Già nel corso degli anni sessanta del Novecento c’erano stati segni di alterazioni ambientali: i fiumi coperti di schiume di detersivi domestici, o resi rossi dagli scarichi industriali, il cielo contaminato da polveri e acidi corrosivi; ma la vera e propria “ecologia”, come movimento di contestazione e protesta si può dire che sia nata nella primavera del 1970, con la risonanza della “Giornata della Terra” lanciata negli Stati Uniti nell’aprile. La basi per un movimento c’erano già: Italia Nostra esisteva da una quindicina d’anni, un gruppo di associazioni naturalistiche, riunite in un organismo unitario “Pro Natura” di cui era segretario Dario Paccino, esisteva pure da tempo, il WWF era nato da poco. In quell’aprile del 1970, col sostegno di giornalisti come Antonio Cederna e Alfredo Todisco del Corriere della Sera e di altri del Giorno e dell’Unità, fecero conoscere i nuovi fermenti all’opinione pubblica. Tutti sembravano amare la natura e l’ecologia, ma la contestazione di sinistra mise in evidenza subito alcune contraddizioni.
I nemici dell’ecologia andavano cercati nella società dei consumi e nella produzione industriale capitalistica, quelli che sbandieravano l’amore per l’ecologia erano sostanzialmente borghesi, insegnanti, e qualcuno scrisse che l’ecologia era la scienza “delle contesse”. Amintore Fanfani, allora presidente del Senato, aveva deciso nell’autunno 1970 di creare una commissione di “saggi”, come si usa dire oggi, che informassero i senatori sui nuovi problemi emergenti nei frapporti fra sviluppo economico e ambiente naturale.
Da parte sua la classe operaia – che allora c’era ancora – sembrava non amare l’ecologia quando questa chiedeva di chiudere le fabbriche inquinanti, anche se era la classe operaia che veniva avvelenata dentro le fabbriche e che vedeva comparire le malattie nelle famiglie che abitavano al di fuori delle mura delle fabbriche. E già fra i lavoratori era nato un movimento di lotta per migliori condizioni di lavoro che era un’anticipazione dell’”ecologia”, anche se non si chiamava così, perché si occupava proprio dei rapporti uomo-ambiente. Era a sinistra che andava cercata una alleanza fra “popolo inquinato” contro la società capitalistica; Virginio Bettini in un articolo apparso nella rivista “Pronatura” aveva scritto che l’”ecologia è rossa” intendendo che la soluzione alla crisi ecologica andava cercata in una società comunista.
Ma anche questo era discutibile perchè l’avvelenamento dell’aria e dei fiumi si osservava anche nell’Unione sovietica e nella Cina della rivoluzione culturale. E i comunisti italiani non avevano niente da dire ? In questa atmosfera nel novembre 1971 l’Istituto Gramsci decise di raccogliere a Frattocchie, alla periferia di Roma, nella villa lasciata in eredità da Togliatti al Partito Comunista Italiano e divenuta “scuola” di partito, numerose persone, comunisti e non, di sinistra, per discutere sul tema: ”Uomo Natura Società”. Ne venne un interessante e ormai raro volume (pubblicato dagli Editori Riuniti nello stesso 1971) che si aprì proprio con l’intervento di Giovanni Berlinguer che viene qui presentato e che fu riprodotto nella rivista “Critica Marxista”.
Era vera la favola, così cara all’ecologia borghese, che i comunisti non potevano essere amici dell’ecologia, che Marx ed Engels non avevano capito niente di natura e ambiente ? I vari interventi, che meriterebbero di essere riletti anche a distanza di alcuni decenni, passarono in rassegna non solo i caratteri scientifici della crisi ecologica, ma l’origine della violenza alla natura, riconosciuta come provocata dalla maniera di produrre e consumare della società capitalistica borghese, e andarono a ripescare quello che Marx ed Engels avevano scritto sull’ecologia e sul rapporto uomo-natura. Marx ed Engels erano ben stati contemporanei dell’inglese Darwin, del tedesco Haeckel, dell’americano Marsh. Il tema del rapporto fra produzione, consumo, ambiente, città, natura, si trova nelle opere giovanili di Marx, negli scritti di Engels sulla città e sulla natura, in vari capitoli del Capitale. Giuseppe Prestipino presentò un lungo saggio, poi sviluppato in opere successive, sul pensiero di Engels, e il PCI capì giustamente che solo una grande opera di riforma sociale avrebbe potuto assicurare lavoro senza avvelenamenti, soddisfacimento dei bisogni delle masse urbane senza sprechi e senza distruggere le acque e i boschi, che le radici della violenza andavano cercate nello sfruttamento speculativo dei suoli e della vegetazione.
Seguirono anni di polemiche, di speranze – quelle sollevate dalla Conferenza di Stoccolma della primavera 1972 – e poi la prima relazione sullo stato dell’ambiente pubblicata ad Urbino nel 1973 e redatta con la collaborazione di un vasto gruppo di studiosi di sinistra, e poi arrivò la crisi energetica iniziata nel 1973 e poi il lungo dibattito sulla austerità come occasione di cambiamento anche ecologico. Intanto c’era il dibattito sul nucleare e sui piani energetici e arrivò l’incidente di Seveso nel luglio 1976 e vi furono altri inquinamenti e disastri ambientali. Il momento di speranza culminò nella conferenza svoltasi al Teatro Eliseo di Roma nel gennaio 1977, con l’intervento di Enrico Berlinguer. E’ stata, a mio parere l’età dell’oro del Partito Comunista Italiano e del suo progetto di cambiamento e di modernizzazione della società italiana.
Tutto finì presto; le forze dell’economia borghese e del mercato prevalsero e quello che è stato per molti (per molti di noi) un grande sogno svanì. La storia politica italiana successiva è ben nota, della storia del movimento ambientalista qualcosa è stato scritto ed è stato pubblicato anche in “altronovecento”; si può utilmente leggere, per esempio, il lungo saggio sugli “anni settanta” di Antonio Thiery nel n. 9 della rivista. Molto resta da fare, cominciando ad esplorare il ricco archivio raccolto dalla Fondazione Micheletti a Brescia e solo in parte finora studiato.