Dopo tante dotte e interessanti relazioni ho pensato di limitarmi a brevi cenni sul “mio” Carlo Cattaneo. Ho incontrato Carlo Cattaneo al liceo, grazie al Prof. Mario Cassa. Da allora Carlo Cattaneo mi è sempre stato vicino, come maestro, guida, compagno di viaggio. I temi principali sui quali Cattaneo ha esercitato su di me una grande influenza sono tre.
Il primo è il pensiero federalista, che è stato per tutta la vita una stella polare per Cattaneo ed anche per me. Quasi contemporaneamente scoprii, oltre a Cattaneo, altri federalisti come “The Federalist” americani, Don Sturzo municipalista e federalista, Monnet. Mi iscrissi al movimento federalista europeo in terza liceo e sono sempre stato legato a questo filone di pensiero, come Cattaneo; perché è solo il federalismo che permette di tenere unite le diversità e trasformare potenziali conflitti in grandi benefiche opportunità.
Il secondo è l’amore per la Lombardia. E’ un amore che ho sempre avuto inconsapevolmente. Fu Cattaneo a farmi capire le radici e le ragioni di questo amore. Fu lui a farmi capire la bellezza e l’importanza della nostra Regione, con il formidabile scritto che oggi onoriamo. Fu lui a farmi capire l’alto livello di civilizzazione della nostra Regione e il collegamento con la profondità di pensiero dell’illuminismo lombardo del ‘700 al quale Cattaneo, anche attraverso la scuola del Romagnosi, direttamente si collega. Fu lui a farmi capire quanto lavoro e quanta sapienza di lavoro è depositata nella nostra Regione, che chiamò “la nostra patria artificiale”, testimonianza preziosa di un saper fare diffuso e di alta qualità. E questo non soltanto con lo scritto che oggi ricordiamo, ma con tanti altri scritti su aspetti particolari della nostra Regione (che contengono anche spunti su Brescia, che Cattaneo ben conosceva, come conosceva la sua storia e i suoi grandi riferimenti (come Arnaldo da Brescia “Il più formidabile tra i riformatori”) e Albertano da Brescia. Poneva sempre Brescia al secondo posto in Lombardia dopo Milano, e scrisse anche una Rassegna della Provincia di Brescia, nel 1837, breve ma efficacissima).
Ma altri suoi scritti, pur rivolti a temi più generali, contengono passaggi che illustrano e ci fanno amare la nostra Regione e la qualità del suo saper fare. Come la formidabile relazione intitolata: “Industria e Morale” che Cattaneo tenne alla Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri nel 1845 (in altri testi è pubblicata con il titolo “Agricoltura e morale”). In essa Cattaneo eleva un vero e proprio inno al valore del lavoro del popolo lombardo con queste parole: ” Dacchè il destino dell’uomo fu quello di vivere coi sudori della fronte, ogni regione civile si distingue dalle selvagge in questo, ch’ella è un immenso deposito di fatiche. La fatica costrusse le case, li argini, i canali, le vie. Sono forse tremila anni dacchè il popolo curvo sui campi di questa primitiva landa la va di sgombrando dalle reliquie dall’asprezza nativa. Chi potrebbe fare estimazione dei tesori, che vi stanno indivisibilmente incorporati? Se riguardiamo al solo angusto spazio che giace fra Milano, Lodi e Pavia, perlustrando ad una ad una tutte le opere che ne sommossero la giacitura per meglio atteggiarla alle influenze delle aque e del sole, è poco il computare che in sì breve intervallo sia sepolto il valsente di mille milioni. L’attitudine di questo spazio a nutrire un popolo, quella che può dirsi la sua naturale e selvaggia fecondità, ragguaglierebbe forse appena un decimo di siffatto valsente. Quella terra dunque per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani; è una patria artificiale”.
Quando mio figlio era in quarta elementare, d’accordo con la maestra, organizzai un gruppo di ricerca di cinque bambini e bambine della sua classe. La ricerca durò tre mesi. Ogni sabato mattina portavo gli allievi, muniti di album, matita, gomma e piccola macchina fotografica, alla scoperta del Naviglio Grande e, attraverso questo asse fondamentale, alla scoperta del sistema delle acque lombarde. Prima di ogni tappa un alunno leggeva un passo di Cattaneo, tratto da quelle stupende pagine, nelle quali Cattaneo descrive il sistema idrico di quella che chiamava “l’acquosissima Lombardia”. I torrenti che rovinano tumultuosamente a valle dalle montagne e dai ghiacciai, per poi “chetarsi” nei laghi profondi, e per questa ragione mai ghiacciati, che li restituiscono come fiumi tranquilli sia di superficie che sotterranei, che alimentano poi i fontanili nelle pianure. Alla natura si aggiunge il lavoro dell’uomo con una connessa rete di canali che rendono irrigua e fertilissima tutta la pianura. Alla fine ne uscì un libretto dal titolo: Quando nel Naviglio Grande si pescavano i gamberi, manoscritto dagli allievi, con i loro disegni, le loro foto, le loro riflessioni. Ma la cosa meravigliosa fu vedere che essi capivano perfettamente quello che diceva Cattaneo e che, grazie a ciò, capivano perfettamente le ragioni che fanno del sistema idrico lombardo una componente fondamentale della fertilità e del benessere lombardo. Il sistema di irrigazione lombardo fu da un ingegnere scozzese (Baird Smith) nel 1852 denominato la Magna Charta dell’irrigazione, nel suo libro intitolato “Italian irrigation”
Il terzo tema è quello della concezione economica di Cattaneo, sempre basata su fatti ed eventi concreti, e su ciò che è utile o dannoso all’incivilimento (che era allora il nome di quello che oggi chiamiamo sviluppo). Secondo Cattaneo che segue la linea tracciata dall’illuminismo lombardo, non c’è sviluppo economico se, contestualmente, non si innesta un processo di incivilimento (forse corrisponde al concetto di “improvment” di Adam Smith, ma “incivilimento” è molto più efficace).
