La Memoria è oggi in estinzione, più del panda e della tigre. L’accelerazione degli eventi, la più rapida mai sperimentata nella storia umana e la complessità dei fenomeni precipitano velocemente nell’oblio avvenimenti ed esperienze, riducendo il respiro dell’analisi e delle strategie in quest’inquietante inizio di Terzo Millennio.
Sarà dunque utile, prima di avventurarsi nel commento alla Laudato Sì, un sintetico ‘ripasso’ della storia dell’ambientalismo, dato che gli ecologisti sono stati i primi – e a lungo i soli- ad ascoltare il grido della Madre Terra devastata dai suoi ingrati figli.
In questo ‘volo all’indietro’, troveremo- non a caso- sintonie profonde con l’enciclica papale e sorprendenti bagliori di pensiero ‘bergogliano’ ante-litteram.
Indice
Gli antesignani della cultura ecologista
A cominciare da John Muir, naturalista scozzese-americano, fondatore nel 1892 delSierra Club, nucleo primigenio dell’ambientalismo statunitense, nonché promotore della campagna che portò nel 1890 alla creazione del primo parco made in USA’,il leggendario Yosemite National Park. Il suo motto “In wilderness is the preservation of the world” (nella natura selvaggia è la salvezza del mondo)ha nutrito generazioni di militanti del Sierra Club, ancora oggi sulla breccia.
Altro precursore di rango fu Aldo Leopold (1887-1948),‘grande padre’ dell’ambientalismo scientifico americano,la cui ‘etica della terra’ può essere condensata in questa citazione di pretto stampo pre-bergogliano: “ Conservation is a state of harmony between man and land” (La conservazione è uno stato di armonia tra l’uomo e la terra) . Autore del famoso “A sad county Almanac” (1949) , tradotto in italiano con il titolo “Almanacco di un uomo semplice”, che alterna descrizioni evocative della natura ancora largamente incontaminata dei suoi tempi con riflessioni sulla tutela dell’ambiente e delle risorse naturali,Leopold è stato e continua ad essere fonte di ispirazione per amanti della natura e ecoattivisti.
Ma sarà Rachel Carson, (1907-1964) biologa e zoologa americana, a dare il via ad un più ampio movimento di cittadini, con la sua denuncia contro gli effetti micidiali dei fitofarmaci in un libro divenuto giustamente famoso in tutto il mondo: “La primavera silenziosa” (1962).
Dapprima contrastata dalle istituzioni e dai poteri forti, riuscì a smuovere le coscienze e a favorire la messa la bando di sostanze pericolose come il DDT (che nel frattempo si era sparso per l’intero globo, contaminando persino le uova degli uccelli dell’Antartide!!!). A ispirarla non fu soltanto il rigore scientifico, ma un profondo amore per la natura e per gli esseri umani. “Più riusciamo a focalizzare la nostra attenzione sulle meraviglie e le realtà del’universo intorno a noi , meno dovremmo trovare gusto nel distruggerlo”. Meraviglia e attenzione amorevole verso il Creato sono due ingredienti che ritroveremo continuamente, e non a caso, nell’enciclica papale.
Saranno dunque gli anni Sessanta a far decollare il moderno movimento ambientalista mondiale, che inizia a strutturarsi in organizzazioni ad hoc. Nasce nel 1961 il WWF Internazionale, che ha tra i suoi padri costituenti scienziati famosi e naturalisti di rango, tra cui Peter Scott , pittore appassionato di wildlife, che disegnerà il celebre ‘panda’,destinato a diventare il logo del WWF mondiale. Segue a ruota, nel 1966, l’istituzione del WWF-Italia, che ha come padre fondatore Fulco Pratesi, il più noto tra i naturalisti italiani. Qualche anno prima, nel 1955, viene istituita per opera di figure intellettuali e morali di altro profilo, come lo scrittore Giorgio Bassani e l’archeologo e filantropo Umberto Zanotti Bianco, l’associazione Italia Nostra, dedita alla salvaguardia dei pericolanti beni culturali, artistici e naturali del nostro paese.
I primi anni Settanta segnano a Vancouver il decollo di un’altra celebre associazione internazionale, Greenpeace, mentre Legambiente ,erede dei primi nuclei ecologisti della sinistra e del forte movimento antinucleare dell’epoca, vede la luce nel 1980. Insieme a miriadi di altri gruppi, associazioni, movimenti che qui non menziono per questioni di spazio, ma che sono stati e sono tasselli fondamentali della costellazione ecologista in Italia e nel mondo.
Negli anni Ottanta prende forma anche la rappresentanza politica :dal 1979 cominciano a costituirsi i partiti Verdi Europei; in Italia nascono nel 1986 le Liste Verdi, che entreranno l’anno dopo, per la prima volta, nel Parlamento Italiano.
1972, la prima conferenza ONU A Stoccolma
Ma è sul 1972 che vorrei soffermarmi,perché è stato un momento cruciale per l’ambiente , purtroppo, quasi dimenticato in quest’epoca di facile oblio.
Accendere i riflettori su quel periodo, significa non solo recuperare la memoria di avvenimenti-chiave nella storia dell’ambientalismo, ma esplorare la genesi delle tematiche della sostenibilità e le radici dell’attuale intreccio tra crisi economica,sociale ed ambientale (temi che torneranno prepotentemente nell’enciclica di Papa Francesco, come vedremo).
Nel giugno 1972 si apre infatti a Stoccolma la prima Conferenza dell’ONU su Ambiente e Sviluppo: alla sua conclusione, 113 nazioni adotteranno un Piano d’Azione composto di 109 dichiarazioni riguardanti alcune aree principali: rapporto tra ambiente e sviluppo: gli aspetti educativi, informativi, sociali e culturali della questione ambientale; l’inquinamento; la gestione delle risorse naturali. Le delegazioni presenti firmarono anche una Dichiarazione costituita da 26 principi che collegavano le tematiche ecologiche a quelle dell’equità, della lotta alla povertà, della qualità della vita.
Nella capitale svedese, il dibattito vedeva in campo due fazioni contrapposte: i neo-malthusiani, capitanati dallo scienziato californiano Paul Erlich, autore del best-seller “Popolazione, risorse, ambiente” e fondatore di un’organizzazione dal nome significativo “Zero Population Growth”, che attribuivano all’incremento demografico la responsabilità primaria della crisi ambientale. Dall’altra parte della barricata, gli anti-malthusiani, che avevano il loro leader nello scienziato Barry Commoner, autore del celebre libro “Il cerchio da chiudere”, pubblicato nel 1972 (cui avrebbero fatto seguito altri testi, tra cui “Le tecnologie del profitto”, da me tradotto in italiano e pubblicato nel 1973 da Editori Riuniti e “La povertà del potere”uscito nel 1976, che innescò un’ intensa querelle tra repubblicani e democratici al Congresso Usa).
Commoner metteva in evidenza lo stretto legame tra crisi ambientale,sociale ed economica che considerava conseguenze delle disfunzioni del sistema di sviluppo capitalista e puntava il dito su un modello di produzione-consumo basato su tecnologie distruttive per l’ambiente. Non mancava mai, inoltre, di osservare che “ il prezzo della crisi ambientale dovrà essere pagato con l’antica moneta dalle giustizia sociale.”
Parole che trovavano profonda risonanza nel gruppetto di ambientalisti italiani presenti, (tra cui la sottoscritta), scarso di numero ma ricco di personalità di prim’ordine, come il giornalista Antonio Cederna e il professore di merceologia Giorgio Nebbia, due dei più eminenti pensatori del nascente movimento ecologista nostrano.
Nel firmamento di Stoccolma, brillava anche la luce del controverso ed eccentrico ecologista britannico Edward Goldsmith, fondatore della rivista “The Ecologist” ,. Per l’occasione , era stato sfornato un numero speciale, intitolato “Blueprint for survival” (di cui conservo una preziosa e rara copia), una sorta di articolata road map per la sopravvivenza del pianeta e dei suoi abitanti, purtroppo percorsa da una vena elitaria ed autoritaria che gli valse gli strali degli esponenti della sinistra presente al vertice.
Nonostante tali limiti, “Blueprint” non mancava di sincera solidarietà nei confronti dell’umanità in pericolo e neppure di slanci poetici: Goldsmith amava infatti invocare, “L’alba di una nuova epoca, in cui l’Uomo impari a vivere CON la Natura e non CONTRO di essa”.
