Le frodi sono una delle attività criminose più antiche dell’umanità e sono saldamente radicate nella vita sociale. Nel momento in cui il denaro è diventato l’indicatore del valore delle merci e in cui il possesso del denaro è diventato l’indicatore del valore delle persone, era abbastanza naturale che i commercianti aumentassero il proprio profitto vendendo a prezzo più elevato merci meno pregiate.
Così l’orefice che preparò la corona per Gerone di Siracusa cercò di ingannare il suo cliente mescolando all’oro metalli meno pregiati e ci volle Archimede per svelare la frode, con un ingegnoso sistema che gli permise di inventare il metodo per la misura del peso specifico dei corpi. Plinio, nella sua “Storia naturale”, spiega bene come i commercianti adulterassero alimenti, droghe, spezie, soprattutto quelli che arrivavano a Roma da paesi lontani, e indica vari metodi per svelare le frodi.
E però col diffondersi della cultura e del modo di vivere arabi che la lotta alle frodi viene affrontata con metodo scientifico. In questo nuovo mondo, in cui un vivace spirito mercantile
si trova associato ad una viva curiosità per la natura e per l’osservazione scientifica, le pratiche di commercio, le merci e le loro alterazioni, adulterazioni e sofisticazioni diventano oggetto di studio e argomenti di libri e trattati.
La necessità di far rispettare le leggi e i divieti della fede che prescriveva, fra l’altro, l’onestà nel commercio, portò ad un sistema di polizia, di controlli e di tribunali contro le frodi; tale sistema si sviluppò con l’estendersi del mondo islamico. Mentre nei primi tempi il compito di controllo e repressione era svolto dal Califfo in persona, e occasionalmente da altri incaricati, con l’aumentare del numero dei musulmani tale compito, divenuto più gravoso, fu affidato a funzionari regolarmente nominati dai governanti.
Probabilmente verso la fine dell’ 800, quando si svilupparono le varie scuole del Fiqh, fu creato l’ufficio della hisbah, una polizia incaricata di tutelare l’onestà nei commerci e nei mercati, l’igiene pubblica e la pubblica moralità. La hisbah svolgeva anche compiti di anagrafe e di stato civile, oltre a quelli tecnici comprendenti la repressione delle frodi, il controllo dei pesi e misure ed anche un servizio di commissariato militare. Il funzionario addetto alla hisbah, il muhtasib, dipendeva dalla autorità religiosa, girava per i mercati con un assistente che si portava dietro un vero e proprio laboratorio mobile, con i reagenti e gli apparecchi per controllare la genuinità degli alimenti e per scoprire i frodatori, una specie di antesignano degli odierni organi governativi per la repressione delle frodi.
Gli Arabi distinguevano varie forme di frodi; alcune sono indicate col nome di ghushush per intendere, per lo più, quelle realizzate con miscele di sostanze differenti da quella genuina, più o meno corrispondenti al nostro termine di “falsificazione” o “adulterazione”; altre sono indicate col termine tadlis per intendere la vendita di una qualità inferiore di merce al posto e al prezzo di quella di qualità migliore, più o meno come le nostre “sofisticazioni”.
Con la creazione del nuovo ufficio cominciarono ad apparire dei trattati contenenti, fra l’altro, i metodi di analisi per svelare molte frodi sugli alimenti, oltre che su altre merci come droghe, spezie, cere, metalli preziosi, eccetera, veri e propri manuali merceologici che aiutavano il muhtasib nello svolgimento delle sue funzioni. Ci sono, fortunatamente, pervenuti molti di questi manuali che consentono di avere notizie su una attività molto progredita e sulle frodi più comuni. Lo studioso al-Chazini nel 1200 aveva messo a punto uno strumento, la bilancia idrostatica o “bilancia della sapienza”, con cui riusciva a misurare con grande precisione il peso specifico dei corpi, al punto da differenziare l’olio di oliva da quelli di semi e da svelare molte altre frodi. Si può anzi dire che la chimica e la fisica hanno fatto passi da gigante proprio spinte dalla necessità di svelare le frodi alimentari e commerciali.
