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Nastro adesivo

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“Fissalo con lo scotch”: è l’invito che sentiamo ripetere spesso quando si tratta di attaccare due fogli di carta con qualcosa di trasparente, un problema ben risolto con quei rotolini di nastro adesivo trasparente che si trovano in tutte le case. Può trattarsi di fissare l’involucro di un libro o di un regalo, o di inserire una figura all’interno di una pagina da fotocopiare, o di rimettere insieme i pezzi di qualche oggetto che si è rotto. Il nome, “scozzese” in italiano, ha una curiosa storia: i primi nastri adesivi usati dai verniciatori per proteggere le parti che non dovevano essere sporcate con la vernice, portavano l’adesivo solo sulle due parti esterne del nastro, per risparmiare il collante. Uno dei clienti si arrabbiò col venditore: “Di ai tuoi padroni che siano meno tirchi”. In inglese il termine “tirchio” si dice, anche se villanamente, scotch perché agli scozzesi è attribuito un eccesso di virtù della parsimonia. Il nome restò e anzi suggerì ai fabbricanti l’idea di contrassegnare i loro nostri adesivi, e anche tutti gli altri prodotti che avrebbero fabbricato in seguito, con il disegno a scacchi con colori vivaci dei tessuti scozzesi. Il nome scotch in particolare si riferisce al nastro adesivo inventato ottanta anni fa, nel 1930, da Richard Drew (1899-1980) un giovanotto appassionato suonatore di banjo, che fece così la fortuna del suo datore di lavoro, la società 3M, meritando la gloria di essere incluso nel mausoleo degli inventori americani di “umili capolavori”.

In una città di provincia dello stato americano del Minnesota, St. Paul, dal 1902 esisteva la ditta Minnesota Mining and Manufacturing Company, in breve 3M, un nome un po’ pomposo anche se il suo principale prodotto era la carta vetrata. La ditta era cominciata come attività mineraria per estrarre dei silicati da usare come abrasivi per la carta vetrata; l’impresa mineraria andò male ma andarono meglio gli affari quando la 3M mise in commercio la prima carta vetrata che poteva funzionare anche su superfici bagnate, il che permetteva di smerigliare metalli o legno sollevando di meno la polvere dannosa per gli operai.

Nel 1923 Richard Drew, ventiquattrenne, fu assunto dalla 3M per vendere la carta vetrata: erano gli anni del boom dell’industria automobilistica e, per reazione alle automobili fabbricate da Ford che erano tutte uguali e tutte nere, erano diventate di gran moda le automobili a due colori. Come spesso capita le carrozzerie sono esposte alle ammaccature e la superficie da riverniciare doveva essere preparata con una smerigliatura con carta vetrata. Osservando il lavoro dei verniciatori Drew pensò a qualcosa che permettesse di “mascherare” la superficie che non doveva essere sporcata dalla vernice e inventò un nastro di carta con una faccia ricoperta di un adesivo. Ci voleva qualche adesivo capace di fissare il nastro sul metallo con la pressione della mano; nello stesso tempo l’adesivo non si doveva appiccicare alla base di carta del nastro, il nastro doveva essere arrotolabile e staccabile alla fine dell’uso.

Negli stessi anni era cominciata anche negli Stati Uniti la produzione del cellophane, una pellicola trasparente ottenuta trattando la cellulosa col processo della viscosa, inventato nel 1908 dallo svizzero Jacques Branderberger (1872-1954) (se ne parla in un’altra scheda in questa stessa rubrica). Dopo molti tentativi nel 1930, proprio ottanta anni fa, Drew pensò di usare questa pellicola come base per un nastro adesivo questa volta trasparente, che la 3M mise in commercio con il nome “scotch” e fu un immediato successo. L’economia americana era cambiata; il grande paese era stato investito dalla grande crisi economica e lo scotch si rivelò utilissimo per aggiustare le cose rotte nelle famiglie che disponevano di meno soldi di prima. Al successo dello scotch contribuì molto l’invenzione della scatoletta che consente di svolgere il nastro e di tagliarlo prima dell’uso. Questa invenzione fu fatta da un altro dipendente della 3M, John Borden, nella forma che tutti conosciamo, con una lametta seghettata incorporata capace di tagliare il nastro adesivo alla lunghezza voluta.

La 3M cominciò a produrre, oltre allo scotch, nastri adesivi per molte altre applicazioni, resistenti all’umidità, per avvolgere pacchi e proteggere pezzi metallici: non sarebbe possibile spedire cartoni pieghevoli contenenti libri, giocattoli, dolci, prodotti alimentare, se non si disponesse di quei nastri adesivi di colore marrone che tengono unite le diverse parti del cartone. Quando nel 1942 gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale, i nastri adesivi furono utilizzati per proteggere armi e esplosivi durante il trasporto, per riparare tende e baracche. Alla fine della guerra “lo scotch” invase l’Europa e il mondo; a mano a mano che se ne diffondeva l’uso si scoprivano sempre nuove applicazioni. Alcuni nastri adesivi trasparenti avevano l’adesivo su entrambe le facce; nastri adesivi trasparenti trovarono applicazioni per fissare le garze sulle ferite.

A seconda delle applicazioni occorreva inventare nuove basi per il nastro e nuovi adesivi, usando materie plastiche, resistenti all’acqua, al freddo, al calore. La fortuna della 3M continuò: negli anni Cinquanta furono brevettati nastri adesivi riflettenti e fluorescenti per la segnaletica stradale e la società entrò nel campo della produzione di pellicole fotografiche (acquistò la società italiana Ferrania) e nel campo dei nastri magnetici per la registrazione del suono e nella produzione di pellicole fotografiche. Negli anni trenta del Novecento il tedesco Fritz Pfleumer aveva inventato dei nastri su cui era steso un sottile strato di materiale magnetizzabile, in grado di registrare e riprodurre il suono; il vero successo dei registratori a nastro magnetico si ebbe però soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Molti giganti dell’industria chimica ed elettronica, e anche la 3M, in uno stabilimento a Caserta, si misero a fabbricare nastri magnetici per la registrazione del suono; i meno giovani fra i lettori ricordano forse il termine “mangianastri” usato per quei dispositivi, anche portatili, che permettevano di ascoltare la musica registrata, appunto, su nastri magnetici.

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