Per Cattaneo l”economia non è una costruzione logica, astratta, razionale; è la vita vivente, così complessa da capire, da conoscere, da prevedere, da correggere. Ma è dallo studio dei fatti che bisogna partire non per fermarsi a un empirismo senza prospettive ma per estrarre, per distillare dai fatti i concetti, le regole, i principi. L’Accademia dei Pugni si prefiggeva, con la rivista “Il Caffè”, di sviluppare nell’opinione pubblica “l’abitudine di ragionar giusto su gli oggetti più comuni”. E il Verri, nella prefazione all’edizione 1781 delle “Meditazioni sull’economia politica”, sottolinea la pericolosità degli economisti troppo teorici “che dall’ozio tranquillo del loro gabinetto, formandosi idee astratte sopra del commercio, della finanza e d’ogni genere d’industria, mancando di aiuti per esaminare gli elementi delle cose, sopra ipotesi anzi che sopra fatti conosciuti hanno innalzato le loro speculazioni”. Beccaria osserva che “nella maggior parte degli uomini manca il vigore per rimontare ai principi grandi e universali e discomporre con analisi le mal combinate idee” (“Del disordine e de’ rimedi delle monete dello Stato di Milano” del 1762). Da questa tensione a “rimontare” dai fatti ai principii, tutta l’opera del Cattaneo è pervasa ed illuminata. Pagine di limpida teoria come quelle contenute nel saggio del 1861 del quale mi accingo a parlare, non sarebbero state possibili, senza il precedente lungo lavoro di studio accurato dei fatti: dalla geografia economica alla storia, alla struttura socio-economica della Lombardia, al ruolo delle città, alle problematiche della distribuzione dei beni (“un popolo può morire di fame per le vie eppure i granai del paese essere colmi e nei porti affollarsi il bestiame a lontano commercio”), al ruolo dei trasporti, allo studio degli effetti delle opere pubbliche per fronteggiare la drammatica crisi irlandese del 1844-47, alle battaglie su tante vicende economiche correnti. Ma questi studi non conserverebbero attualità, in un contesto per tanti versi, ma non per tutti, così profondamente cambiato, se non fossero pervasi da un continuo sforzo di pensiero, di “rimontare” dai fatti ai principi, pur con tutta la cautela e l’umiltà che un profondo conoscitore dei fatti, uno studioso vero sempre esprime quando cerca di trarre generalizzazioni da una materia così complessa e cangiante come è l’economia.
Questo è il positivismo di Cattaneo e degli studiosi dei quali è erede. Un positivismo, che è tutt’altro che cieco, tutt’altro che ingenuo, tutt’altro che vittima dell’illusione “sulle magnifiche sorti e progressive”. E’ un positivismo realista, di chi conosce a fondo gli alti e bassi delle vicende umane, di chi conosce la lentezza, la gradualità, la fatica dell’incivilimento, di chi ha sofferto disillusioni generali e personali, di chi sa che solo i processi di sviluppo che nascono dal basso, dalla maturazione collettiva, dalla valorizzazione dei propri talenti, dalla dura fatica intellettuale, materiale e morale, hanno possibilità di consolidamento, di chi, come Cattaneo, ha letto ed interiorizzato il Vico. Ma le difficoltà, le sconfitte, non uccidono la speranza, che non è mai ottuso ottimismo ma è solo impegno morale. Dai fatti ai pensieri e dai pensieri ai fatti. Per migliorarli, per contribuire, senza che le cadute e le contraddizioni spengano la speranza e l’impegno.
