione tecnica.
2)La scuola non deve fornire “competenze” per un futuro mestiere, che configuri precocemente l’individuo lavoratore, ma deve formare la personalità dei ragazzi, arricchire la loro cultura, il pensiero critico, l’attitudine alla ricerca e alla soluzione dei problemi. Deve anche cercare di fare emergere negli allievi che ne sono dotati, il loro talento manuale, la loro inclinazione al pragmatismo dei mestieri. Pensiamo che in tante abilità della nostra tradizione artigianale si trasmettano saperi che non devono andare perduti. Il gioco può essere un veicolo gioioso di apprendimento. Al tempo stesso la scuola non deve deprimere lo sviluppo della libera creatività, dei sentimenti, della sfera complessa degli affetti. I nostri ragazzi, le nostre adolescenti non sono scatole da riempire di nozioni, sono esistenze, spesso emotivamente fragili, che l’utilitarismo sempre più spinto del pensiero unico può stritolare. Non è meno importante formare delle personalità positive e stabili che allievi colti e preparati. La scuola deve contribuire alla formazione di uomini e donne, non di soldatini di un esercito del lavoro.
3) I ragazzi si possono avvicinare al mondo delle imprese, non per essere addestrati, ma per arricchire la loro conoscenza della vita reale, per scorgere da vicino le mirabilia della tecnologia produttiva del nostro tempo, e al tempo stesso la fatica degli uomini e delle donne che producono la ricchezza nazionale. Possono accostarsi al vasto mondo dell’artigianato per conoscere la genialità del lavoro manuale e dei mestieri e per scoprire anche proprie attitudini e vocazioni. Possono e debbono entrare nelle aziende agricole per comprendere come funziona la chimica del suolo, come il fiore degli alberi si trasforma in frutto, come il sole e l’acqua agiscono sulle piante, così da vedere ricomposti nell’unità vivente della natura i fenomeni che le discipline scolastiche dividono in chimica, botanica, fisica, ecc. E’ in questo modo che si può apprendere fuori dalle aule scolastiche. Il paesaggio, le campagne, la natura, dunque , come libro vivente in cui saggiare una modalità diversa di apprendere le scienze, impadronendosi di un’etica nuova della conoscenza.
4) La scuola non deve diventare “adeguata alla società”, intendendo per società il mercato del lavoro e l’universo dei valori consumistici. La scuola deve diventare adeguata ai problemi del mondo complesso in cui viviamo, che non si esaurisce nella sfera della produzione, ma comprende i conflitti che lo agitano, i dilemmi di una natura gravemente vulnerata nei suoi equilibri, le disuguaglianze che lacerano le società umane. La scuola deve diventare adeguata ai saperi umanistici e scientifici che la ricerca più avanzata mette continuamente a disposizione delle istituzioni formative. Essa deve appropriarsi della visione olistica con cui i saperi scientifici, superando le tradizionali divisioni disciplinari, guardano oggi al nostro pianeta: come un tutto unificato da relazioni complesse e spesso invisibili. Occorre ridare unità al sapere e incoraggiamento all’insegnamento di tale sapere.
5) La direzione antistorica sino al grottesco delle recenti riforme, ispirate al compito di piegare gli istituti della formazione alle necessità immediate delle imprese, ha creato dentro la scuola, così come dentro l’università, un’ossessione normativa, un’ansia di controllo dei risultati, che sta soffocando la libertà dell’insegnamento, sta piegando il pensiero umano sotto il calco unidimensionale della prestazione efficiente. Occorre un’opera radicale di smantellamento e di delegificazione, che liberi la figura dell’insegnante dagli infiniti obblighi di rendicontazione che oggi l’opprimono, che gli restituiscano il tempo per lo studio, per l’insegnamento, per il dialogo con i ragazzi. Una scuola assillata dagli obblighi dei risultati si trasforma in una macchina burocratica che uccide ogni creatività. Creatività: la più rara materia prima per costruire un degno avvenire.
Occorre infine comprendere che I dispositivi elettronici e gli apparati digitali che gli attuali legislatori spacciano quale frontiera dell’innovazione culturale e didattica sono in realtà pura strumentazione tecnologica, che rimane vuota senza i contenuti, gli interrogativi fecondanti del sapere. Essa è un mezzo, per quanto utile e importante, non il fine e non può surrogare lo studio, la riflessione, il dialogo.
6) La politica dell’autonomia è in realtà diventata l’occasione per sottrarre risorse pubbliche all’istruzione, costringendo le singole scuole a inventarsi aziende alla ricerca di finanziamenti, di progetti, d’iscrizioni, in concorrenza l’una con l’altra. In questo modo gli svantaggi economici, sociali e geografici di partenza, invece che essere in parte contrastati da una formazione di qualità, diventano motivo di ulteriore svantaggio per gli studenti e le loro famiglie: scuole povere nelle aree povere, scuole ricche nelle aree ricche. Inoltre i carichi burocratico-amministrativi dei nuovi compiti e la loro rilevanza per la vita stessa dell’istituto scolastico hanno creato la separazione tra il gruppo ristretto di docenti a essi assegnati e gli altri che si dedicano solo all’insegnamento. Il rischio concreto sempre più emergente è la perdita di vista dei bisogni educativi e formativi degli studenti, mentre per il docente vede sempre più restringersi la libertà d’insegnamento e la svalutato del suo lavoro.