Accanto ai due schieramenti antagonisti, si andava già all’epoca delineando un embrione di ecologismo terzomondista. Molto attiva nel controvertice che, come in ogni Conferenza ONU accompagnava il summit ‘ufficiale’, era la OI COMMITTEE, formata di esponenti del cosi detto Terzo Mondo e guidata dal senegalese Landing Savané. Costui si aggirava nei meetings sfoggiando con orgoglio abiti etnici di splendide stoffe azzurre ed oro,opponendo con calma solenne alle ragioni del ‘primo mondo’ industrializzato quelle degli abitanti del cosi detto ‘terzo mondo’, condannato al sottosviluppo. Nei decenni successivi, Landing sarebbe diventato il fondatore del partito comunista del suo paese, un noto parlamentare e per due volte candidato alla presidenza del Senegal.
Molto attivo al suo fianco era anche un giovane messicano, Francisco Szekeley , destinato poi a diventare un alto dirigente dell’UNEP, professore di Sostenibilità Globale e Leadership in prestigiose università internazionali e vice ministro per l’ambiente nel suo paese. Per contestare i neomalthusiani che additavano nella contraccezione uno dei principali strumenti per arginare il galoppo delle nascite, e dunque le derivanti conseguenze negative per l’ambiente, Francisco aveva coniato una frase assai ‘gettonata’ nella fazione anti-malthusiana: “La miglior pillola è lo sviluppo”.
Per ridurre la natalità,argomentava, non erano sufficiente distribuirei anticoncezionali e fornire educazione demografica: “Occorre cambiare le strutture economiche avviando un’equa redistribuzione dei redditi e delle risorse. Non è tollerabile che il 20 % dell’umanità ingoi l’80% delle risorse, lasciando ai poveri le briciole. Solo con l’aumento del benessere e dell’educazione delle donne potremo avviare la transizione demografica e ridurre il numero delle nascite” sintetizzavano gli esponenti della OI Committee.
Senza mai tralasciare di notare che si trattava anche di una questione di consumi e stili di vita più o meno esigenti nei confronti degli ecosistemi del pianeta, visto che un bambino nato nei paesi industrializzati pesava (e pesa) sull’ambiente quaranta volte di più di un neonato dei paesi poveri.
Rievoco nel dettaglio questi dibattiti per dimostrare che sul tavolo della Conferenza di Stoccolma c’era già tutto.: l’incredibile complessità della questione ambientale era stata squadernata nella capitale svedese con una lucidità d’analisi e una vivacità d’opinioni sicuramente superiori al livello odierno.
I limiti della crescita
Complessità che venne chiamata in causa, sempre in quello stesso fatidico 1972, da un famoso libro “The limits to growth” (tradotto in italiano con il titolo ‘I Limiti dello Sviluppo’) di cui erano autori i coniugi Dennis e Donnella Meadows del prestigioso MIT (Massachussetts Institute of Technology).
A promuovere il testo, il CLUB DI ROMA, un organismo istituito a metà anni Sessanta, che raccoglieva scienziati, imprenditori ‘illuminati’,intellettuali ed economisti di rango. All’epoca giovane giornalista ambientalista, ebbi l’opportunità di intervistare, prima dell’uscita del libro, uno dei fondatori del CLUB, Aurelio Peccei, manager dell’Italconsult .Mi spiegò che il mondo aveva bisogno soprattutto di una vera e propria palingenesi culturale, di un ‘salto copernicano’ rispetto alla vigente visione dell’universo e della Terra.
“Il problema di fondo è che non si può avere una crescita illimitata su un pianeta che ha risorse limitate. Dobbiamo quindi avviare una transizione da uno stato di crescita avventurosa e caotica, tipica delle cellule cancerogene, ad uno stato di equilibrio globale.”Peccei era convinto che questo ‘passaggio epocale’ sarebbe avvenuto anche grazie al mutamento dei paradigmi di pensiero innescati dal libro: “ Questo testo- mi disse battendo la mano sulla pila delle bozze bene in vista sulla sua scrivania- cambierà il modo di pensare dell’umanità’.
Tradotto in 27 lingue, venduto in 12 milioni di copie ed inviato a migliaia di ‘decisori’ a livello mondiale, il libro suscitò in effetti un dibattito internazionale intenso e non di rado virulento: molti ecologisti nutrivano dubbi sulla possibilità di limitare lo sviluppo e di predicare la non-crescita ai paesi poveri, congelandoli nel sottosviluppo. A sinistra, inoltre, i seguaci del marxismo allineati su posizioni commoneriane,accusavano lo studio del MIT di aver immesso nel calcolatore solo cinque variabili (popolazione, produzione alimentare,sfruttamento risorse,industrializzazione e degrado ambientale) , trascurando i fattori sociali ed economici, nonché i cambiamenti positivi che potevano scaturirne.
C’erano altre statistiche, altri elementi da tenere d’occhio, suggerivano i critici del CLUB DI ROMA. Per esempio, quelli che sciorinava sulla rivista “SAPERE”, uno dei fari dell’intellighentsia della sinistra dell’epoca, il prof. Giulio Maccacaro ricordando che bisognava mettere in conto il potere immenso delle multinazionali. “ E’ più rilevante la demografia dei sudditi di Sua Maestà Britannica o quella dei soggetti dell’ITT? Per le sorti del mondo, il saggio del’incremento della popolazione del continente Australia conta più o meno di quello del continente IBM?”. Temi, come si vede, attualissimi e che non a caso verranno ripresi, in un’accezione ovviamente autonoma ed originale, dall’enciclica di Papa Francesco.
Il vertice di Rio sancisce lo sviluppo sostenibile
A distanza di oltre quarant’anni, placati i furori ideologici di quei tempi, bisogna riconoscere al dibattito innescato dal MIT e dal CLUB DI ROMA il merito di avere messo in primo piano il concetto di LIMITE, destinato a diventare uno dei pilastri portanti del pensiero ecologista. Sia pure con lacune vistose e con un’impostazione tecnocratica-conservatrice, il rapporto contribuì a svegliare le coscienze, dimostrando che non è possibile né augurabile una crescita infinita su un pianeta che ha risorse finite.
Benchè il 1972 , come abbiamo visto, sia stato decisamente un anno-chiave per l’analisi della questione ambientale sotto tutti i suoi aspetti e per il decollo del nascente movimento ambientalista mondiale, dovettero passare vent’anni prima che un’altra grande Conferenza ONU, il cosi detto Summit della Terra del 1992 a Rio de Janeiro, sancisse a livello globale l’urgenza di imboccare la strada dello sviluppo sostenibile.
Sviluppo sostenibile che nel frattempo aveva avuto la sua definizione ‘ufficiale’ nel cosi detto RAPPORTO BRUNTLAND, così chiamato in omaggio all’allora premier norvegese Gro Harem Bruntland, una donna straordinaria che guidava all’epoca la Commissione Onu incaricata di redigere il documento.
Lo sviluppo sostenibile veniva definito come “un processo finalizzato alla tutela delle risorse naturali” che doveva mirare “ a soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, evitando di compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.” Un processo che veniva dichiarato incompatibile non solo con il degrado delle risorse naturali, “ma anche con la violazione della dignità e della libertà umana,con la povertà e con il declino economico, con il mancato riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità”.
Sostenibilità,dunque, a tutto tondo: ambientale, sociale, economica,culturale.
Stesso messaggio che uscì dal Vertice di Rio, davvero una svolta epocale. Unanimi, 178 paesi presenti, 7mila Ngos, 8000 giornalisti e decine di migliaia di attivisti nel vivacissimo Forum della società civile, si dissero d’accordo sull’urgente necessità di imboccare la via della sostenibilità globale. Vennero firmate due Convenzioni (sulla tutela della biodiversità e sulla lotta ai cambiamenti climatici) e approvata una Dichiarazione di Rio che snocciolava 27 principi generali di tutela ambientale e sviluppo sostenibile, nonché una Dichiarazione sulla conservazione delle foreste.
Particolare rilievo venne dato all’ importante (per numero e qualità) presenza delle donne nel contro-vertice (a Stoccolma eravamo pochissime, a Rio così tante che nel Forum venne addirittura assegnato un vasto spazio denominato ‘Planeta Femea”). E fu proprio una donna, la combattiva Wangari Maathai– leader del movimento ambientalista africano, destinata poi a diventare personaggio di spicco e vice ministro dell’ambiente nel suo Kenya natale- ad essere scelta per rappresentare nei fori ufficiali le ragioni delle Ngos e dei movimenti presenti a Rio.
Mentre cominciava a brillare la stella di Vandana Shiva, altra donna eccezionale, scienziata nucleare indiana che sarebbe diventata una delle voci più autorevoli dell’ambientalismo mondiale, autrice di numerosi best-sellers di critica al ‘malsviluppo’ e alla globalizzazione. Ma soprattutto tra le pochissime attente agli aspetti spirituali della questione ambientale, in omaggio alla tradizione culturale indiana.
