Agronomo e storico dell’agricoltura di fama mondiale, Giovanni Haussmann è un lodigiano d’adozione. Era nato nel 1906 a San Pietroburgo, nella Russia zarista, dove il padre aveva l’incarico di legale privato ed amministratore dei beni della principessa moldava Caterina Ghyka. Ancora bambino rimase orfano della madre –appartenente ad una ricca famiglia di latifondisti ucraini- ed adolescente perse anche il padre, deceduto durante un’epidemia di tifo petecchiale nel 1921. L’anno seguente Giovanni, con il fratello minore di un anno, fuggì dalla Russia, in preda alle convulsioni sociali della rivoluzione, e raggiunse in Italia la nonna e la zia che dal 1908 vivevano in Toscana nell’entourage della principessa Ghyka. Laureatosi a Firenze in Scienze Agrarie, si trasferì a Torino come sperimentatore presso la stazione di Chimica Agraria.
Nel 1948 fu nominato direttore della Stazione sperimentale di Praticoltura, oggi Istituto sperimentale per le colture foraggere: vi giunse con la moglie Nina e le due figlie Paola ed Anna. Due anni dopo pubblicò, presso Einaudi, la sua prima importante opera, L’evoluzione del terreno e l’agricoltura, in cui già era presente l’interesse per la storia. Ma delle sue straordinarie capacità di storico dell’agricoltura avrebbe dato prova nel volume La terra e l’uomo. Saggio sui principi di agricoltura generale, edito nel 1964 da Boringhieri, che impressionò per la vastità di cultura, per la dimensione planetaria e senza limiti temporali della sua ricostruzione.
Al centro del suo lavoro di storico e di scienziato agronomo pose il rapporto tra l’uomo e la terra, il problema della fertilità del suolo. Indurre, preservare, accrescere la fertilità del suolo era per lui l’imperativo categorico primario: per attuarlo non si poteva prescindere da un sistema colturale che avesse il suo asse portante nella coltivazione del prato, che esalta al massimo la fertilità integrale del suolo, e non si doveva cercare la produttività e il profitto ad ogni costo. Il coltivatore agricolo capace di essere l’artefice e il custode della fertilità del terreno fu da lui definito “agricoltore simbionte”, ossia in simbiosi intelligente ed amorevole con ogni organismo vivente che gli sta intorno, suolo, piante, animali.
Lasciata la direzione dell’Istituto sperimentale lodigiano nel 1976, dedicò gli ultimi anni della sua vita alla stesura di un’opera, pubblicata postuma nel 1986, che ritentava una nuova grande sintesi delle problematiche relative all’intervento dell’uomo sul suolo dalla preistoria ai nostri giorni: La società e il suolo. In essa Haussmann delineava con forza la necessità di una rifondazione dei valori che governano la società per garantire che lo sviluppo dell’agricoltura non si ponga in rotta di collisione con la terra, con la sua fertilità. La dimensione etica fu un assillo costante della sua vita di sperimentatore e di studioso: la riteneva necessaria per costruire una visione non catastrofica dell’avvenire. Haussmann si spense a Lodi nel 1980.