Nell’ottobre del 1931 Benito Mussolini ritenne che fossero ormai maturi i tempi per “risolvere la questione delicata e ormai urgente della fascistizzazione delle Università italiane”. La soluzione adottata fu quella di invitare i 1213 docenti delle Università italiane a prestare un giuramento, nel quale si impegnavano a formare cittadini devoti “alla Patria e al Regime fascista”.
Per inciso, la scarsa considerazione che fu prestata al diktat mussoliniano da parte del Corpo Accademico è già evidente, a nostro avviso, dalla quasi plebiscitaria adesione: accanto a professori che giurarono con vera convinzione, ve ne furono altri che non dettero peso al giuramento (da bambini, quando dovevame negare un comportamento ritenuto solo leggermente riprovevole – che so, aver colto la frutta nel giardino del vicino – giuravamo con le dita incrociate…) ed altri ancora che ritennero più importante compiere un atto di adesione formale che, mantenendoli nel ruolo, permettesse loro di continuare una battaglia clandestina contro il regime illiberale. La leggerezza della più parte dei docenti fu un inconsapevole prologo alle ben più gravi misure razziali degli anni successivi, che costrinsero all’esilio validissimi studiosi e dettero inzio a quella fuga dei cervelli verso più liberi lidi che impoverì soprattutto le facoltà scientifiche e fu non ultima causa della sconfitta dei paesi dell’Asse.
Ma certamente meritevole di grande rispetto fu il comportamento dei dodici che nel 1931 rifiutarono il giuramento: tra questi vi fu Giorgio Errera, ordinario di Chimica nell’Università di Pavia.
Nato a Venezia da una famiglia ebrea di origine sefardita, studiò alle Università di Padova e di Torino; fu preparatore chimico all’Istituto di Chimica di Torino, diretto da Marcello Fileti e ivi conseguì la libera docenza in Chimica generale, nel 1887.
Vinse la sua prima cattedra all’Università di Messina del 1892; rimase a Messina 16 anni, fino al giorno in cui, per effetto del disastroso terremoto del 1908 che distrusse anche il suo Istituto, perse la consorte e rimase a lungo sotto le macerie. Nell’anno successivo fu chiamato nell’Università di Palermo, dalla quale tuttavia chiese quasi subito di essere trasferito. Non sembri ingeneroso ricordare che a Palermo subì una aggressione (nella quale rimase gravemente ferito) che, secondo i familiari, andrebbe attribuita a uno studente bocciato; del resto, gli allievi pavesi, per la sua severità, sostenevano che “Errare humanum est, Errera diabolicum”. Peraltro sembra che fosse docente didatticamente molto efficae, come risulta anche dai suoi trattati: il “Trattato di chimica inorganica” (1917), il “Trattato di chimica organica”(1920-22) e altri ancora. A Palermo dovette rimanere fino al 1917, quando la Facoltà di Pavia lo chiamò a sostituire il prof. Giuseppe Oddo, con il quale scambiò la sede universitaria.
Le sue pubblicazioni scientifiche coprono principalmente argomenti di chimica organica e si occupano di argomenti quali l’azione del cloro sul cimene, la nitrazione degli eteri misti grassi-aromatici, l’etere p-bromobenziletilico, la struttura della canfora, i prodotti di condensazione della ftalimide con fenolo, la reattività delle anidridi cicliche. I suoi lavori più importanti sono quelli sulla chimica dei terpeni, più volte ricordati da un altro valoroso chimico e trattatista: Michele Giua, condannato dal Tribunale Speciale a 9 anni di carcere, che partecipò alla resistenza e fu membro dell’Assemblea costituente.
Giorgio Errera (1860-1933) insegnò all’Università di Pavia dal 1° dicembre 1917. In Pavia fu titolare di Chimica generale nella Facoltà di Scienze e incaricato di Chimica organica. Rilevante fu anche il suo contributo alla Scuola di Chimica industriale, sorta a Pavia nel periodo della prima guerra mondiale per iniziativa di vari Enti locali e delle principali industrie pavesi: dalle Fonderie Necchi alla Società Mangini.