La Shiva rivendicava con forza la riscoperta della PRAKRTI, il principio femminile che è presente in ogni forma di vita,il processo creativo della Terra Mater. Così scriverà in “Sopravvivere allo sviluppo” (Ed. Isedi, 1988): “Il pensiero della crisi non può offrire soluzioni. Gli unici che hanno il coraggio di pensare alle soluzioni sono proprio quelli che sono stati ritenuti incapaci di pensare. Come le donne del Terzo Mondo, per le quali è chiaro che la questione è la sopravvivenza, di cui sono esperte senza pari. L’uomo ‘razionale’ del moderno Occidente si espone a un fascio di irrazionalità,che minacciano la sopravvivenza concreta del genere umano. Quando ci accorgiamo che quelli che sostengono di portarci alla luce ci hanno condotti al buio, mentre quelli che si sosteneva brancolassero nell’ignoranza sono in realtà illuminati, la razionalità impone di ridefinire categorie e concetti. La riscoperta del principio femminile come rispetto per la vita nella natura e nella società appare come la sola strada di progresso, per gli uomini e per le donne,per il Nord e per il Sud del mondo.”
Convinzioni che hanno portato Vandana Shiva, ormai riconosciuta come una delle menti più acuminate della cultura ambientalista planetaria, a diventare una delle leader più autorevoli dell’ecologismo e a lottare da protagonista in battaglie chiave come la lotta agli OGM, alla biopirateria e all’appropriazione del patrimonio dei semi da parte di poche e rapaci multinazionali,dando fiato alle ragioni di milioni di piccoli contadini, in particolare donne, in tanta parte del Sud del mondo.
Per quanto epocale, tuttavia, anche la Conferenza di Rio non si dimostrò all’altezza delle monumentali sfide che dichiarava di voler affrontare. Il WWf-Italia (di cui ero all’epoca presidente nazionale), ovviamente presente all’importante appuntamento insieme al WWF International, sintetizzò le richieste degli ambientalisti nella formula “uno sviluppo equo nei limiti della capacità di carico del pianeta”,criticando l’incapacità dei governi mondiali di passare dalle belle dichiarazioni di principio a strategie concrete per promuovere un’autentica sostenibilità.
Pecca vistosa che ha segnato via via il rosario di conferenze internazionali che si sono susseguite nei decenni seguenti e l’azione (sarebbe meglio dire l’inazione) della governance globale, che qui non abbiamo tempo di analizzare nei dettagli.
Preme invece sottolineare come, dopo Rio, l’assunzione della complessità della questione ambientale, già maturata in diversi gradi nei movimenti ambientalisti e nei partiti Verdi negli anni ’80, sia divenuta elemento costitutivo dell’ambientalismo dei decenni successivi.
L’urgenza di costruire un FUTURO SOSTENIBILE,passava dunque per un vero e proprio MATRIMONIO TRA ECOLOGIA ED ECONOMIA, due parole che non a caso hanno in comune il prefisso ECO (dal greco ‘oikos’,casa). Per tutelare davvero la casa comune,predicavano e predicano- purtroppo spesso inascoltati- gli eco attivisti, occorre promuovere un’integrazione tra le dimensioni ambientali,sociali,economiche e culturali, senza la quale la formula ‘sviluppo sostenibile’,che già contiene in sé una contraddizione in termini, rischia di trasformarsi in un ‘mantra, ripetuto in ogni rapporto,documento,conferenza a tutti i livelli, ma destinato a svuotarsi di significati concreti.
Nello stesso periodo, sotto la pressione di una crisi ambientale che non accennava a smorzarsi, ma che via via si aggravava (secondo i dati del WWF International entro il 2000 si era già consumato il 30% circa delle risorse chiave del pianeta, acqua, foreste, suolo, con gli effetti devastanti che ormai tutti conosciamo), andava acquistando vigore la grande questione dei ‘BENI COMUNI’.
Questione non solo teorica, ma tradotta in pratica in esperienze di comunità consapevolmente ‘eretiche’ rispetto allo sviluppo dominante (vedi le battaglie dei popoli indigeni a difesa della foresta e della Pacha Mama, la Madre Terra), comunità che si auto educavano per mettersi in grado di “procurarsi cose senza il cartellino dei prezzi sopra”, come notava l’intellettuale ambientalista tedesco Wolfgang Sachs, autore di fondamentali saggi sul tema.
Senza tralasciare altri pensatori autorevoli che si sono esercitati sulla questione, come Ivan Illich, la già citata Vandana Shivae Lester Brown (quest’ultimo promotore già dagli anni ’80 del celebre rapporto The State of the World, pubblicato ogni anno per fare il punto sulle megatendenze ambientali,sociali ed economiche del globo ) .
Nel percorso post-Rio, non possiamo non ricordare, sia pure a volo d’uccello, qualche altra tappa fondamentale nell’evoluzione della questione ambientale, tappe la cui risonanza ritroveremo nell’enciclica di Francesco.
Da Kyoto a Parigi, il clima si scalda
Ricordo, in estrema sintesi, il protocollo di Kyoto contro i cambiamenti climatici firmato nel 1997 nella città giapponese, punto d’inizio di un cammino scandito da una serie di megaconferenze sul clima,culminate con la recentissima Conferenza di Parigi; l’impennata nel 1999 , a Seattle, in occasione del summit del WTO (organizzazione mondiale del commercio) del ‘movimento dei movimenti’, che siglò l’alleanza tra paladini dell’ambiente, sostenitori dei diritti umani e difensori dei lavoratori e cittadini, sia pure con limiti e contraddizioni vistose; la Conferenza Rio + 10 di Johannesburg, nel 2002, che segnalò, (come peraltro i vertici successivi, fino al flop clamoroso della Conferenza di Copenaghen nel 2009) la preoccupante impotenza dei governi e delle istituzioni internazionali di fronte al groviglio delle crisi multiple. Intreccio,reso ancor piu’ micidiale dal prevalere della finanza sull’economia reale e dal galoppo di una globalizzazione che faceva del mercato il totem indiscusso, lasciando in ombra le grandi tematiche dell’ambiente,dei diritti e dei beni comuni.
Anche l’ultima, e tanto osannata, Conferenza di Parigi sul Clima alla fine del 2015 si è purtroppo tradotta in un accordo certamente rilevante, visto che è stato firmato da tutti i presenti, ma indubbiamente insufficiente ad arginare l’avanzata impetuosa del riscaldamento globale. “Too little, too late”(troppo poco, troppo tardi) hanno sintetizzato molti ambientalisti, pur non sottovalutando i passi avanti e la portata storica del documento di Parigi. La discrepanza tra il ritardo terrificante con cui il mondo si muove e il galoppo del caos climatico, che ormai ci è addosso, è ormai palese a chiunque.
Da un lato l’approccio della governance mostra vistosamente la corda e rivela la mancanza a livello teorico di una vera e propria ‘visione del mondo’ alternativa a quella dominante. Dall’altro si palesa la debolezza delle strategie concrete, sia pur ragguardevoli e interessanti, che ricadono sotto il nome di ‘green economy’ (efficienza energetica, fonti d’’energia rinnovabili, mobilità sostenibile,agricoltura biologica e di qualità, rigenerazione urbana e bioedilizia, per citarne solo alcuni capitoli).
Ovviamente l’economia verde è meritevole di sostegno ( e infatti sostenuta con forza dagli ambientalisti, sia nei movimenti che nelle istituzioni) perché dimostra nei fatti che ‘un altro mondo è possibile ‘, che l’integrazione tra le dimensioni sociali,economiche e ambientali non è un’utopia verde ma una opportunità reale, che ragioni del lavoro e ragioni dell’ambiente possono e devono andare d’accordo (secondi i calcoli di varie istituzioni UE sono già circa 5 milioni i green jobs in Europa e l’albero dei lavori e delle professioni verdi sta germogliando in tutto il globo),. Tuttavia la GREEN ECONOMY rischia di diventare niente più che un ramo verde sul tronco di uno sviluppo ‘business as usual’, un’oasi nel deserto di un neoliberismo selvaggio che procede incurante delle conseguenze nefaste inflitte a Madre Terra e ai suoi abitanti, specialmente i più poveri e vulnerabili.
Nell’intreccio delle problematiche, si innesta anche la crisi della democrazia, di una reale partecipazione democratica alle scelte che disegnano il presente e il futuro dei popoli. Stiamo assistendo ad un esodo del Potere, quello hard, quello vero, dai luoghi della democrazia rappresentativa (parlamenti, governi, partiti,sindacati, organizzazioni di rappresentanza) verso le nebulose della grande finanza e delle multinazionali, spesso difficili da individuare e da stanare, poteri forti annidati in luoghi virtuali, cui è arduo persino dare un volto e un nome.