Il vero cammino trionfale delle frodi alimentari comincia, però, con l’avvento del capitalismo. Dal 1700 in avanti il proletariato poteva essere sfruttato non solo in fabbrica, con bassi salari e condizioni disumane di lavoro, ma anche nella bottega. Agli inizi del 1800 le frodi alimentari erano così diffuse da indurre il chimico Fredrick Accum (1769-1838) a scrivere un celebre libretto sull’adulterazione dei cibi, col sottotitolo: “La morte nella pentola”, con riferimento alla intossicazione alimentare di Eliseo e dei suoi compagni, raccontata nella Bibbia nel quarto capitolo del quarto Libro dei Re. Il libro di Accum, pubblicato nel 1820 a Londra, fu il primo di una lunga serie di scritti di denuncia delle frodi e fece sollevare una vasta protesta popolare. Davanti a tale sollevamento dell’opinione pubblica il Parlamento inglese nominò, nel 1834, la prima commissione d’inchiesta sulle frodi alimentari. Poiché le frodi continuavano, altre due commissioni parlamentari d’inchiesta, nel 1855 e nel 1856, mostrarono quante porcherie arrivavano sulla tavola degli inglesi.
L’indagine fu sostenuta da una violenta campagna di stampa. Il settimanale satirico inglese Punch, durante i lavori della Commissione parlamentare, pubblicò il 4 agosto 1855 una celebre vignetta che mostra una bambina nel negozio del droghiere. “Signore – dice la bambina – la mamma la prega di darmi un etto di te della migliore qualità, per uccidere i topi, e mezzo etto di cioccolata per sterminare gli scarafaggi”.
Nella battaglia contro le frodi ebbe un ruolo rilevante il medico Arthur Hassall (1817-1894) che fu nominato direttore del primo laboratorio governativo di controllo per la repressione delle frodi alimentari e che fu autore anche di varie opere di merceologia. Lo scandalo portò all’approvazione, nel 1860, dell’“Adulteration of Food Act”, la prima legge inglese contro le frodi.
Di questa battaglia parla Carlo Marx nell’ottavo capitolo del primo libro del “Capitale”, pubblicato, come è ben noto, nel 1867, pochi anni dopo questi eventi. “L’incredibile adulterazione del pane, specialmente a Londra, venne rivelata per la prima volta dal Comitato della Camera bassa sull’adulterazione dei cibi (1855-56) e dallo scritto del dott. Hassall: ‘Adulteration detected’. Conseguenza di queste rivelazioni fu la legge del 6 agosto 1860 ‘for preventing the adulteration of articles of food and drink’; legge inefficace, poiché naturalmente mostra la massima delicatezza verso ogni freetrader che intraprende ‘to turn an honest penny’ – di guadagnarsi qualche meritato soldo – attraverso la compravendita di merci sofisticate. Il Comitato stesso aveva formulato, in maniera più o meno ingenua, la convinzione che il libero commercio significa in sostanza commercio di materiali adulterati o, come dice spiritosamente l’inglese,’materiali sofisticati’. E infatti questa specie di ‘sofistica’ sa far nero del bianco e bianco del nero, meglio di Protagora e sa dimostrare ad oculos che ogni realtà è pura apparenza, meglio degli Eleati”.
La corsa veloce e gloriosa dell’industrializzazione paleocapitalistica è costellata di “progressi” tecnici accompagnati da un peggioramento della qualità, da frodi, da contaminazioni e pericoli per la salute. In Inghilterra sarebbe stato necessario attendere il 1875 per avere la prima legge organica contro le frodi, il “Sale of food and drug Act”.
Il libro “Il ventre di Parigi”, pubblicato da Emile Zola nel 1873, espone un quadro desolante del commercio all’ingrosso degli alimenti nella capitale francese. In quegli anni fu istituito in Francia il servizio di igiene pubblica degli alimenti – il Conseil d’Hygiene publique et de la Salubrite – la cui direzione fu affidata, nel 1877, niente meno che a Louis Pasteur (1822-1895).
Un movimento di contestazione si era intanto sviluppato anche negli Stati Uniti dove vennero pubblicate varie riviste che denunciavano le frodi alimentari e dove emerse la figura, fra gli altri, di Harvey Washington Wiley (1844-1930). Altre riviste sulle frodi furono pubblicate in altri paesi. Nel 1898, durante la guerra di Cuba, l’America fu scossa dallo scandalo delle scatolette di carne avariata distribuite al corpo di spedizione statunitense.
Ci sarebbe voluta l’inchiesta dello scrittore Upton Sinclair per fare luce sulla grande industria americana dei macelli e della carne in scatola e sulle sue frodi e imbrogli, nonché sulle condizioni disumane e anti-igieniche di lavoro Il libro “La giungla” che Upton Sinclair (1878-1968) pubblicò nel 1905 (Mondadori ha pubblicato di recente una ristampa della traduzione italiana, la cui lettura raccomando vivamente) sollevò l’indignazione pubblica e portò all’approvazione delle due leggi americane, il “Pure Food and Drug Act” e il “Beef Inspection Act” che misero qualche ordine in un settore fino allora abbandonato all’arbitrio di industriali spregiudicati. Dopo tali leggi fu anzi creato uno speciale laboratorio anti-frodi nel Dipartimento dell’Agricoltura. Piu’ tardi fu creata, nel Dipartimento della Sanità, la Food and Drug Administration.
