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Charles Goodyear (1800-1860)

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Non ci sarebbe stato il Novecento come è stato, non potremmo andare in automobile, non potremmo usare Internet, io non potrei scrivere questo articolo sul computer, non avremmo luce elettrica nelle case, non potremmo godere delle merci e dei beni della società moderna, se duecento anni fa, negli Stati Uniti, non fosse nato Charles Goodyear, un uomo a cui dobbiamo tanto e a cui la società del suo tempo ha dato così poco.

Da ragazzo Goodyear aiutava il padre in un negozio di ferramenta che fallì abbastanza presto; le imprese commerciali a cui si dedicò nel corso della sua vita furono tutte un fallimento e morì in miseria e per tutta la vita fu ossessionato dai misteri della “gomma elastica”, che, in quei primi anni dell’Ottocento, veniva importata dal Brasile e che aveva trovato soltanto qualche modesta applicazione commerciale.

Si trattava della gomma estratta dalla corteccia di alcune piante del genere Hevea, presenti nella foresta brasiliana; un materiale elastico che poteva essere sciolto in un solvente e, in soluzione, poteva essere steso su un tessuto rendendolo impermeabile, anche se di pessima qualità; la gomma diventava appiccicosa col caldo e dura col freddo. La “febbre della gomma” che aveva investito l’America era già finita nel 1830; migliaia di oggetti di gomma venivano buttati via o restavano invenduti per questi inconvenienti.

La leggenda vuole che Goodyear, in prigione per debiti, si sia fatta portare dalla moglie dei campioni di gomma per vedere come potevano esserne migliorate le caratteristiche;  se la gomma era appiccicosa forse aggiungendo qualche polvere l’inconveniente avrebbe potuto essere eliminato. Nei mesi successivi a Filadelfia provò a scaldare la gomma con magnesia, ma i vicini protestavano per la puzza che si levava dalla sua casa; per farla breve provò molte altre sostanze e, facendosi prestare dei soldi, cercò di produrre a New York sovrascarpe di gomma che erano una peggio dell’altra. La grande crisi economica americana del 1837 lo gettò sul lastrico e si ridusse a vivere con la moglie e i figli mangiando il pesce che pescava nel porto di Staten Island.

Nel 1839, sempre nella miseria più nera, Goodyear si trasferì a Woburn, nello stato del Massachusetts, cittadina destinata a diventare celebre proprio perché, nel febbraio di quell’inverno, Goodyear fece la scoperta fondamentale a cui resta legato il suo nome: provò a preparare una miscela di gomma e di polvere di zolfo e la lasciò su una stufa; la miscela prese fuoco e Goodyear la raffreddò rapidamente e, con grande sorpresa, si trovò fra le mani una gomma, ancora elastica, ma resistente al caldo e al freddo, impermeabile all’acqua, facilmente lavorabile e finalmente adatta per la preparazione dei manufatti con cui l’inventore avrebbe voluto riempire il mondo.

Il caso aveva premiato l’uomo che aveva dedicato tutta la sua vita a trasformare la gomma greggia nel materiale più importante della storia, quello che si sarebbe chiamato “gomma vulcanizzata”.

Dopo altri mesi di miseria, malattie, lutti familiari (dei dodici figli sei morirono in piccola età) finalmente trovò degli industriali che riconoscevano l’importanza della scoperta. Goodyear tardò nel chiedere un brevetto per la sua invenzione e mandò vari campioni della nuova gomma in Inghilterra; uno di questi cadde sotto gli occhi di un famoso pioniere inglese della gomma, Thomas Hancock, che per venti anni aveva cercato anche lui di eliminare gli inconvenienti della gomma naturale, senza successo; Hancock notò la presenza di tracce di zolfo nella gomma vulcanizzata e immediatamente ripeté gli esperimenti che tanta fatica erano costati a Goodyear e brevettò, nel 1843, l’effetto vulcanizzante dello zolfo, appropriandosi della scoperta che Goodyear aveva fatto quattro anni prima. Quando Goodyear chiese di brevettare in Inghilterra la sua invenzione, scoprì che Hancock lo aveva preceduto di poche settimane.

Goodyear espose alle fiere mondiali di Parigi e Londra del 1850, i suoi oggetti di gomma vulcanizzata riscuotendo grande attenzione e successo, ma finì di nuovo in prigione per debiti, con tutta la famiglia. E fu in prigione che ricevette la croce della Legion d’Onore assegnatagli dall’imperatore Napoleone III come riconoscimento per la sua rivoluzionaria invenzione.

Quando morì nel 1860 Goodyear lasciò 200.000 dollari di debiti alla famiglia; come testamento scrisse: “La vita non si può valutare soltanto sulla base dei soldi; non mi rammarico di avere seminato e che altri abbiano raccolto i frutti del mio lavoro. Un uomo deve rammaricarsi soltanto se ha seminato e nessuno raccoglie”.

Quello che Goodyear aveva seminato fece esplodere la domanda mondiale della gomma; dal Brasile la coltivazione delle piante della gomma passò nel sud-est asiatico e in Africa; la raccolta della gomma provocò crisi militari, sfruttamento dei lavoratori, guerre, disastri ecologici: quando la gomma naturale cominciò a scarseggiare furono inventati dei surrogati sintetici.

Oggi, nell’anno 2000, nel mondo si producono ogni anno sette milioni di tonnellate di gomma naturale e il doppio di gomma sintetica; trattato e vulcanizzato secondo l’invenzione di Goodyear tutto questo materiale entra nei copertoni di automobile e di aereo, nei fili elettrici, nei nastri trasportatori dei raccolti agricoli, nelle scarpe, in innumerevoli merci e processi industriali. “Goodyear” è oggi il nome di uno dei colossi dell’industria della gomma, anche se l’inventore della vulcanizzazione e la sua famiglia non ebbero niente a che fare con questa impresa e non ne trassero alcun vantaggio.

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