1. Quali sono oggi le principali alternative all’agricoltura industriale? O se preferisce: quali sono i principali sistemi di agricoltura ecologica? Siamo ancora ad una diffusione “di nicchia”. (per “sistemi” non intendo tanto le tecniche, ma le esperienze, come quella della “Via Campesina” ad esempio).
Le alternative all’agricoltura industriale sono molteplici e coprono uno spazio-tempo così ampio da risultare difficile raccoglierle sotto una sola etichetta, in modo approssimativo si può dire che si tratta di sistemi di agricoltura ecologica nel senso che, con gradi diversi di consapevolezza e efficacia, interrompono la tendenza alla crescente insostenibilità ambientale che caratterizza l’agricoltura industrializzata. Aggiungendo subito che l’industrializzazione dell’agricoltura continua a svilupparsi su scala globale, investendo ora, in primo luogo, i paesi dell’ex Terzo mondo con fenomeni socialmente, prima ancora che ecologicamente, devastanti quali la concentrazione della proprietà della terra in aziende multinazionali che puntano su monocolture OGM a finalità alimentari e industriali, spazzando via popolazioni, tradizioni, culture e colture. Ciò determina molteplici forme di resistenza, particolarmente significative in contesti come quello latino-americano, dove è in atto un conflitto aperto tra i governi progressisti, tipico il caso brasiliano, e le forze sociali che li hanno resi possibili.
2. Una “conversione” (o “rivoluzione”) ecologica dell’attività produttiva e dell’economia può partire proprio dall’agricoltura?
L’agricoltura, considerata marginale dalla politica, a partire dal fatto che gli addetti, in tutte le situazioni sviluppate sono pochi, e globalmente continuano a diminuire, ad esempio fuggendo in massa dai paesi poveri e dalle situazioni in cui l’aumento della produttività rende superflua la manodopera contadina, per altro verso costituisce la frontiera su cui si stanno confrontando due prospettive di futuro. Quella egemone, ma che è lecito considerare minata da crepe insanabili, prevede la scomparsa definitiva del mondo contadino e, in fondo, dell’agricoltura come fatto di civiltà, dato che la produzione di cibo viene demandata ad un reparto speciale dell’industria ad alta densità di capitale, sganciato dai cicli naturali, imperniato sulla meccanica, chimica, farmaceutica, genetica, in grado di alimentare i miliardi attuali e futuri di popolazione. Questo è il progetto della modernità, fatto proprio nel secolo scorso da ideologie contrapposte, che si è scontrato con una pietra d’inciampo ingombrante e imprevista: la crisi ecologica. E’ su questo terreno che emerge la seconda prospettiva, sintetizzabile nel concetto di conversione ecologica delle attività produttive. In tale contesto l’agricoltura occupa un ruolo cruciale, per molti motivi: a partire dal fatto che è in grado di fornire la prova provata della bontà di una tale scelta. E’ chiaro, per altro, che l’agricoltura da sola non ce la può fare. Si tratterebbe di una testimonianza significativa e del tutto rispettabile ma quel che serve è un movimento complessivo, rispetto a cui ci sono le condizioni oggettive ma non quelle soggettive, dato che il nostro tempo, a livello sociale, è contrassegnato dalla contrapposizione tra passività e fanatismo.
3. Ma è davvero possibile collocarsi non solo culturalmente ma anche materialmente al di là del ciclo storico dominato dall’industrializzazione?
Direi di sì a partire dal fatto che le esperienze di agricoltura ecologica si sottraggono alla tonalità spirituale prevalente che sintetizzavo in passività e fanatismo. La passività dei consumatori e spettatori che attendono le sentenze e i verdetti del mercato, innanzitutto finanziario, considerandolo l’ambiente naturale in cui è dato di vivere; il fanatismo di coloro che si impegnano a trarre frutti crescenti dalla macchina produttiva, vivendo per consumare e accumulare denaro. Il fanatismo altresì, è evidente, di coloro che intendono distruggere la civiltà occidentale, che ha prodotto l’industrializzazione del mondo e il dominio della tecnica, contrapponendo alla modernità un nichilismo regressivo e distruttivo già sperimentato a fondo dall’Europa nel secolo scorso.
4. Le partite decisive del futuro si giocheranno attorno a cibo, terra e acqua?
Se non prevarrà la guerra, l’agenda in positivo sarà da costruirsi attorno ai fondamentali che ha ricordato, da attualizzare rispetto ad una ancora più urgente conversione energetica, dove l’opzione è tra uso intelligente, tecnicamente e culturalmente avanzato dell’energia solare rinnovabile nelle sue forme molteplici, o incenerimento sino all’esaurimento dei combustibili fossili (utili per altri usi), ovvero rilancio del nucleare con conseguenti scenari apocalittici. Ricentrare l’attenzione sull’agricoltura, il paesaggio, il cibo (buono, sano e giusto secondo l’indovinato slogan di Slow Food), sulla cura del territorio, sulla biodiversità in termini naturali e della pluralità delle culture antropiche, in altre parole sulla straordinaria e misconosciuta eredità culturale che abbiamo ricevuto dalle civiltà contadine, costituisce un passaggio necessario per un superamento non regressivo della modernità. E’ un ambito in cui è non solo necessario ma possibile trovare una convergenza tra popoli e culture diverse come non si stanca di ripetere l’attuale Papa.