C’è chi dice che Cattaneo fu un brillante economista pratico, ma poco o nulla ha contribuito al pensiero economico. E’ una visione erronea e falsa. A smentirla basta il saggio intitolato: “Del pensiero come principio d’economia publica”. Questo scritto del 1861, che è un po’ la summa del pensiero economico di Cattaneo, è un contributo di pensiero poderoso di straordinaria attualità, sui fattori e sulla natura dello sviluppo economico, che ancora attende gli sviluppi che Cattaneo auspicava nella frase finale del saggio. In esso Cattaneo polemizza con il filone socialista (che vede come fattore di sviluppo solo il lavoro) ma anche con Adam Smith (che vede solo il capitale) e sostiene, con dovizia di esempi storici, che tra i fattori di sviluppo bisogna comprendere l’intelligenza e la volontà . Sono questi fattori umani alla base di ogni vero sviluppo, afferma Cattaneo, che ha studiato seriamente lo sviluppo lombardo e, dunque, le origini dell’industrializzazione dell’Italia, e che conclude con queste parole:
” Raccogliendo, diremo che ogni nuovo trattato d’economia pubblica, dovrebbe formalmente classificare tra le fonti della ricchezza delle nazioni l’intelligenza e la volontà: l’intelligenza che scopre i beni, che inventa i metodi e gli strumenti, che guida le nazioni sulle vie della cultura e del progresso: la volontà, che determina l’azione e affronta gli ostacoli. Se i legislatori non possono con un colpo di verga magica creare in ogni paese i beni che la natura ha troppo inegualmente sparsi sulla terra, se non possono moltiplicare a piacimento il numero delle braccia e la potenza del lavoro, se non possono sempre cattivarsi il favore degli arbitri del capitale, possono farsi promotori e vindici della libera intelligenza e della libera volontà. Aggiunga ogni scrittore a queste nostre una nuova pagina, s’inoltri d’un passo nell’analisi da noi tentata; e una meno imperfetta sintesi della pubblica economia potrà risponder meglio al voto delle nazioni”.
Nel 1994, come assessore all’economia del Comune di Milano organizzai un grande incontro con 10 premi Nobel. Tra questi l’economista Gary Stanley Becker, premio Nobel per l’economia 1992 per avere sostenuto essere fattori chiave dello sviluppo la conoscenza e la persona, tesi oggi molto presenti nelle scuole di management. Nel dibattito io dissi a Becker: professore, io la seguo e la stimo molto, ma voglio che lei sappia che in questa città, circa 140 anni fa, c’era uno studioso che sosteneva tesi simili alle sue, senza prendere il premio Nobel. Becker reagì brillantemente, dicendomi: “well, send me a translation”. Nei giorni successivi cercai la traduzione e scoprii, con orrore, che nessun testo di Carlo Cattaneo era mai stato tradotto in inglese. Difficile da credere, ma è così. Allora fui io, con la collaborazione del Prof. Carlo Lacaita, uno storico tra i maggiori studiosi di Cattaneo, a far tradurre il poderoso saggio ed a finanziare l’edizione bilingue con l’editore Scheiwiller, corredandola con un’ampia prefazione di Lacaita ed una postfazione mia finalizzata ad attualizzare il pensiero di Cattaneo. Distribuii il testo anche a numerosi professori americani, ricevendo molte lettere entusiaste. Due anni dopo un importante editore universitario americano, Lexington Books, chiese l’autorizzazione a farne un’edizione americana. L’edizione fu fatta, molto bella, con un’importante introduzione di Michael Novak, famoso economista, sociologo e teologo americano, interessante e significativo del grande apprezzamento per Cattaneo da parte di un teologo cattolico.
Prima di chiudere devo citare ancora due passaggi relativi al “mio” Cattaneo. Per alcuni anni sono stato nel consiglio direttivo della Società Incoraggiamento Arti e Mestieri (SIAM). Nata nel 1834 la SIAM ebbe un ruolo determinante nel decollo dell’industria lombarda, cioè del processo di industrializzazione italiana e Cattaneo fu in essa molto attivo e influente. SIAM vive ancora oggi e a me fa impressione passare per quelle antiche aule piene di gloriose memorie della storia industriale lombarda e di Cattaneo.
L’ultima cosa è che nei primi anni del decennio del 1990 ebbi modo di svolgere un ruolo significativo nella nascita della Libera Università Carlo Cattaneo di Castellanza. Gli esperti di comunicazione la volevano denominare “New European University”. Come presidente del Comitato Scientifico (ricco di personaggi come Giorgio Fuà, Sylos Labini, Hyman Minsky, Giorgio Rota) che aveva pensato ad un modello ispirato al pensiero di Cattaneo ed alla sua rivista “Il Politecnico”, con una interazione tra economia e tecnologia, proposi di dedicarla a Carlo Cattaneo. La mia proposta fu accolta, In questa sede, anche se non è facile, cerchiamo di far rivivere e attualizzare il pensiero di Carlo Cattaneo riprendendo l’auspicio che lui formulò in chiusura del suo magnifico e attualissimo saggio del 1861, un saggio che era avanti di quasi 150 anni e che ancora attende che lo si faccia avanzare ulteriormente. Ha ragione Franco Masoni, Presidente del Comitato Italo – Svizzero per la pubblicazione delle opere di Carlo Cattaneo, quando scrive che: “il viaggio a ritroso nel tempo, all’incontro con il Cattaneo, potrebbe rivelarsi un viaggio nel futuro”.