Le cose non vanno bene neanche oggi e un quadro di aspra contestazione della politica troppo permissiva della FDA e’ contenuto in un libro di Ralph Nader, l’“avvocato dei consumatori”, intitolato “Il cibo che uccide” e tradotto in italiano alcuni anni fa e pubblicato da Bompiani.
La storia delle frodi alimentari in Italia è ancora in gran parte da scrivere. Le prime leggi sulla genuinità degli alimenti risalgono al 1888 e al relativo regolamento del 1890, al 1901, al 1904, al testo unico delle leggi sanitarie del 1907 e al relativo regolamento del 1908. Alcuni autori hanno ricostruito le modificazioni delle normative sull’olio di oliva e di semi, sul pane e sulle paste alimentari, sui coloranti e sugli additivi e su vari altri alimenti e hanno messo in evidenza che i grandi interessi e le potenti forze economiche hanno, a varie riprese, chiesto e ottenuto leggi su misura, protezioni, vantaggi. Il consumatore è sempre stato proprio come se non esistesse.
La vasta riforma delle leggi merceologiche si ebbe sotto il fascismo negli anni dal 1928 al 1935. Ancora una volta le nuove leggi non furono scritte per assicurare merci migliori al minimo prezzo ai cittadini e ai lavoratori, ma per difendere, a volta a volta, gli interessi, corporativi, appunto, degli agricoltori o degli industriali. Addirittura con cambiamenti di rotta lungo il cammino.
Un esempio illuminante è offerto dalla normativa sull’olio di oliva: fino al 1935 le leggi sull’olio di oliva proteggevano gli interessi degli agricoltori; gli oli vergini di pressione, più pregiati e costosi e con un elevato “contenuto” di lavoro e cura agricola – e di profitti per gli agrari – potevano essere commerciati con denominazioni ben chiare che permettevano di riconoscerne l’origine. Le denominazioni delle miscele di oli di pressione con oli raffinati, ottenuti industrialmente dagli oli acidi o dagli oli di sansa, permettevano chiaramente di riconoscere che si trattava di oli meno pregiati. La transizione, che risale proprio agli anni intorno al 1935, dal fascismo agrario al fascismo protettore degli industriali fu segnata da un cambiamento delle denominazioni dell’olio, per cui qualsiasi miscela di oli raffinati e di pressione poteva essere sempre venduta come “olio di oliva”, anche quando il contenuto di olio di pressione era magari di appena il 5 per cento.
Per il comodo degli industriali le paste alimentari potevano essere vendute come paste di grano duro e come paste “comuni”, se erano fatte impiegando anche farina di grano tenero; ma la farina di grano tenero poteva rappresentare il 95% della miscela e il consumatore, comprando la pasta comune, non sapeva certo se il prezzo pagato corrispondeva al suo valore commerciale e alimentare.
I periodi di guerra sono sempre stati periodi d’oro per i frodatori e gli speculatori; tempi di borsa nera e di frodi alimentari in cui affondano le radici molte fortune finanziarie anche odierne. Comunque le leggi fasciste sugli alimenti sono rimaste in vigore fino alla fine degli anni cinquanta del Novecento. Per quindici anni, dopo la Liberazione, la tecnologia dell’industria agroalimentare ha fatto grandi progressi, nel bene e nel male, ma le leggi hanno fatto finta di non accorgersene.
Sotto le denominazioni, le definizioni, i caratteri stabiliti per gli alimenti da leggi di venti e più anni prima, è stato possibile ai più spregiudicati frodatori assicurarsi guadagni illeciti alle spalle degli italiani. Al settimanale L’Espresso va il merito di alcune inchieste giornalistiche che, negli anni 1957 e 1958, hanno denunciato la scandalosa rete di silenzi, acquiescenze, complicità che consentivano le principali frodi. Nel gennaio e nel settembre 1957 alcuni articoli avevano descritto le frodi nel vino che, metanolo a parte, non erano molto diverse da quelle della primavera 1986!
In quegli anni qualcuno aveva scoperto che l’olio di semi di te è l’unico olio vegetale (a parte il troppo costoso, allora, olio di mandorle) che presenta caratteristiche merceologiche e analitiche uguali a quelle dell’olio di oliva. Fu così organizzato un “commercio triangolare”; veniva acquistato a basso prezzo olio di te in Cina; questo arrivava in qualche porto dell’Africa settentrionale dove, senza nessuno spostamento, con un abile cambiamento dei documenti di trasporto, veniva fatto figurare che la nave aveva scaricato olio di te e imbarcato olio di oliva. L’olio di te entrava così in Italia come regolare olio di oliva.
