Il contesto. I primi anni di vita a Bergamo Andrea Viterbi nasce a Bergamo il 9 marzo 1935, da genitori di origini ebraiche. Il padre, Achille, era primario della divisione oftalmica dell’ospedale Maggiore di Bergamo e fu tenacemente impegnato nella lotta al tracoma, un’infezione grave e contagiosa di congiuntivite, endemica sia nell’area urbana che nelle campagne e molto diffusa in Italia nei primi anni del ‘900. Nel 1921 il prof. Viterbi aveva pubblicato anche un opuscolo destinato agli insegnanti in cui si insisteva soprattutto sull’igiene e la prevenzione, armi fondamentali per combattere l’infezione. La madre, Maria Laura, era figlia di un banchiere di Casal Monferrato. Una famiglia agiata, quindi, appartenente alla borghesia cittadina che, sebbene non avesse aderito al fascismo lo aveva in qualche modo legittimato, guardando con occhio scettico le parate e le adunate oceaniche.
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In quegli anni la comunità ebraica bergamasca era ridotta e di recente insediamento: tutti gli ebrei erano giunti in città dopo la prima guerra mondiale, con un’unica eccezione datata 1908. Nel 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali, si contavano solo 73 persone di origine ebraica, di cui 40 residenti in città, mentre in Italia ne erano state censite circa 58.000. Delle quaranta persone residenti in città, 22 erano maschi e 18 femmine: due bambini (di 4 e 8 anni), un ragazzo di 14 anni, ventisette adulti tra i 30 e i 59 anni, dieci oltre i 60 anni. Solo i due bambini erano nati a Bergamo e uno di questi è appunto Andrea Viterbi. Era quindi una piccola comunità, ma ben integrata e che mostra l’assenza di discriminazioni dell’Italia unitaria: delle diciotto coppie coniugali italiane, dodici infatti erano miste.
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