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Cellophane

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“Coprilo col cellofan”: quante volte abbiamo sentito questa frase e chi la pronunciava si riferiva a un oggetto da proteggere con una pellicola trasparente, qualche volta di cellofan vero e proprio, molte volte di una delle tante altre materie plastiche trasparenti e flessibili. Il vero “cellophane” (il nome scritto così è brevettato) è stato utilizzato per la prima volta nel 1908, cento anni fa, ed è stato una delle grandi invenzioni del secolo scorso. La leggenda vuole che un certo ingegnere svizzero, Jacques Brandenberger (1872-1956), un giorno fosse in un ristorante quando un cliente ha versato un bicchiere di vino sulla tovaglia; il cameriere ha portato via la tovaglia sporca e l’ha sostituita. Brandenberger si chiese in che modo si potesse rendere impermeabile un tessuto come quello della tovaglia e ricordò che pochi anni prima era stato scoperto un processo per ottenere un derivato della cellulosa impermeabile. La cellulosa è uno dei materiali presenti in natura, in tutti i vegetali, nelle foglie, nel cotone, nel tronco degli alberi, insolubile in acqua, ma capace di assorbire l’acqua; lo si vede bene osservando come un foglio di carta, che è cellulosa quasi pura, assorbe facilmente l’acqua.

Alla fine del 1800 il francese Chardonnet, alla ricerca di una fibra artificiale che sostituisse la seta, aveva scoperto che la cellulosa, trattata con idrato di sodio e solfuro di carbonio, si trasformava in un composto, lo xantogenato sodico di cellulosa, che, in acqua, formava una soluzione viscosa; la soluzione poteva essere fatta uscire da piccoli fori e, per trattamento con acidi, si trasformava di nuovo in cellulosa “rigenerata” sotto forma di sottili fili. Era il “rayon”, la prima importante fibra tessile artificiale.

La produzione industriale del rayon era stata realizzata dagli inglesi Cross, Bevan e Beadly nel 1898. Branderberg, che era un industriale tessile, pensò dapprima di impermeabilizzare i tessuti stendendoci sopra una soluzione di viscosa; scoprì però che la viscosa non aderiva al tessuto, ma si staccava sotto forma di pellicola trasparente e, adesso, impermeabile. Aveva, insomma, scoperto un processo per trasformare la cellulosa delle piante in una pellicola impermeabile, flessibile, bella a vedersi e trasparente che chiamò “cellophane”, un nome che ricordava la cellulosa di partenza, abbinato con la radice della parola greca “diafane”, trasparente, appunto.

La produzione industriale del cellophane consisteva nella preparazione del solito xantogenato sodico di cellulosa; la sua soluzione acquosa veniva fatta passare attraverso una sottile fessura; la lamina di liquido viscoso che ne usciva era scomposta in una soluzione di acido solforico e si trasformava in una pellicole sottile che veniva poi lavata. Il cellophane, per la sua limitata permeabilità all’aria, ai grassi e ai batteri, si presentava ideale per avvolgere gli alimenti e per moltissime altre applicazioni, fra cui per avvolgere fiori e regali; durante la prima guerra mondiale fu utilizzato come “vetro” per la protezione degli occhi nelle maschere antigas, usate dai soldati contro i gas asfissianti. Più tardi è stato impiegato per la preparazione dei nastri adesivi, quelli che si chiamano “scotch” e che furono inventati nel 1930 dall’americano Richard Drew (se ne parla in un’altra scheda in questa rubrica); per la preparazione di membrane semipermeabili usate in medicina per la dialisi; come antiadesivo nella preparazione di rotoli di materiali appiccicosi come la gomma greggia, e in tanti altri campi.

Nel 1917 Brandenberger cedette i suoi brevetti alla società francese “La Cellophane SA”, che rimase il principale produttore ed esportatore di cellophane fino al 1924 quando la società a sua volta cedette i diritti di utilizzazione del processo, segreto, di fabbricazione alla società americana DuPont, la quale costruì la prima fabbrica di cellophane negli Stati Uniti; un’altra società e fabbrica di cellophane fu creata insieme alla società inglese Courtaulds. Il cellophane aveva ancora un inconveniente: era parzialmente permeabile all’acqua e all’umidità e questo ne ostacolava la diffusione nel campo alimentare; un dipendente della società DuPont, William Charch (1898-1958), cercò un sistema di impermeabilizzazione del cellophane; si dice che dopo oltre duemila tentativi sia riuscito finalmente, nel 1927, a brevettato un processo efficace che ha ulteriormente allargato il campo di applicazione del cellophane.

Nel 1947 la Dupont fu accusata dal governo americano di aver venduto il cellophane impermeabile in condizioni di monopolio, in violazione della legge Sherman che vieta, appunto, tali pratiche. Per oltre mezzo secolo il cellophane ha continuato il suo cammino trionfale; negli anni cinquanta del Novecento sono comparse sul mercato altre pellicole fatte con materie plastiche derivate dal petrolio, come il politene e il polipropilene. Per molte applicazioni hanno sostituito il cellophane perché costavano meno; secondo alcuni dati, nel 1970 nel mondo esistevano circa 50 fabbriche di cellophane che producevano 700.000 tonnellate all’anno di questo materiale; oggi tali fabbriche sono ridotte a circa 40 e la produzione è scesa a 50.000 tonnellate all’anno, anche a causa dell’inquinamento provocato da residui della loro lavorazione. Il cellophane continua comunque a trovare impiego nelle applicazioni in cui le pellicole di materie sintetiche sono inadeguate, tanto più che le sue pellicole sono adatte per avvolgere i cibi anche quando questi sono scaldati in forni a microonde o conservati in frigoriferi a bassa temperatura. Da qualche tempo si sta osservando una resurrezione dell’uso del cellophane le cui pellicole, a differenza di quelle delle materie plastiche, sono biodegradabili in tempi relativamente brevi, un mese o due. Potrebbe essere quindi l’ecologia a far rinascere, anche in questo caso, una merce e una industria apparentemente in declino.

Altrettanto singolare, come quella della materia da lui inventata, è la storia dell’inventore, quel Brandenberger che ebbe successo finanziario vendendo i brevetti della sua invenzione; la figlia ha voluto creare una fondazione sul cui sito Internet “www.stiftungbrandenberger.ch” un lettore curioso troverà notizie interessanti, magari per una tesi di laurea in chimica o merceologia o storia della tecnica. La stessa vita dell’inventore sembra una dimostrazione della celebre frase di Pasteur: il caso aiuta la mente preparata. Ma qualche mente “preparata” può forse scoprire ancora altre applicazioni; variando le condizioni del processo di fabbricazione si possono ottenere tipi di cellophane con proprietà molto diverse; pellicole molto sottili sono state usate per creare immagini tridimensionali sugli schermi dei televisori e computer; applicando una corrente elettrica su sottili elettrodi di oro stesi sulle due facce di una pellicola di cellophane la pellicola può mettersi a vibrare.

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