7)Occorre una decisa politica d’investimento, indispensabile per mettere davvero al centro la scuola e la ricerca, per invertire la rotta di marginalizzazione del Paese e di esclusione di strati sociali e aree geografiche drammaticamente sempre più estese. Occorre liberare gli istituti scolastici da compiti impropri e gli studenti dall’attuale saturazione dei tempi, mettendoli nella condizione di sperimentare che il tempo dell’apprendere, del creare e dell’immaginare, della meditazione interiore, della consapevolezza di sé, è un tempo disteso, non quello soffocato delle mille cose mordi e fuggi, dei mille addestramenti, dei cento attestati. Tale restituzione alla scuola dei suoi compiti più propri deve ridare all’insegnante una dignità ormai compromessa: dignità nella costruzione di un sapere che docenti e studenti realizzano insieme, in una relazione umana reale, con un impegnativo lavoro quotidiano. Perché lo studio è lavoro. La dignità dell’insegnante si realizza anche potenziando la sua cultura e la sua formazione, fornendo a questa figura l’opportunità di un aggiornamento continuo, grazie a un rapporto costante con le nostre università, alla possibilità di usufruire di periodi sabbatici di studio e di frequentazione di corsi, tirocini, lezioni.
8) Occorre abolire la figura del preside manager e ripristinare quella del preside, quale primus inter pares, ispiratore e coordinatore della comunità di studio e di insegnamento che è la scuola. La modellazione gerarchica e autoritaria dei luoghi della formazione sulla forma azienda è una scelta di grave arretramento culturale e di svuotamento della dimensione umana, dialogica e dello spirito cooperativo della scuola.
9) La scuola, come vuole la nostra Costituzione, costituisce un fondamento imprescindibile della mobilità sociale. Essa deve essere dunque pensata come strumento per fornire pari opportunità a tutti i ragazzi, indipendentemente dalle loro provenienze familiari. Per questa ragione essa ha bisogno di risorse supplementari per intervenire sul proprio territorio, ridurre la dispersione scolastica, combattere la tendenza che la marginalità sociale ha di trasformarsi in marginalità culturale. La scuola non può essere pensata fuori dal territorio in cui vive, anche perché dentro di essa precipitano i problemi sociali del nostro tempo. Le grandi migrazioni in atto sconvolgono tutto il nostro quadro sociale. Sempre più nuove culture e saperi e tradizioni di altri popoli si incontrano con la cultura occidentale. La scuola deve dunque essere messa in condizione di accettare le sfide inedite che le si presentano, aprendosi al dialogo interculturale, creando le basi di un nuovo cosmopolitismo, senza il quale il mondo diventerà una Babele ingovernabile, lacerata da guerre e conflitti.Premessa per l’esercizio di questo compito è che la scuola mantenga e sviluppi la sua funzione di presidio democratico-costituzionale in grado di contrastare in modo diffuso, con efficacia e rigore scientifico e culturale, ritorni di fiamma di ideologie e mentalità che evocano come salvifico il passato fascista dell’Italia, mescolando questo richiamo ad ossessivi messaggi xenofobi e razzisti. Sono chiamate evidentemente a concorrere a questo lavoro di bonifica le discipline umanistiche, a cominciare da quelle storico-filosofiche, e le discipline scientifiche come biologia e genetica .
10) Occorre bandire l’ideologia meritocratica, (che non significa disconoscere il merito), pensata per fabbricare l’individuo competitivo. La nostra società è già divorata da un agonismo economico sempre più spinto, oltre il quale c’è il conflitto armato. Noi dobbiamo realizzare nella scuola la cooperazione educativa, insegnare ai ragazzi la capacità di lavorare insieme, di riconoscere la cultura e la dignità dell’altro, di costruire già nella scuola la società solidale di cui l’umanità ha una drammatica esigenza. Noi non abbiamo bisogno di sempre più merci e sempre più a buon mercato, di beni che ormai saturano gli spazi quotidiani, non dobbiamo soddisfare bisogni sempre più indotti e superflui. La nostra necessità, oggi e per il prossimo futuro, è una società cooperativa e concorde, che si prenda cura delle risorse naturali minacciate da una predazione insensata e da una popolazione planetaria crescente. Senza un profondo mutamento dei paradigmi educativi, che guardino alla Natura come un bene comune da preservare, all’umanità come una sola famiglia con pari diritti, l’avvenire probabile sarà una guerra distruttiva di tutti contro tutti.