Ammoniva profeticamente Ralph Nader, leader dei Verdi statunitensi, nel 2004, ad una Convention del partito nel Michigan, a cui presi parte come Portavoce dei Verdi Europei : “Presto il confronto conflittuale sarà direttamente tra il ‘citizen power’, ovvero i cittadini lasciati a se stessi e il ‘corporate power’ ovvero il dominio della finanza e delle multinazionali, perché verranno di proposito indeboliti i corpi intermedi, i soggetti della mediazione democratica. “
Profezia che si sta puntualmente avverando.
Ma poiché la realtà è spesso sorprendente, il contrappasso si sta già manifestando sotto forma di un forte flusso di reazioni da parte della società e dei cittadini: vedi le costellazioni di movimenti,gruppi,associazioni,comitati che mirano a costituirsi come ‘attori del cambiamento’ ,colmando- sia pure tra contraddizioni e limiti non irrilevanti- il vuoto lasciato dalle istituzioni, dai corpi intermedi e dal recente declino dell’ambientalismo storico e dei Verdi.
I semi gettati dall’ecologismo d’antan, insomma, stanno germogliando in terreni inediti,con risultati spesso inattesi e stupefacenti.
Le radici verdi della Laudato Si’
Una di queste ‘liete sorprese’, certamente una delle più rilevanti ed epocali, destinata a lasciare un segno su tutta l’umanità, è l’apparizione della LAUDATO SI’, nel giugno 2015.
Sappiamo bene che parlare di ‘apparizione’,come se l’enciclica fosse un fiore miracolosamente sbocciato nel deserto, è inappropriato e riduttivo.
In realtà, il filone ‘verde’ dentro la storia della Chiesa ha radici antichissime e inanella nel corso dei secoli e dei millenni figure di spicco come Sant’Agostino, San Basilio di Cesarea o San Benedetto, che possono essere considerati veri e propri precursori dell’ecologismo moderno. Non mancano svettanti icone femminili, come Ildegarda di Bingen, il cui elogio della ‘viriditas’, della forza vitale della Natura ricorda a molti di noi ecologisti la possente ‘prarkti’ evocata da Vandana Shiva (per approfondimenti, consiglio il libro della scrittrice Neria De Giovanni “Ildegarda di Bingen”LEV,2013).
Su tutti, ovviamente , si staglia Francesco d’Assisi, la cui preziosa eredità viene ripresa e valorizzata dall’enciclica papale e di cui parleremo in seguito.
Chi volesse ripercorrere passo a passo il dipanarsi di questo nastro verde nella storia della Chiesa, potrà leggere con profitto il libro “La foresta come chiostro” (Ed. San Paolo, 1997) del sociologo e storico Valerio Merlo. Una puntuale indagine del rapporto tra monachesimo e difesa della natura, in particolare la salvaguardia dei boschi (per esempio, quello famoso dei Camaldoli dove, non a caso, i Verdi toscani organizzarono nel 2000 un primo convegno ufficiale su ‘Natura e Spiritualità’, su impulso della sottoscritta, che aveva appena pubblicato il suo primo testo sull’argomento, intitolato ‘In Viaggio con l’Arcangelo’, ed. Idea Libri).
Contrariamente al diffuso pregiudizio secondo cui il cristianesimo era ‘nemico’ della Natura (pregiudizio che segna anche una certa parte del mondo ambientalista), il volume di Merlo porta a concludere, attraverso una paziente ed accurata ricognizione dell’influenza esercitata dalle ‘idee cristiane sull’ambiente vegetale, che il cristianesimo ha contribuito non poco alla conservazione e al miglioramento del manto forestale.
Ma l’attenzione verso la Madre Terra non appartiene solo al passato: nel seno della Chiesa non mancano neppure oggi illustri testimonials dell’ecologia,. Ne cito uno per tutti, che ho avuto l’occasione d’incontrare nel Duemila alla fiera del Libro di Torino: il teologo brasiliano Leonardo Boff, ex frate francescano, tra gli esponenti più noti della ‘teologia della liberazione’,scrittore e autore di libri significativi sul rapporto tra ecologia e spiritualità.
Il suo libro “Ecologia, mondialità. mistica” ( Cittadella Editrice, 1993) indica senza mezzi termini l’urgenza di un più profondo approccio alla questione ambientale: “L’ecologia non è un lusso per ricchi, una faccenda dei gruppi ecologici o dei verdi o dei rispettivi partiti politici. La questione ecologica rimanda a un nuovo livello della coscienza mondiale: l’importanza della Terra come un tutto, il bene comune della Natura e dell’essere umano, l’interdipendenza esistente tra tutti, il rischio apocalittico che pesa sul creato.”
Accanto a questi testimoni, non può essere trascurato l’ingente contributo di studi, rapporti,indagini, libri che in questi ultimi decenni sono stati prodotti dentro la Chiesa e in ambienti vicini. Cito anche qui un titolo per tutti, il volume intitolato “Terra,aria,acqua e fuoco” (ed. EDB 2012) firmato dal docente di teologia morale Bruno Bignami,presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari.
“Per la comunità cristiana.- afferma nel suo testo- si apre la strada per un rinnovato incontro con le fondamentali domande dell’uomo: che senso hanno i doni del creato? Per chi sono? Come promuovere la comunione e la fraternità tra gli uomini? Finora, in campo teologico, l’ecologia è stata un’appendice del trattato di bioetica. Non dovrebbe più essere così: è la bioetica a costituire un capitolo dell’etica ecologica. Infatti, senza un ambiente ‘casa comune abitabile’,ogni discorso sulla vita umana è superfluo.”
A queste domanda non sono state certo sorde le più alte istituzioni della Chiesa, a cominciare dai vertici, dagli stessi papi.
Già nel 1970 Paolo VI denunciò alla FAO il rischio di “..una vera catastrofe ecologica” provocata dai “..contraccolpi della civiltà industriale, invocando quindi “ l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta umana”.
E’ poi la volta di Giovanni Paolo II il quale, nella “Sollicitudo Rei Socialis del 1987”, osserva che le risorse naturali sono limitate e che “usarle come se fossero inesauribili, con assoluto dominio, mette seriamente in pericolo la loro disponibilità”, anche per le generazioni future.
E ancora, nella Giornata della Pace del 1990, il papa si lancia in esortazioni che gli varranno persino l’appellativo di ‘khmer verde’ da parte di taluni ambienti neoconservatori. Giovanni Paolo II, infatti, formula quello che potremmo definire ‘il decalogo ecologico secondo il Cristianesimo’(nella cui stesura ha avuto un ruolo di primo piano il cardinale Ratzinger, futuro Benedetto XVI). Il cammino umano deve scegliere una via di sobrietà, avverte il papa, e ogni stato ha tra i suoi doveri quello di prevenire il degrado della biosfera.
Per poi tornare sul tema nella “Centesimus annus” (1991), notando che troppo poco si stava facendo per “salvaguardare le condizioni morali di un’autentica ecologia umana.” E ricordando, sempre nella medesima enciclica, che la capacità umana di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio.
Ancor più esplicito sarà Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, che pronuncia le sue esortazioni ecologiche in un Vaticanoben deciso a mettere in pratica i buoni propositi verdi. Non molti lo sanno, ma il più piccolo Stato del mondo è divenuto in questi anni il primo ‘climaticamente neutrale’, grazie all’installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto del principale auditorium,al solar cooling (raffreddamento solare) di cui usufruiscono le sale da pranzo, alla piantumazione di una ‘foresta climatica’ di centinaia di ettari nel Parco nazionale di Bukk (Ungheria) per compensare le emissioni di CO2 del Vaticano.
Suonano dunque come ancor più credibili (anche se ovviamente moltissimo resta da fare per rendere il Vaticano davvero ecocompatibile) le parole di Benedetto XVI pronunciate il 9 giugno del 2011 davanti ai nuovi ambasciatori: “ L’uomo, al quale Dio ha affidato la buona gestione della natura, non può essere dominato dalla tecnica e divenirne il soggetto. Una tale presa di coscienza deve portare gli stati a riflettere insieme sul futuro a breve termine del pianeta,di fronte alle loro responsabilità verso la nostra vita e le tecnologie. L’ecologia umana è una necessità imperativa. Adottare in ogni circostanza un modo di vivere rispettoso dell’ambiente e sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio del creato e non comportino pericolo per l’uomo devono essere priorità politiche ed economiche. In questo senso, appare necessario rivedere totalmente il nostro approccio alla natura. Essa non è soltanto uno spazio sfruttabile e ludico. E’ il luogo in cui nasce l’uomo, la sua casa.”
Poiché Benedetto ha parlato di ecologia più di qualunque altro suo predecessore, non possiamo in questo contesto citarne tutti gli interessanti interventi, rimandando il lettore alla consultazione del volume “Per un’ecologia dell’uomo” un’antologia di testi curata da Maria Milvia Morciano,con la prefazione di Mons. Jean-Louis Bruguès (Libreria Editrice Vaticana, 2012).
