È scomparso il 23 gennaio l’uomo che, nel 1965 alla Olivetti, inventò la “Programma 101”, primo personal computer della storia. Storia di un primato dimenticato e di un’occasione mancata.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, gli aeroplani ad uso civile cominciarono a viaggiare a velocità prossime a quella del suono. Si sviluppò quindi tutto un filone di ricerche per evitare che le strutture portanti degli aerei cedessero sotto le sollecitazioni provenienti dall’alta velocità. Al Politecnico di Torino, ad occuparsi di aerodinamica c’era il professor Carlo Ferrari. Del suo gruppo di ricerca faceva parte un giovane laureato, Pier Giorgio Perotto.
I calcoli necessari agli studi, venivano effettuati uno per uno dai ricercatori tramite sofisticate calcolatrici meccaniche. Si trattava di introdurre manualmente, per giornate intere, lunghe serie di dati; in mancanza di procedure automatizzate, ogni minimo errore avrebbe significato l’azzeramento di ore di lavoro. Si procedeva per tentativi successivi e verifiche continue; arrivati alla sera, i ragazzi del gruppo di Carlo Ferrari erano mentalmente esausti. Tutta la situazione risultava particolarmente insopportabile all’ingegner Perotto: «Gran parte dei germi che generano l’innovazione si collocano proprio lungo il percorso mentale di chi non riesce ad accettarli e a familiarizzarsi con essi,» scriverà anni più tardi, identificando in quell’esperienza la scintilla che l’avrebbe portato di lì a poco a coltivare il sogno di una macchina «che fosse in grado non solo di compiere calcoli complessi, quanto di gestire in modo automatico l’intero procedimento di elaborazione». Un sogno che prenderà il nome di Programma 101.
In quell’epoca, in Italia e non solo, calcolatore era sinonimo di Olivetti. Il best seller dell’azienda di Ivrea era la Divisumma 24, una calcolatrice meccanica ideata da Natale Cappellaro che aveva conosciuto uno straordinario successo internazionale. Nel 1957, Adriano Olivetti aveva creato a Pisa, in una villa del quartiere Barbacina, un laboratorio di ricerca avanzata allo scopo di progettare e produrre computer. Fu proprio alla Olivetti di Pisa che, in aprile, arrivò con la sua Fiat 600 il neo assunto ingegner Perotto. Dalla dirigenza, quelli della Divisione Elettronica erano «considerati più o meno personaggi che andavano a caccia di farfalle e che, nella migliore delle ipotesi, non avrebbero mai concluso nulla,» ricordava Perotto nel libro Programma 101, edito da Baldini & Castoldi. Le prime calcolatrici elettroniche, d’altra parte, avevano le stessi prestazioni di quelle meccaniche, ma erano più fragili e più costose.
E così, quando nel 1960 Adriano Olivetti morì improvvisamente sul treno che lo stava portando a Losanna, la dirigenza ebbe mano libera nello smantellare la Divisione Elettronica per tornare a puntare tutto sulla meccanica: «La cessione della divisione elettronica in Olivetti maturò in tragica ed assurda coincidenza con l’avvio della rivoluzione microelettronica mondiale». Nel 1964, la Divisione Elettronica venne ceduta agli americani della General Electric, dando vita alla Società Italiana Olivetti-General Electric (OGE). Perotto ebbe «la malaugurata idea, da giovane ingenuo, di contestare la cessione,» e così gli americani lo rispedirono alla Olivetti «con la preghiera di togliermi di torno». L’ingegner Perotto era inviso alla General Electric quanto alla dirigenza di Ivrea, che lo esiliò con pochi altri collaboratori in un piccolo laboratorio di Milano. Fu proprio in questa situazione che Perotto trovò lo spunto per realizzare il calcolatore dei suoi sogni: «Il non avere più nulla da perdere fa prendere molte volte la strada giusta». Senza dire niente ai dirigenti del quartier generale, Perotto, l’ingegner Giovanni De Sandre ed il perito Gastone Garziera, cominciarono a progettare un computer personale economico e da scrivania, al quale diedero il nome provvisorio di “Perottina”.