Un’altra “elegante” frode nel campo dell’olio di oliva derivava dal fatto che la tecnologia alimentare industriale aveva messo a punto dei processi per ottenere oli facendo combinare insieme, per sintesi, i due principali costituenti di tutti i grassi, la glicerina e gli acidi grassi. Una scoperta “provvidenziale”; infatti molti oli di oliva di pressione sono acidi per loro natura, cioè contengono acidi grassi liberi in quantità tale da non farli considerare commestibili: la loro raffinazione comportava e comporta la perdita di una parte apprezzabile dell’olio. Qualcuno si chiese allora: se la natura trasforma, dentro il frutto dell’olivo, gli acidi grassi in olio combinandoli con la glicerina, perché non imitare la natura con un processo industriale? Furono così messi a punto dei processi di ricostruzione, per sintesi, per “esterificazione”, degli oli di oliva combinando con glicerina gli acidi grassi separati, mediante distillazione, dagli oli di oliva acidi.
Ma ci fu chi fece un ulteriore passo avanti scoprendo che si poteva ottenere un falso olio di oliva, indistinguibile dall’olio di oliva genuino, combinando la glicerina con certi acidi grassi, i “grassetti”, ricavati da grassi animali di basso costo, come l’olio di piedi di cavallo o di asino, che l’Italia importava per usi industriali e che avevano composizione simile a quella degli acidi grassi dell’olio di oliva. La frode era nota da tempo, tanto che nel 1953 un decreto aveva imposto agli importatori di addizionare ai “grassetti” un denaturante, il nitrobenzolo, che però poteva essere facilmente eliminato.
Un primo articolo apparso su L’Espresso del 22 giugno 1958 col titolo: “L’asino nella bottiglia”, raccontò questa poco edificante storia del miracolo italiano. Negli articoli successivi l’opinione pubblica imparò che si poteva ottenere burro impiegando grasso di balena e pasta alimentare con farina di grano tenero e addensanti ottenuti dal sangue dei macelli.
Poiché la pasta di grano duro aveva un valore (e un prezzo) maggiore della pasta “comune”, i pastai spregiudicati fabbricavano pasta con la farina di grano tenero e la vendevano come pasta di semola di grano duro. La pasta fatta con la farina di grano tenero tiene poco la cottura, rilascia dell’amido nell’acqua di cottura; l’aggiunta di un addensante a base di albumina, ricavata appunto dal sangue dei macelli, permetteva di migliorare la resistenza alla cottura, di correggere il basso contenuto di proteine e consentiva con poca spesa il maggior guadagno assicurato dalla vendita di pastaccia col nome prestigioso del grano duro.
Le violente denunce dell’ Espresso sollevarono una ondata di indignazione, la prima grande protesta e contestazione civile contro le speculazioni e contro uno stato troppo distratto o compiacente nei confronti degli imbroglioni. Del problema delle frodi si occuparono giornali e pubblica amministrazione e studiosi, si tennero numerose conferenze e dibattiti – proprio come sarebbe successo, dieci anni dopo, ai tempi della prima contestazione ecologica. Si moltiplicarono così le scoperte di molte altre cose strane.
Dal 1924 al 1957 la legge aveva ammesso l’addizione agli alimenti di sostanze coloranti solubili nei grassi, denominate Sudan o, più patriotticamente, Somalia, che erano noti cancerogeni. Per anni, quindi, gli italiani hanno ingerito coloranti dannosi con la benedizione della legge; quante vittime, sconosciute, ci sono state per questa leggerezza? Quante altre sostanze dannose sono finite, per decenni, nel nostro piatto?
A partire dal 1960 si sono finalmente messe in moto varie iniziative parlamentari e, fra il 1960 e il 1965, sono state finalmente riscritte tutte le leggi sulla produzione e sul commercio degli alimenti.
Nel caso dell’olio di oliva la miscelazione degli oli di pressione con oli esterificati è stata sgominata soltanto vietando del tutto il processo di esterificazione che, fra l’altro, impiegava dei catalizzatori metallici e faceva finire nell’olio esterificato residui di metalli dannosi. Uno dei tanti esempi della necessità di dire “no” a certi presunti “progressi tecnici” che sono nocivi alla salute o agli interessi dei cittadini.