Nella prefazione, viene posta una domanda che è anche quella di tutti noi:l’appello del ‘papa verde’ sarà ascoltato da un’umanità segnata da una dilagante secolarizzazione e dai miti del successo e del consumismo? “Non si chiede ai profeti di essere popolari- si risponde e ci risponde Mons. Bruguès- qualli veri non lo sono mai. Ci si aspetta che disturbino. Dopo il fallimento di Durban (conferenza Onu del2011, ndr…) questo ‘Papa verde’ non perde l’occasione di farlo.”
La Laudato Si’: una visione del mondo
Se le riflessioni-esortazioni dei suoi precursori hanno indubbiamente disturbato/inspirato il mondo, non c’è dubbio che la LAUDATO SI,nei cui meandri ci apprestiamo ora ad entrare, il mondo lo abbia letteralmente risvegliato . Una sveglia squillante, impossibile da non ascoltare, che disturba le cattive coscienze e consola le buone.
La clamorosa novità della Laudato Sì sta sostanzialmente in tre elementi: è la prima volta che un’intera enciclica viene dedicata ai temi ecologici, riunendo in un unico documento i pur numerosi spunti,citazioni, pronunciamenti e studi non solo dei già citati esponenti della storia della Chiesa, compresi i papi, ma delle gerarchie ecclesiastiche e dell’intero ‘corpus’ dell’Ecclesia. L’impatto di questa sintesi è ovviamente assai più potente e pervasiva delle precedenti prese di posizione e colloca la Chiesa in prima linea nella battaglia per la tutela del Creato, colmando così un ritardo di decenni che non pochi ambientalisti rimproveravano ai vertici ecclesiastici.
Dunque siamo di fronte non tanto e non solo ad un’Enciclica ‘verde’, ma una vera e propria ‘VISIONE DEL MONDO. Una lettura complessiva della realtà all’inizio del Terzo Millennio, un’analisi puntuale e profonda delle cause dell’intreccio tra crisi ambientale,sociale ed economica e un’indicazione precisa e meditata delle possibili vie d’uscita.
Ma c’è di più, molto di più: papa Francesco introduce con forza nella sua disanima la dimensione etica e spirituale che costituisce l’autentica ‘anima’ dell’enciclica e che la distingue in maniera netta da migliaia e migliaia di pur autorevoli e interessanti contributi di scienziati, ambientalisti DOC, esperti della questione ecologica nonché dalla pletora di documenti, dichiarazioni e pronunciamenti ai vari livelli istituzionali.
Questo approccio fa del papa l’unico vero LEADER oggi presente nel pianeta. Se il verbo ‘to lead, infatti, significa ‘condurre verso’’ , è indubbio che l’unico in grado di proporre una ‘Visione del Mondo’ verso cui guidare l’umanità, di indicare una stella polare che illumini il tormentato cammino degli esseri umani, sia appunto Francesco.
Riconoscimento unanime di questa leadership gli è venuto dagli ambienti più disparati, non solo cattolici e cristiani ma anche laici, e persino dalla sinistra. Leadership particolarmente utile e preziosa se si pensa che spetterebbe alla politicail compito di disegnare e di portare avanti un progetto per la POLIS, la comunità degli esseri umani (per gli ambientalisti, e ormai non solo, il progetto va esteso a comprendere l’intera COMUNITA’ DEI VIVENTI, come in effetti fa la Laudato Sì). La politica nella sua accezione più alta e nobile dovrebbe infatti fornire una ‘visione del mondo’ (attenzione! non un’ideologia, che è visione del mondo cristallizzata e ingabbiata) da cui dovrebbe discendere una ‘strategia’ e infine, quando necessario, una ‘tattica’.
Purtroppo, in quasi tutto il globo e con l’eccezione di ben poche figure di spicco, le priorità della politica sono state ribaltate, e la tattica- perlopiù di basso cabotaggio- ha preso il sopravvento,mentre la strategia è quasi assente o comunque insufficiente e della ‘visione del mondo’ si sono perse le tracce. O meglio, la politica è troppo speso supina di fronte alla ‘vision’ imposta dal mercato e dagli interessi forti della grande finanza e delle multinazionali (come peraltro non manca di notare l’enciclica di papa Francesco).
In questo panorama mondiale piuttosto desolante,la stella accesa da papa Francesco non poteva che imporsi con forza, suscitando interesse e clamore (nonché attacchi e controversie, anche queste segno della sua rilevanza) forse più di qualunque altra presa di posizione ufficiale della Chiesa.
Il secondo motivo dell’attrazione suscitata dalla LAUDATO SI’ sta nella ‘firma’,la ‘griffe’ papale.
Il nome scelto da Bergoglio quando è diventato papa non è certo casuale. Nomenomen, dicevano i latini.
L’aver deciso di assumere il nome ‘Francesco’ rimanda con immediatezza e senza equivoci al Poverello d’Assisi e al suo conclamato amore per il Creato. E segnala una riscoperta consapevole e decisa della ‘mission’ ecologica del Santo, la volontà di riprendere in mano quell’elogio amorevole della natura e del mondo, quella compassionevole e delicata tutela e condivisione di destini con le altre creature che ha fatto di San Francesco il ‘patrono’ per eccellenza del Creato.
Per togliere ogni dubbio, si aggiunga che il titolo LAUDATO Sì viene mutuato di peso dal meraviglioso Cantico delle Creature, richiamato non per caso in termini espliciti dal papa fin dall’esordio, nell’incipit stesso del documento.
Il terzo motivo di interesse, che spiega l’intensa reazione mondiale rispetto all’enciclica, è dato dalla scelta dei tempi, anch’essa non casuale. La Laudato SI’ è apparsa, infatti, nel giugno del 2015 a ridosso dell’importante Conferenza di Parigi sul Clima che si è svolta alla fine dello stesso anno e che per settimane ha catalizzato l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica e dei ‘decisori’ sulla bollente questione del cambiamento climatico. Conferenza che, come abbiamo già rilevato, pur costituendo un indubbio passo in avanti, non si è certamente rivelata all’altezza del compito.
La consapevolezza dell’immane ritardo e dell’insufficienza delle risposte globali non è più, peraltro, patrimonio dei soli ambientalisti o degli scienziati sempre più allarmati ( vedi i vari rapporti dell’IPCC, International Panel On Climate Change, il drappello di esperti chiamato a monitorare l’avanzata irresistibile del riscaldamento planetario,).
Persino ambienti sino a ieri disattenti (direi colpevolmente disattenti) se non ostili ai temi ambientali, come quelli dell’alta finanza,non possono oggi negare il peso del cambiamento climatico come grande questione geopolitica mondiale.
Ne è una riprova il meeting del World Economic Forum, che si riunisce ogni anno a Davos, in Svizzera e che a gennaio di quest’anno ha diffuso un rapporto , stilato da 750 esperti, che mette il cambiamento climatico in testa alla hit parade dei rischi globali sospesi come una spada di Damocle sull’umanità.
Per il 2016, precisano gli esperti, in cima alla classifica vi sono i flussi migratori, ma negli anni successivi l’impazzimento del clima si piazzerà al primo posto. Peraltro è ormai palese la stretta connessione tra migrazione e cambiamento climatico,:esiste già da tempo la categoria (sia pure non ‘ufficialmente catalogata’) degli eco-profughi, già oggi milioni di persone che diventeranno nei prossimi decenni ben 250 milioni in tutto il mondo. Un esempio tragicamente attuale: la fuga del popolo siriano, dovuta senz’altro alla volontà di scampare alla guerra e alle distruzioni in corso, ma aggravata dalla prolungata siccità che ha colpito il paese dal 2006 al 2011.
Le sintonie con il pensiero ambientalista: Alex Langer
Se il mondo intero ha accolto con interesse l’enciclica, che ha dato il via ad un intenso dibattito e ha registrato anche attacchi alla posizione del papa (non si poteva peraltro pensare che gli interessi forti, colpiti in modo così diretto, non reagissero), per l’universo ambientalista nel suo complesso la reazione è stata di felice sorpresa, di sollievo,di gratitudine. Con qualche critica, ovviamente, rivolta soprattutto al diverso approccio riguardo alla questione demografica, alla querelle sugli OGM(che gli ambientalisti avversano in modo molto più netto) e al complessivo ritardo che ha finora impedito alla Chiesa di svolgere un ruolo da protagonista nella battaglia per la difesa del pianeta.
Notazioni critiche a parte, però, l’Enciclica non poteva che essere musica per le orecchie degli ecologisti.