Giorgio Errera, nell’Università di Palermo, fu collega di Giovanni Gentile; questi, divenuto ministro della Pubblica istruzione (meglio: della Educazione nazionale…..), ritenne che Giorgio Errera (di cui pur doveva conoscere le idee liberali) potesse essere un’ottima guida per l’Università di Pavia; ed avvalendosi del potere di scelta che gli era stato attribuito dalle nuove leggi lo nominò rettore dell’Ateneo per il triennio 1923-26. Immediato fu il rifiuto del Nostro; “l’ambiente liberale nel quale sono nato e cresciuto – scrisse al Ministro – fa sì che, per quanto riconosca i grandi meriti dell’attuale governo, non sia del tutto d’accordo né coi principi che lo informano, né coi metodi seguiti”. In altre parole, Giorgio Errera riteneva che le nuove leggi sull’istruzione universitaria configurassero il Rettore come un’emanazione diretta del Ministro; e riteneva insostenibile la posizione in cui si sarebbe trovato quando si manifestasse un dissenso non su affari di ordinaria amministrazione ma su affari “che involgessero talune questioni di principio”. Il Ministro, prendendo atto della rinuncia, il 31ottobre 1923 nominò rettore il prof. Arrigo Solmi, politicamente nazionalista. Per inciso, agli occhi di Achille Starace il Solmi appariva un fascista di dubbia fede e dopo tre anni fu sostituito da Ottorino Rossi.
Coerente con la sua posizione ideale, Giorgio Errera fu il solo professore della Facoltà di Scienze dell’Università di Pavia a sottoscrivere l’antimanifesto redatto da Benedetto Croce (nel 1925) in opposizione al “Manifesto degli intellettuali fascisti”. Tra coloro che sottoscrissero l’antimanifesto crociano va ricordato lo storico dell’antichità Plinio Fraccaro, che fu il Rettore della ricostruzione dopo la caduta del fascismo.
Arrigo Solmi, insieme con il giurista Mario Rotondi, fu tra i professori che non prestarono giuramento nel 1931, ma in quanto trasferito ad altra università nella quale il giuramento non era richiesto. L’unico professore che non volle giurare “allegando problemi di coscienza” fu Giorgio Errera. Venne l’epurazione, che assunse la forma della collocazione a riposo (anzitempo) con la formula dell’avanzata età ed anzianità di servizio. La sua facoltà non mancò di adottare e verbalizzare una delibera di saluto al collega che lasciava l’insegnamento; ma il camerata Vinassa de Regny, geologo, professore per “chiara fama” (che, tra l’altro, propose una sua personalissima versione della tavola periodica degli elementi ed era comunemente soprannominato dagli studenti “Acquassa de Vichy) e rettore dell’Università per la medesima ragione, trattenne il verbale di saluto e fece in modo che non venisse inviato ad Errera. Lo stesso Vinassa de Regny, ne “Il Popolo” del 2 marzo 1930, aveva scritto che tra i professori universitari vi erano moltissimi valentuomini un po’ grigi, un po’ spostati, un po’ pavidi, indifferenti, pronti a lasciarsi guidare.
Giorgio Errera morì a Torino il 1° dicembre 1933.
In conclusione, Giorgio Errera fu uomo di grande coerenza, sempre attento ad evitare qualsiasi compromesso con la dittatura, anche se alieno dalla lotta politica. L’Università di Pavia gli ha dedicato una lapide, scoperta il 2 dicembre 1997, nella quale ben a ragione viene definito “saldo negli ideali di libertà civile ed intellettuale”.
Note bibliografiche
Si veda, per una breve storia della vicenda politica, umana e scientifica di Giorgio Errera, il fascicolo che gli è stato dedicato dall’Università di Pavia, dal titolo: “Per ricordare Giorgio Errera – Il rifiuto del giuramento fascista”, marzo 1998, pagg. 1-64..
Un profilo di Giorgio Errera è in: Helmut Goetz, “Der freie Geist und seine Widersacher”, Haag & Herchen.
Altre notizie si possono ricavare dagli Annuari dell’Università di Pavia e da documenti di archivio.