Finalmente, dopo quindici anni di democrazia, veniva riconosciuto il diritto dei cittadini ad avere alimenti non sofisticati e non pericolosi; naturalmente gli interessi economici stavano ancora dietro la stesura delle nuove leggi. Ad esempio fu stabilito che la pasta alimentare poteva essere fabbricata soltanto con semola di grano duro, anche in questo caso per difendere gli agricoltori che negli anni precedenti avevano accumulato delle scorte di grano duro invenduto. Da allora per decenni si sono susseguite – e forse durano ancora adesso – frodi consistenti nella produzione di pasta dichiarata di grano duro, ma fatta ancora in parte con sfarinati di grano tenero.
Apparvero in quegli anni le traduzioni italiane di libri come “L’assassino è al nostro desco” di Robert Courtine, del 1967, e “Il cibo che uccide” (Bompiani, 1974) di Ralph Nader, l’“avvocato dei consumatori” americani, pubblicato nel 1974. Apparvero anche i risultati di inchieste giornalistiche italiane come quella, intitolata “Il consumatore nel caos” (Mondadori, 1974), di Felice Campanello.
Sfortunatamente, dopo l’ondata di indignazione e di protesta della fine degli anni cinquanta, l’attenzione dell’opinione pubblica si e’ allentata anche se negli anni 60 e settanta del Novecento le frodi, naturalmente, sono continuate. Per molti anni è stato messo in commercio olio di colza, importato a basso prezzo dalla Francia, contenente un acido grasso, l’acido erucico, che si è rivelato nocivo per la salute; sono stati necessari anni di controversie e vari processi per vietare l’uso dell’olio di colza, fino a che gli agricoltori non hanno scoperto che è possibile produrre dell’olio di colza privo o povero di acido erucico, come è quello attualmente in commercio.
Vi sono state dure lotte, con mobilitazione dell’opinione pubblica, per eliminare sostanze coloranti per alimenti considerate dannose, o altri coloranti impiegati nelle tinture per capelli, anch’essi dannosi alla salute.
Ogni volta ci sono stati processi, i sofisticatori hanno trovato volonterosi difensori pronti a contestare la pericolosità delle merci incriminate … fino a quando la protesta è riuscita ad averla vinta, quasi sempre.
Le carni e gli insaccati conservano il colore rosso di “carne fresca” perché sono addizionati con nitrati e nitriti che impediscono l’ossidazione dell’emoglobina, il colorante rosso del sangue. Ma questi stessi nitriti reagiscono con le proteine e le sostanze amminiche presenti nella carne formando sostanze cancerogene, le nitrosammine; purtroppo la contestazione non
è ancora riuscita a far vietare l’uso di questi nitriti nelle carni.
Sempre nelle carni si trovano residui di ormoni impiegati per accelerare la crescita del peso degli animali di allevamento, specialmente i vitelli; opportunamente vietati in Italia, l’uso degli ormoni e’ stato ammesso fino alla fine del 1987 negli altri paesi della Comunità e del resto c’è stato un commercio clandestino e un uso fraudolento di ormoni anche da parte di allevatori italiani.
Le cose non sono andate bene neanche nel campo dell’informazione dei consumatori; molte leggi prescrivono che i dettagli siano chiariti entro un anno da opportuni regolamenti, ma è buona abitudine della burocrazia ministeriale non emanare mai tali regolamenti; dopo mezzo secolo non è stato ancora emanato il regolamento di esecuzione della legge sulle paste alimentari.
Ci sono voluti diciotto anni e una mobilitazione popolare, con raccolte di firme e proteste varie, per ottenere l’emanazione del regolamento che stabilisce le informazioni che devono essere presenti nelle etichette dei prodotti alimentari. La storia delle nostre leggi contro le frodi degli alimenti, dagli anni settanta in avanti, coincide con quella delle leggi della Comunità Europea, comunque recepite con ritardi, ostacoli, modificazioni.
La “scoperta” della frode del metanolo nel vino, nell’aprile 1986, mostra chiaramente che le frodi sono ancora fra noi e che occorre una forte mobilitazione per sradicarle.
Ma occorre anche una diffusione delle conoscenze merceologiche, una crescita della capacità critica dei cittadini, una disintossicazione dai messaggi pubblicitari che disabituano a interrogarsi sulle cose che contano: che cosa significa questo nome? Che cosa c’è dentro questo barattolo? Come è stato fabbricato questo alimento o questa merce? Dovrebbe essere lo stato a difendere la salute e la tasca dei cittadini, ma si è visto che le leggi sono fatte o non fatte o ritardate con maggiore attenzione ai potenti interessi settoriali, produttivi ed economici che nel nome del bene pubblico. Da qui l’importanza di vigilare, di saperne di più e anche di arrabbiarsi.