5. In termini di diffusione e produzione la disparità tra le forze in campo sembra essere ancora notevole: l’agricoltura biologica – per quel che so io – è una “topolino” rispetto alla “montagna” dell’agricoltura industrializzata. Al di là di ragioni strettamente ecologiche, un cambiamento potrebbe essere accelerato da motivi economici. Le chiedo dunque se il “biologico” è economicamente vantaggioso per un imprenditore, oltre che eticamente preferibile.
Il biologico, che è erede diretto dell’agricoltura organica del passato, e che si articola a sua volta in forme molteplici, non è propriamente marginale, soprattutto in termini economici. C’è stata una espansione notevole della domanda, specie in ambito urbano o metropolitano, dove in rapporto al reddito, ma non solo, si sono affermati stili di vita “postmaterialistici”. E’ un fenomeno complesso che va salutato con favore, nonostante inevitabili contraddizioni, dato che il nuovo si mescola con il vecchio, e il business può essere prevalente rispetto all’attenzione per l’ambiente o la salute. Sarebbe un discorso lungo, è però un segnale significativo il fatto che, come riportato nel libro su Le tre agricolture, una zona vinicola di pregio come la Franciacorta abbia deciso la transizione al biologico di tutti i produttori che possono fregiarsi di tale marchio.
6. Quali altri vantaggi deriverebbero da una eco-agricoltura estesa (non più di nicchia). Mi riferisco sia al piano sociale e lavorativo, sia a quello culturale (e in riferimento a quest’ultimo penso anche a una diversa percezione del tempo e del rapporto con noi stessi)…
In realtà, oltre ai benefici per l’ambiente, sempre difficili da cogliere nella percezione diffusa, trattandosi di una novità storica a mio avviso non metabolizzata, dato che sono venuti meno i vecchi parametri e non sono stati ancora assimilati quelli nuovi, i benefici dell’agricoltura ecologica riguardano in primo luogo gli essere umani, tenendo ben presente che, contro critici superficiali o non in buona fede, non si tratta di un ritorno al passato e alle condizioni di vita e di lavoro durissime che contrassegnavano spesso il mondo contadino. Si tratta invece di costruire un’agricoltura che non espella più i lavoratori ma dia loro una occupazione dignitosa, a fronte di una tragica disoccupazione giovanile, a fronte della necessità assoluta di manutenzione del territorio, con la possibilità di un lavoro ricco di significato, soddisfacente sul piano personale, nel rapporto con l’ambiente e la società. E’ una transizione auspicabile e necessaria, non può per altro avvenire, su dimensioni adeguate, in modo puramente spontaneo e naturale, richiede prerequisiti culturali e politici che riguardano tutti, non solo i nuovi o vecchi contadini.
7. In sintesi, quali sono le promesse non mantenute e i problemi principali dell’agricoltura industriale nella sua versione più avanzata?
L’agricoltura industriale ha fallito i suoi obiettivi sul piano economico, sociale e ambientale, anche se solo con il manifestarsi vistoso della crisi ecologica è stata veramente messa in discussione. I difensori dell’agricoltura industriale, oggi riuniti sotto la bandiera degli OGM, sostengono che solo l’industrializzazione dell’agricoltura ha reso possibile sfamare la popolazione mondiale e garantire un livello di sostentamento adeguato per le grandi masse, liberandole dal peso di un lavoro senza respiro come quello agricolo. In base a ciò sostengono che i problemi residui saranno risolti da una nuova rivoluzione agricola (dopo quella che è stata alla base della prima rivoluzione industriale, e la “rivoluzione verde” del secondo dopoguerra). E’ un fatto però che l’agricoltura industriale è stata in piedi economicamente solo grazie a enormi aiuti statali; determinando un gigantesco fenomeno di urbanesimo su scala mondiale è alla base delle crisi sociali e politiche del nostro tempo; ha prodotto danni gravissimi e inediti all’ambiente, rispetto a cui costituisce la minaccia più immediata e incombente.
8. Ma l’agricoltura industrializzata è incompatibile con l’ecosfera? Ed è possibile un’integrazione armonica tra i due modelli – agricoltura industriale ed ecologica – senza che l’uno escluda l’altro?
L’agricoltura industriale si è rivelata incompatibile con l’ambiente per cui sono state necessarie azioni continue di mitigazione dei danni. D’altro canto noi non possiamo fare a meno delle tecniche industriali, esse però non possono essere sottomesse alle leggi dell’economia, quindi per ottenere il massimo profitto economico monetario possibile, bensì governate dell’ecologia ambientale e sociale.
9. Al di là della “tecnica” e al di là del sistema di produzione, qual è l’essenza dell’agricoltura ecologica? Io pensavo che potesse essere proprio la ripresa ma insieme anche il superamento dell’antica agricoltura contadina…
Condivido pienamente; si tratta però di capire che questo passaggio non è affatto semplice, non tanto sul versante delle tecniche “ecologiche” ma per ciò che riguarda la capacità di un rapporto positivo con l’eredità culturale dell’agricoltura contadina del passato. D’altro canto solo se sapremo instaurare un rapporto positivo con un passato che è ancora il presente di tanti luoghi del mondo, solo se sapremo rendere giustizia e redimere una storia che anche la nostra, potremo spezzare l’incantesimo di un presente astorico, che cancella il passato e divora il futuro.
10. Qual è stato il lascito di Expo (se c’è stato)?
Purtroppo mi pare che non ci sia stato alcun lascito e forse non poteva essere diversamente.
Pier Paolo Poggio
Direttore Fondazione Luigi Micheletti.