Tante le consonanze, le risonanze, le profonde sintonie tra la cultura ambientalista e la visione del mondo scandita dalla Laudato Sì .A cominciare dallo stesso titolo: “LAUDATO SI’ – LETTERA ENCICLICA SULLA CURA DELLA CASA COMUNE.
Già nell’intitolazione scelta da Francesco, infatti, sono messe in risalto due parole estremamente care all’universo ecologista: CURA e CASA COMUNE. Nel concetto di CURA sono infatti contenuti due ingredienti chiave della cultura ambientalista: l’assunzione di responsabilità,individuale e collettiva, nei confronti dell’ambiente,della natura e del nostro prossimo, ovvero tutti i viventi ma anche la tenerezza, l’amore, la compassione con cui la cura va tradotta in fatti concreti.
La simbiosi tra i due elementi è cruciale per la sopravvivenza dell’umanità e del pianeta: il nostro secolo ha bisogno di INTELLIGENZE CALDE, capaci di mettere insieme cuore e cervello, ragione e sentimento,statistiche ed emozioni. In grado di integrare la dimensione razionale ed emotiva,di mantenere vivo il legame tra l’anima individuale e l’anima mundi, di ‘sentire’ la Madre Terra come organismo vivo e non come un mero deposito di materie prime, da cui trarre risorse e prodotti, trasformando gli stessi ecosistemi e la vita stessa in merci da cui trarre profitto.
Quanto alla definizione CASA COMUNE, essa si riallaccia a quel filone dei BENI COMUNI che tanta parte ha avuto e ha nella costruzione del discorso ecologista e costituisce anzi il primo e più importante dei beni comuni stessi: la Terra è l’unica casa che abbiamo e tutti i viventi la abitano con identico diritto alla vita;, l’uomo non è il padrone, ma il custode del mondo, chiamato a passare da una ‘cultura del dominio’ imperversante per millenni ad una ‘cultura del rispetto’ per se stesso, per gli altri e per l’ambiente senza la quale la stessa sopravvivenza della specie umana sarà a rischio.
Nessuno degli ambientalisti ha delineato ed approfondito questi contenuti meglio di ALEX LANGER, che non a caso introduciamo ora come ‘interlocutore’ di papa Francesco. Protagonista di primo piano dell’universo ambientalista,leader dei Verdi Europei al Parlamento di Strasburgo, teorico della questione ambientale ma anche testimone e promotore di una gamma straordinaria di iniziative per la sostenibilità,per la pace, per i diritti, per la convivenza etnica (tema che sentiva molto, lui altoatesino,da sempre fautore attivo della dialogo e della comprensione reciproca tra etnie).
Alex è stato il più nobile e il più completo tra gli ambientalisti, quello che ha volato più alto. Un cristallo, purtroppo fragile, che si è spezzato il 3 luglio 1995, quando si è dato la morte ,impiccandosi ad un albero di albicocco, sulle colline di Firenze.
La vita, intensissima, e le opere,innumerevoli, di Langer non possono qui essere elencate per ragioni di tempo; rimando quindi il lettore al bel libro scritto dall’ex parlamentare verde Marco Boato, intitolato “Alexander Langer- Costruttore di Ponti” (Ed. La Scuola, 2015). Nella prefazione Mons. Loris Capovilla, grande amico di Alex, lo definisce “un uomo in piedi”, “vissuto nel servizio agli altri”,sottolineando così quello sconfinato senso del dovere e della responsabilità verso il mondo intero che era il vero motore della instancabile attivismo del leader dei Verdi Europei.
Ma in questo contesto la citazione di Langer è dovuta perché la lettura dell’enciclica rimanda inesorabilmente a lui. “In tanti passaggi sembra scritta da Alex Langer” è stato il commento di moltissimi ambientalisti DOC, colpiti dalla sintonia profonda tra la visione langeriana e quella bergogliana.
Conversione ecologica, concetto cardine
Prendiamo una delle parole-chiave del documento papale: CONVERSIONE ECOLOGICA. Definizione letteralmente ‘inventata’ da Langer già nei primi anni Novanta e divenuta una formula imprescindibile del lessico ambientalista.
Ecco come Alex rappresenta se stesso nella nota autobiografica del suo libro “Vie di pace/Frieden Schliessen “ del 1992: “ Langer…. si considera impegnato in una conversione ecologica della società. Preferire l’autolimitazione cosciente, la valorizzazione della dimensione locale e comunitaria, la convivialità; non inquinare e realizzare condizioni di giustizia ,di pace e di integrità della biosfera, piuttosto che inseguire rimedi, aggiustamenti e disinquinamenti sempre più sofisticati ed artificiali per tentare di correggere condizioni di vita sempre più ingiuste, degradate, violente e prive di senso. L’ecologia ha bisogno non solo di provvedimenti e riforme, ma anche di una dimensione spirituale e di valori profondi”.
Dunque, afferma Langer, la CONVERSIONE ECOLOGICA è soprattutto culturale ed etica: “ Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico ‘citius,altius,fortius’ (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa,che potremmo forse sintetizzare al contrario in “Lentius,profundis,suavius” (più lento, più profondo, più dolce) e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso”.
Primo fra gli ambientalisti, Langer indica dunque la necessità di rendere la conversione ecologica “socialmente desiderabile”. Mettendo quindi l’accento più sulla SPERANZA di poter costruire un’alternativa di armonia tra uomo e ambiente piuttosto che sulla PAURA della catastrofe causata dalla crescente disarmonia attuale.
Come non rilevare la sintonia con l’approccio di Bergoglio?
“ La CONVERSIONE ECOLOGICA che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria. Tale conversione comporta vari atteggiamenti che si coniugano per attivare una cura generosa e piena di tenerezza. In primo luogo implica gratitudine e gratuità, vale a dire un riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre… Implica pure l’amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri una splendida comunione universale… (Il credente non interpreta la propria superiorità come motivo di gloria personale o di dominio irresponsabile, ma come una diversa capacità che a sua volta gli impone una grave responsabilità che deriva dalla sua fede.”( Laudato Si, LEV , 2015,cap.VI, paragrafo 219-220 pag. 209-210 )
E continua: “ La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo,capace di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo…. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco:” (ibidem, par.222, pg. 211-212.)
Passaggi densi di parole langeriane,non solo ‘conversione ecologica” ma, ‘cura’, ‘responsabilità’, ‘sobrietà’, ‘bene comune’,mentre l’accenno allo stile di vita profetico e sobrio è una perfetta descrizione del modo di vivere adottato da Langer nella sua breve ma ricchissima (di esperienze,di sentimenti, di capacità di vivere con poco) esistenza.
Sintonia che ritorna rispetto ad un altro concetto chiave che informa tutta l’enciclica e l’intera cultura ambientalista: la PACE.
“La causa della PACE non può essere separata da quella dell’ecologia” afferma lapidario Langer in un articolo del 1989 (inserito nel già citato libro di Boato, pg. 41). E ancora : “La paura non basta, né quella della guerra, né quella della catastrofe ecologica… E anche un’utopia, intesa con quel ‘completamente altro’ che si sa non è di questo mondo, non basta: rischia di essere buona solo per le occasioni solenni, per le invocazioni liriche. Bisognerà quindi rendere ‘attraente’ la PACE: quella tra gli uomini e quella con la natura.”
Da parte sua, Langer si segnala per tutta la sua vita per un intenso impegno pacifista, che lo porterà a tentare di costruire dialogo e pace nei teatri di guerra del suo tempo (Palestina,ex Jugoslavia,Balcani)e a proporre l’istituzione di ‘Corpi civili di pace europei’ nel 1995.
Invocazione e costruzione della PACE che percorre anche le pagine della Laudato Sì : “E parte di un’adeguata comprensione della spiritualità cristiana consiste nell’allargare la nostra comprensione della PACE, che è molto di più dell’assenza di guerra. La pace interiore della persona è molto legata alla cura dell’ecologia e al BENE COMUNE perché,autenticamente vissuta, si riflette in uno stile di vita equilibrato unito ad una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita.” (ibidem, par. 225, pag. 214)
Anche la visione del ruolo della politica trova risonanza in ambedue.
In una provocatori lettera aperta al PDS, pubblicata il 25 giugno 1994 dal settimanale satirico ‘Cuore’, con il titolo “Voglio quel posto a Botteghe Oscure” (all’epoca si parlava della possibilità di un ‘papa straniero alla guida del partito della sinistra, di un leader al di fuori dei classici schieramenti), Langer scrive: “ Ci vuole una formazione meno partitica, meno ideologica, meno verticistica e meno targata ‘di sinistra’. Ciò non significa che bisogna correre dietro ai valori e alle finzioni della maggioranza berlusconiana, anzi. Occorre un forte progetto etico,politico e culturale, senza integralismi ed egemonie, con la costruzione di un programma e di una leadership a partire dal territorio e dai cittadini impegnati,non dai salotti televisivi o dalle stanze dei partiti. Bisogna far intravvedere l’alternativa di una società più giusta e più sobria, compatibile con i limiti della biosfera e con la giustizia, anche tra i popoli… Per aggregare uno schieramento nuovo e convincente, bisogna saper sciogliere e coagulare (SOLVE ET COAGULA) ,unendo in modo saggio radicalità e moderazione.”
