La sete affligge decine di milioni di abitanti dell’Africa; le alluvioni provocate dalle piogge intense spazzano via migliaia di persone in Asia. L’acqua, questo bene essenziale per la vita, talvolta si rivela avara e nemica e causa di malattie e distruzioni.
Quasi duemila milioni di persone sulla Terra non hanno l’acqua nei rubinetti di casa (spesso non hanno neanche una casa); per avere un po’ d’acqua per bere, cuocere gli alimenti, lavarsi, devono percorrere le lunghe distanze che li separano da un pozzo o da un fiume, e spesso vi trovano acqua contaminata e fonte di epidemie. (All’acqua è stata dedicata una scheda delle “Cose dell’altronovecento”, nel n. 2 di “altronovecento”).
Eppure l’accesso all’acqua di buona qualità e per tutti è – e dovrebbe essere – uno dei diritti fondamentali umani, come il diritto alla vita, alla libertà, al cibo, alla salute. Ci sono state in passato e ci sono iniziative delle Nazioni Unite che riconoscono tale diritto, ma nonostante questo la situazione peggiora continuamente.
All’inizio del XXI secolo la popolazione mondiale ha superato la soglia dei seimila milioni di persone e i mutamenti climatici in atto contribuiscono a rendere più rare le piogge dove l’acqua sarebbe necessaria, e a rendere devastanti le piogge in altre zone del pianeta; i rifiuti di villaggi, città, fabbriche, rendono imbevibile l’acqua in un numero crescente di zone abitate. La soluzione va cercata sia a livello dei singoli paesi, sia a livello planetario e per questo da alcuni anni opera il “Gruppo di Lisbona”, diretto da Riccardo Petrella, un professore dell’Università belga di Lovanio, che comprende studiosi di varie discipline: ingegneristiche, economiche, giuridiche, naturalistiche, eccetera.
Nei mesi scorsi questo gruppo ha lanciato un “Manifesto per un contratto mondiale dell’acqua”, presentato anche in Italia a cura dell’associazione Cipsi; il testo del manifesto e le notizie relative si trovano nel sito Internet http://web.tin.it/cipsi/acqua/index.html
Il “Manifesto dell’acqua” spiega che è dovere degli stati provvedere ad evitare la contaminazione dell’acqua che si trova nei fiumi, nei laghi, nel sottosuolo, assicurare a tutti i cittadini sistemi di purificazione dell’acqua esistente, e sistemi di distribuzione che assicurino a ciascuna persona una quantità di acqua che consenta di soddisfare i bisogni alimentari ed igienici essenziali.
La raccolta e la protezione dell’acqua non sono problemi solo locali; cadendo sulla superficie terrestre con le piogge l’acqua alimenta le sorgenti, i fiumi che confluiscono in altri fiumi, che alimentano le falde idriche sotterranee, e che tornano al mare dopo un cammino più o meno lungo. Succede così che l’inquinamento provocato da una comunità umana in una zona si diffonde e disperde, attraverso il moto superficiale e sotterraneo delle acque, rendendo inutilizzabili riserve idriche anche grandi, anche a grande distanza.
Tutti gli stati – e anche la legge italiana – riconoscono che l’acqua è un bene collettivo, da usare, secondo i principi di solidarietà, nell’interesse della presente e delle future generazioni, che le acque vanno “amministrate”, governate, sulla base dei bacini idrografici, quell’insieme di valli, affluenti, fiumi principali, laghi, falde sotterranee, attraverso cui l’acqua si muove in un territorio.
Facile parlare di solidarietà, ma l’acqua è purtroppo considerata anche una merce per cui potenti interessi privati riescono ad ottenerla in concessione per venderla, attraverso gli acquedotti, magari in bottiglie, per cui quello che dovrebbe essere un diritto deve essere pagato, spesso a caro prezzo, diverso da una zona all’altra. Solo per fare il caso del nostro paese, nell’Italia settentrionale, dove l’acqua è abbondante e facile da raccogliere e distribuire, l’acqua per uso domestico costa circa mille lire al metro cubo; costa quattro volte di più ai cittadini dell’Italia meridionale e delle isole, dove l’acqua è disponibile in minore quantità. Una bella maniera di fare una politica per lo sviluppo del Mezzogiorno!
E se l’acqua è poca e di cattivo sapore, ecco che molti benefattori vi permettono di acquistare l’acqua in bottiglia che costa da cento a cinquecento mila lire al metro cubo, cento volte di più di quella che ogni cittadino dovrebbe avere nelle proprie case ad un prezzo basso e uguale per tutti.
Ma il “Manifesto dell’acqua” chiede degli impegni anche ai cittadini: ciascuna persona ha l’obbligo di usare meno acqua e deve essere preparata a pagare a caro prezzo ogni spreco e uso superfluo dell’acqua. Gli stessi doveri valgono per le città, per gli agricoltori e per le industrie. Fra l’altro, la progettazione di elettrodomestici e impianti a basso consumo di acqua, ma soprattutto di processi e apparecchiature per la depurazione delle acque inquinate presenti, ma inutilizzabili, nei paesi del Sud del mondo, rappresentano grandi occasioni di innovazione e di nuova occupazione.
Il “Manifesto dell’acqua” nel ribadire il valore del bene-acqua, essenziale per la vita, e il diritto universale e solidale al suo possesso, chiede la costituzione di un Parlamento mondiale dell’acqua che elabori dei principi e delle leggi che consentano di sconfiggere i mali della sete e le malattie che la mancanza di acqua porta con sé e che colpiscono soprattutto i bambini dei paesi poveri. Il diritto all’acqua è certamente la forma più elevata del diritto alla vita.