Lo stato dell’arte, all’epoca, per quanto riguardava le memorie, era costituito dai nuclei magnetici di ferrite, il cui costo era improponibile. I circuiti integrati erano anch’essi carissimi. Perotto e i suoi dovettero così pensare nuove soluzioni: per l’ingresso e l’uscita dei dati inventarono una cartolina magnetica che funzionava esattamente come gli odierni floppy disk. Per le memorie adattarono un dispositivo esistente (detto linea magnetostrittiva) utilizzando come materiale trasmissivo un filo per molle. La progettazione di tastiera e stampante venne affidata a Franco Bretti. L’organizzazione strutturale della macchina venne studiata dagli ingegneri Cappellaro (quello della Divisumma) ed Edoardo Ecclesia. Come linguaggio di programmazione venne inventato un sistema di sedici istruzioni intuitive con il quale si poteva compilare un programma indicando in maniera agevole le operazioni da eseguire.
Si ricordi che parliamo sempre di un periodo nel quale un computer occupava tutta la parete di una stanza e doveva essere istruito direttamente in linguaggio macchina. I progressi nella progettazione della “Perottina” esaltavano il gruppo di Milano ed in particolare il suo animatore: «Avevo l’impressione che mi fosse riservata l’opportunità di far finalmente crollare barriere secolari, di spezzare antiche catene che rendevano l’uomo schiavo». Nel novembre del 1964, Perotto caricò sulla sua macchina il gruppo elettronico completo per assemblarlo ad Ivrea, dove i meccanici della Olivetti crearono una carrozzeria di lamiera dipinta di blu con la quale venne vestito il primo personal computer della storia. La creatura pesava 30 chili, ed era grande come una comune macchina da scrivere. Quando Natale Cappellaro la vide esclamò: «L’era della meccanica è finita». Purtroppo, non tutti ad Ivrea furono così lungimiranti. Roberto Olivetti affidò al famoso architetto Mario Zanuso il compito di mettere a punto il design della “Perottina”. L’architetto si presentò con una specie di mobiletto nel quale doveva essere inglobata la macchina; per evitare che si ribaltasse, propose di zavorrarlo a terra con alcuni chili di piombo. L’ingegner Perotto, ovviamente, si oppose e costrinse la Olivetti ad adottare il progetto del giovane architetto Mario Bellini, che per la sua funzionalità si meritò l’esposizione presso il MOMA di New York.
Ad Ivrea, intanto, erano tutti presi nel rilancio della meccanica, che passava per la fiera di New York del 1965. Nel grandioso stand della Olivetti, alla “Perottina” venne riservata una saletta sulla parete di fondo; per l’occasione, la macchina aveva anche ricevuto il nome ufficiale di Programma 101, perché «in inglese la pronuncia “uan-o-uan” suonava bene». Tutti i programmi della Olivetti andarono a monte non appena i visitatori americani si accorsero della Programma 101. Qualcuno domandò se la macchina non fosse azionata da qualche grosso calcolatore nascosto. Nei giorni successivi il personale dello stand dovette mettere in piedi un improvvisato servizio d’ordine per contenere l’afflusso di visitatori entusiasti.
La Programma 101 si vendette praticamente da sola. La TV statunitense NBC ne comprò cinque per computare i risultati elettorali da trasmettere agli spettatori. Negli anni, ne furono prodotti 44 mila esemplari che non riuscirono ad evadere tutte le richieste. La Olivetti aveva tra le mani un prodotto rivoluzionario, ma non seppe approfittarne; un caso esemplare, tanto da diventare oggetto di studio all’Università di Harvard. Per cinque, sei anni, la casa di Ivrea non ebbe concorrenti in grado di raggiungere i suoi risultati. Nel 1967, la Hewlett-Packard accettò di versare 900 mila dollari alla Olivetti, ammettendo di aver violato il brevetto della Programma 101 nella sua HP 9100. L’ingegner Perotto non ne guadagnò alcunché, avendo ceduto tutti i diritti sul brevetto alla Olivetti per un dollaro simbolico: «Mai un dollaro fu meglio speso da una società». Negli anni, i concorrenti statunitensi raggiunsero e superarono l’azienda italiana. Nel 1981, l’IBM avviava la produzione di quello che viene ancora celebrato come il primo personal computer del mondo.
Nonostante questo, l’ingegner Pier Giorgio Perotto non ha mai smesso di considerare in maniera positiva la propria esperienza: «Mi auguro che la storia della Programma 101 contribuisca a motivare tanti giovani dotati di capacita creative ad osare e a rischiare, senza lasciarsi condizionare dai benpensanti del momento». Un ottimismo che trapela anche da una delle ultime interviste rilasciata al sito News2000: «Linus Torvalds è un esempio con il suo Linux,» dichiarava questo geniale ingegnere classe 1930: «Trovo che l’open source sia in grado di condizionare lo strapotere dei big».