Da parte sua anche Francesco tenta di ridare alla politica l’opportunità di volare alto e di andare in profondità: “ L’amore … è anche civile e politico… L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra individui, ma anche le macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici… Per questo la Chiesa ha proposto al mondo l’ideale di una civiltà dell’amore… In questo quadro… l’amore sociale ci spinge a pensare grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società”( Cap. V, par.231, pg. 218).
Infine, quasi non si sa chi è a parlare- se Bergoglio o Langer,tanto è intensa la sintonia- quando si legge uno scritto di un appena sedicenne Alex (non a caso educato dai Francescani nel suo nativo Alto Adige) pubblicato nel 1962 con il titolo “Il cristianesimo rivoluzionario” : “Quanti pensano che l’essenza del cristianesimo consista nell’andare a messa la domenica e d eventualmente nel fare un po’ d’elemosina! Ma ciò che Cristo esige da noi non sono certo questi sacrifici apparenti, bensì la nostra vita e la nostra personalità. Penso che se esponessimo questa concezione del cristianesimo a molti che conosciamo, sarebbero allibiti dalla portata del messaggio cristiano. Ma, se vogliamo essere cristiani, dovremmo esserlo sino in fondo!”.
Langer sicuramente lo è stato fino in fondo, antesignano convinto di quell’ecologia INTEGRALE che illumina le pagine dell’enciclica. Tanto da avere il coraggio dell’eresia rispetto alla propria parte politica su temi delicati quali la bioetica: come la presa di distanza rispetto all’aborto, proclamato nel 1987in un articolo che allora fece scalpore ,intitolato “Cara Rossanda, e se Ratzinger avesse qualche ragione?” (ibidem, pg. 58)
Sintonia profonda che ritorna nella vita e nelle opere di un altro grande ‘cristiano verde’, Gino Girolomoni,padre del biologico italiano , figura di spicco del mondo ambientalista e contadino , purtroppo scomparso nel 2012.. Nel monastero di Montebello, da lui restaurato sulle colline delle Marche, aveva dato vita ad un intensa attività di riflessione e di scambi sul rapporto tra cristianesimo ed ecologia, promuovendo il dialogo interreligioso ed interetnico. Non potendo qui tratteggiare con la dovuta cura la figura e le opere di Girolomoni, rimando alla bella biografia scritta dal giornalista Massimo Orlandi, intitolata “La terra è la mia preghiera” (ed. EMI.2014) la cui lettura condurrà alla scoperta di moltissime e non casuali ‘coincidenze’ tra il pensiero dell’enciclica e la vita e la cultura di Gino. Un altro autentico poeta del nostro tempo, capace di ritornare alla Terra per trovarvi il cielo. E che nel cuore portava una certezza antica: “ :….il grano è come Gesù Cristo. Non ti tradisce mai.”
Last, but not least, tra gli ingredienti che ritornano continuamente nelle visioni del mondo proclamate dall’enciclica e dal ‘vangelo’ laico degli ambientalisti c’è il ripetuto invito” ad ascoltare insieme il grido della Terra e quello dei poveri,” per dirla con una delle frasi più fortunate della Laudato sì’.
Non solo i già citati Langer e Girolomoni, fortemente segnati dalla cultura cattolica, ma tutti gli ambientalisti, laici e non,hanno per decenni messo l’accento sul cosidetto DEBITO ECOLOGICO, ovvero il risarcimento che i ricchi devono ai poveri del pianeta, sottoposti ad uno sfruttamento delle loro risorse che spesso si è tradotto in saccheggio vero e proprio.
Come scrive nel suo commento all’enciclical’ ambientalista di lungo corso Andrea Masullo, direttore scientifico di Green accord,’associazione per la salvaguardia del Creato dedita alla divulgazione e alla formazione sui temi ambientali , “ Si tratta dell’incredibile flusso di prodotti agricoli, che parte dai paesi poveri per alimentare il bestiame per l’eccessivo consumo di carni bovine sulla mensa dei ricchi e per produrre biocombustibili per alimentare le loro automobili, che lascia sguarnita la mensa dei poveri, lascia i terreni contaminati da pesticidi e concimi chimici, aggravando spesso l’insufficiente disponibilità di acque potabili sicure. A tal fine popolazioni con gravi carenze alimentari vengono espropriate delle loro terre dalle multinazionali, attraverso contratti d’affitto pluridecennali stipulati con amministratori locali, lasciando fuori chi, pur senza vantare alcun diritto di proprietà, tuttavia da generazioni ne trae sostentamento. Ad accrescere quest’incredibile flusso di risorse dai paesi poveri,verso quelli ricchi ci sono le imprese minerarie,; la maggior parte delle materie prime e dei combustibili utilizzati nelle economie ricche provengono dai paesi poveri dove lasciano salari miserrimi e inquinamento.”
Più che mai urgente risulta quindi l’esortazione di Francesco a considerare la terra come “eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti” e non di una parte privilegiata dell’umanità,che costruisce il proprio privilegio sulla rapacità, accumulando nei confronti dei meno privilegiati un insopportabile debito ecologico, non riconosciuto e dunque non risarcito.
La nostra disanima delle risonanze tra l’enciclica di Papa Francesco e il pensiero e la pratica dell’ecologia non sarebbe però completo se non introducessimo, a questo punto, il ruolo che anche le altre religioni hanno rivestito e stanno rivestendo nell’invitare all’ascolto del grido della Terra e dei poveri. E soprattutto nel favorire quel salto di qualità della coscienza collettiva senza il quale nessun reale mutamento di rotta sarà praticabile.
ARC: la ‘sacra alleanza tra fedi ed ecologia’
Tuttavia, se vogliamo andare alle radici di questa ‘sacra alleanza’ tra religioni ed ecologia, sempre a Francesco dobbiamo rifarci: questa volta al Santo, a Francesco d’Assisi.
E’ infatti nella sua città natale che si è tenuta nel 1986, su iniziativa del WWF internazionale, guidato all’epoca dal principe Filippo di Edimburgo, la prima storica riunione tra alti rappresentanti delle cinque maggiori religioni del mondo ed esponenti di punta delle massime organizzazioni ambientaliste del pianeta.
Ad Assisi è dunque nata una rete che si è poi diramata nell’intero globo ed è stata ufficializzata nel 1995 al castello di Windsor, dove è stata istituita l’ARC (Alliance Religions and Conservation), con l’intento di promuovere l’intesa tra le grandi religioni del pianeta e i movimenti/associazioni per la tutela della natura e dell’ambiente.’ Sostenuta da nove religioni, divenute oggi undici, l’ARC può attualmente vantare centinaia di progetti in decine di paesi.
Vent’ani dopo, in un seminario che si è svolto il 18 e 19 novembre 2015 a Lambeth Palace, residenza dell’Arcivescovo di Canterbury, l’ARC ha tracciato un bilancio della sua straordinaria avventura e si è interrogata sul futuro delle reti tra religioni ed ecologia con il contributo di una cinquantina di esponenti della maggiori fedi e di vari leaders ambientalisti (tra cui la sottoscritta).
Particolarmente rilevante la collaborazione all’evento dell’importante organizzazione britannica “The Nature Conservancy”, guidata dalla giovane e dinamica Elizabeth McLeod che ha fatto il punto della situazione insieme a Martin Palmer, direttore di ARC International., A benedire i lavori, l’immancabile Principe Filippo , dritto come un fuso e lucidissimo nonostante i suoi 94 anni, che ha tenuto a braccio un discorso poi pubblicato sull’account Twitter di Buckingham Palace, cliccato da un milione e 400mila followers.
“Se uno crede in Dio- ha sintetizzato il principe con la sua abituale immediatezza- come può non sentirsi responsabile della cura del Creato?”. Domanda che è alla base della filosofia e delle pratiche che caratterizzano passato ,presente e futuro dell’ARC, la quale ha ormai accumulato un prezioso patrimonio di idee ed esperienze concrete in tutto il mondo, raccontate in numerosi volumi, pubblicazioni e siti (tra cui un vero e proprio ‘manuale di collaborazione tra le fedi e gli ambientalisti’ che sarà oggetto di una prossima pubblicazione e che raccoglierà le riflessioni e le proposte scaturite dal seminario di Lambeth Palace.)
