Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Bioetanolo

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A parte il prezzo del petrolio, aumentato da 200.000 lire alla tonnellata alla fine del Novecento a 500.000 lire alla tonnellata, nell’anno duemila, gli automobilisti e l’industria automobilistica stanno affrontando numerosi non-nuovi problemi che comportano cambiamenti sia nella progettazione dei motori, sia nei carburanti.

L’industria è cresciuta offrendo agli acquirenti delle automobili con elevato rapporto di compressione che assicura maggiore velocità e ripresa ma richiede benzine con elevato numero di ottano; un carburante con più alto numero di ottano (di 90 unità e oltre) consente l’uso di motori “più spinti” (scusate se uso questi termini così sciatti e poco scientifici).

La benzina come si ricava dalla distillazione del petrolio ha un numero di ottano che raramente supera 70 o 80 unità. Tutta l’industria petrolifera ha vissuto perciò cercando di inventare additivi o modificazioni che consentissero di aumentare il numero di ottano. L’additivo più conveniente ed “economico” è stato, per decenni, il piombo tetraetile, un composto organico del piombo inventato negli anni venti (al lettore curioso raccomando l’articolo “pubblicato” in Internet nel sito www.runet.edu/~wkovarik/paper/Kettering.html). Il piombo tetraetile è tossico per i lavoratori che lo fabbricano e maneggiano, per gli addetti ai distributori di benzina, per gli automobilisti, inquina l’aria con composti velenosi del piombo e, dopo tante battaglie, i governi di molti paesi si sono decisi a vietarne l’uso. L’industria petrolifera non ha trovato di meglio che sostituirlo addizionando alle benzine una miscela di benzene e di altri composti aromatici, anche loro tossici e pericolosi tanto che la benzina che li contiene non è nè “verde” – come si sente dire continuamente, con un ammiccamento alla “verdità” dell’ecologia  –  né ecologica: il nome merceologico è “benzina senza piombo”.

L’unica soluzione accettabile per avere una benzina ad alto numero di ottano e un po’ meno inquinante e pericolosa consiste nell’addizionarla con alcol etilico anidro ricavato per via microbiologica da zuccheri, amidi, cellulosa, cioè da una gran varietà di materie prime di origine agricola o forestale, continuamente riprodotte dai cicli biologici alimentati dal Sole.

Nonostante difficoltà tecniche e problemi di costi, la miscela benzina/alcol etilico – un carburante  un po’ più “verde”, questa volta – ha elevato numero di ottano ed è meno inquinante di qualsiasi tipo di benzina commerciale. Inoltre la produzione di alcol carburante darebbe vita o risolleverebbe molti settori legati all’agricoltura e ai boschi, all’industria delle fermentazioni (che sono poi le prime “biotecnologie” inventate dagli umani) e della distillazione dell’alcol, fornirebbe come sottoprodotti mangimi per il bestiame.

Non si capisce bene che cosa i nostri governanti intendano quando parlano ogni tanto di “biocarburanti”; credo che il problema sia di evitare a milioni di automobilisti di buttare via le loro automobili, che finora avevano usato la benzina con  piombo, e di rimandare la loro condanna ad acquistarne un’altra. Potrebbe però essere invece l’occasione per un riesame di tutta la situazione dei carburanti per autoveicoli, anche alla luce di possibili ulteriori aumenti dei prezzi del petrolio. Il lungo dibattito che si svolse sull’alcol carburante negli anni dal 1975 al 1985 offre ancora oggi preziose indicazioni. Anche il mondo dell’agricoltura potrebbe accorgersi che, nel suo futuro, la produzione di nuove merci, fra cui l’alcol carburante, materia prima e fonte energetica davvero rinnovabile, ha un ruolo centrale e determinante soprattutto per l’occupazione e il Mezzogiorno.

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