In questi due decenni,infatti, l’ARC si è dedicata ad aiutare le più importanti religioni del mondo- che insieme contano l’84% della popolazione mondiale ,ovvero 5,8 miliardi di persone- a sviluppare progetti e programmi ambientali ancorati ai ‘core teachings’ (insegnamenti e credenze di fondo) delle varie fedi.
Qualche esempio tratto dalla variegata gamma di interventi di ARC: un lavoro ventennale con le religioni in Cina per far fronte al preoccupante degrado dell’ambiente (basti ricordare Pechino ‘chiusa per smog’ proprio durante la Conferenza di Parigi sul clima); la collaborazione con i buddisti in Cambogia o con le comunità islamiche in Indonesia per tutelare le foreste a rischio e la biodiversità minacciata; il progetto denominato ‘Faith in Water’ (Fede nell’Acqua), portato avanti insieme all’UNICEF in migliaia di scuole affiliate a varie fedi (il 50% delle scuole del pianeta lo sono) per migliorare il livello di cura del ciclo idrico e le condizioni igieniche (non dimentichiamo che proprio la carenza di queste ultime causa il 20% delle morti dei minori di 14 anni).
Grande spazio, ovviamente,è stato dato in questi anni al contrasto del cambiamento climatico: sono centinaia i progetti varati dall’ARC e dalle fedi per promuovere le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile, la difesa delle foreste. Ma non basta: il 21 luglio 2015 l’ARC ha promosso all’Eliseo, a Parigi, un ‘Summit delle coscienze’ per responsabilizzare i leaders del mondo che sarebbero poi convenuti alla famosa Conferenza sul Clima del dicembre scorso.
Tra i progetti più originali ed innovativi, figura il cosidetto ‘Greening dei Pellegrinaggi’. Considerato che nel mondo, stando ai dati dell’UN-World Tourism Organization, si contano ben 330 milioni di pellegrini in movimento (con un’impronta ecologica spesso molto pesante sui luoghi di sosta e lungo i percorsi) ARC ha lanciato il programma ‘Faithful Cities- Pilgrims for a Living Planet’ ( ‘Città delle fedi- I Pellegrini per un Pianeta Vivente’) che interessa decine di città ‘sante’ come Roma , Fatima e Lourdes per i cristiani; Makka e Touba per l’Islam; Amritsar per i Sikhs e Tai Shan per i daoisti.
Tra le iniziative concrete, già realizzate in vari paesi, l’uso di bus elettrici o ibridi per il trasporto dei pellegrini, l’illuminazione con Led dei percorsi più gettonati, il riciclaggio delle bottiglie di plastica nei punti di sosta. Ma anche manuali per sensibilizzare i viaggiatori e libri di preghiere per chiedere la protezione di Madre Terra e dei suoi abitanti. Perché la differenza rispetto alle comuni organizzazioni ambientaliste, ci tiene a precisare Martin Palmer, sta nell’approccio etico e spirituale delle fedi, nel senso di responsabilità e di cura che ogni credente sente di fronte al Creato, opera di Dio.
“Prendiamo ad esempio l’acqua: nelle iniziative che portiamo avanti con ‘Wash’,per garantire l’accesso ad acqua più pulita e per migliorare le condizioni igieniche nelle scuole affiliate alle fedi, non partiamo dalla denuncia di quel che non funziona, atteggiamento abituale nei laici,sperando che poi la gente sia indotta all’azione. Noi promuoviamo invece un atteggiamento basato sulla fede,che inizia con un ringraziamento per il meraviglioso mondo che Dio ci ha donato e per il dono dell’acqua: è da questa posizione di gratitudine che partiamo per affrontare le crisi che noi umani abbiamo causato in questo mondo creato da Dio”
Come non sentire in questa filosofia e in questa modalità d’azione l’eco delle parole dell’Enciclica e il medesimo ‘soffio’ di meraviglia e di gratitudine di fronte alle bellezze del Creato, ai doni che Dio ha sparso piene mani su questo splendido ma fragilissimo pianeta? Come non percepire il medesimo invito a ‘sposare’ la causa della tutela del pianeta con quella della difesa dei diritti umani e dell’attenzione ai più poveri?
“All’inizio del Terzo Millennio, nel momenti di massima accelerazione (Francesco la chiama’ Rapidaciòn’ ndr) della crisi ambientale, che si salda a quelle sociali, economiche, culturali ed etiche del nostro tempo, l’alleanza tra fedi ed ambientalismo appare dunque simmetrica e matura.”
Certo, il ritardo delle fedi è innegabile, riconosce Palmer. “In questo caso i profeti siete stati voi ambientalisti e purtroppo nonnoi, esponenti delle fedi”, ci ha detto a Lambeth Palace, “Voi siete stati i leaders e noi i followers, ma ora ambedue gli schieramenti sono maturati e possiamo procedere insieme di pari passo.”
Obiettivo comune: il salto di qualita’ della coscienza collettiva
Ambedue i partners, dunque, possono ora trarre reciproco vantaggio dalla collaborazione in corso e ritenersi quindi ‘alleati per natura’. Insieme, come ha osservato il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon alle celebrazioni tenute dall’ARC nel Castello di Windsor nel 2009 per festeggiare l’intesa tra l’organizzazione e l’ONU, potranno raggiungere centinaia di milioni di persone, favorendo quel SALTO DI QUALITA’della COSCIENZA COLLETTIVA che si impone sempre più come priorità comune, di fronte all’attuale e crescente decadimento dell’ecosistema mente-cuore, forse quello più in pericolo tra tutti.
Come già aveva profetizzato il grande etologo Konrad Lorenz nel suo libro-testamento “Il destino dell’uomo” (1985) in cui avverte che più veloce del degrado della natura corre il degrado dell’essere umano, il quale sta rischiando di perdere proprio le qualità che lo rendono pienamente umano.
In Italia il ruolo di antesignana dell’ecologia integrale predicata da papa Francesco spetta senza dubbio a GREENACCORD, un’associazione per la salvaguardia del creato, laica ma vicina alla Chiesa, che si occupa da più di un decennio di formazione ed informazione sui temi ambientali, rivolgendosi in particolare al sistema dei media ,italiano ed internazionale.
Promotrice di numerose conferenze,eventi ed incontri di grande spessore, ha recentemente promosso a Roma, nel novembre 2015, durante le Giornate per la Custodia del Creato indette dalla Diocesi romana, un’approfondita analisi della Laudato Si: “Perché la responsabilità della comunità cristiana verso il pianeta va mostrata in pubblico”, ha specificato il presidente di Greenaccord, Alfonso Cauteruccio. All’evento ha fatto seguito a Rieti, sempre nel novembre 2015, un intenso convegno internazionale sul tema del momento, ovviamente il cambiamento climatico.
Capitolo a parte meriterebbero i popoli indigeni del pianeta, il cui ruolo straordinario nel sostenere (e soprattutto praticare) il rispetto per la sacralità della Madre Terra non ha ancora avuto il riconoscimento pieno che gli spetta.
Rimando, a questo proposito, alla lettura di un’interessante antologia dal titolo “SACRED SPECIES AND SITES- Advances in Biocultural Conservation”, edito nel 2012 dalla Cambridge University Press (cui ho contribuito con un saggio intitolato “The Roman Goddess Care: a Therapy for the Planet”,pg.178).
Con l’ausilio di eminenti esperti,leaders ambientalisti ed esponenti delle varie fedi il testo esplora i luoghi sacri della terra e passa in rassegna la ‘biodiversità sacra’ (animali e piante ritenuti partecipi del divino nelle varie culture) , proclamando con forza la convinzione che la prossima frontiera della tutela della natura e del pianeta debba incanalarsi necessariamente lungo le vie della dimensione culturale, spirituale ed etica.
E’ dunque il momento di una Laudato Sì universale, declinata secondo i codici delle varie fedi e culture,con un unico obiettivo: far capire finalmente a tutti che “esiste una più vasta sapienza all’interno della quale la specie umana deve riconoscersi: è la struttura che unisce, che tiene insieme, le stelle e gli anemoni di mare, le sequoie e l’uomo”, come scriveva il pensatore ,antropologo e terapeuta Gregory Bateson nel suo famoso libro “Verso un’ecologia della mente” (1972). I credenti chiamano questa sapienza: DIO. Ma anche i non credenti ,purchè uomini e donne di buona volontà, possono condividere l’universale preghiera che chiude la Laudato Sì :“..Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa, a contemplare con stupore , a riconoscere che siamo profondamente uniti con tutte le creature.”
Ogni essere umano può essere Francesco, se lo vuole. Grato e incantato di fronte a Madre Terra, lo sguardo rivolto l’alto.
Testo pubblicato in Laudato si’. Un aiuto alla lettura, Libreria Editrice Vaticana, 2016.