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Avorio

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Intorno all’avorio e ai suoi commerci si intrecciano problemi ecologici, rapporti commerciali fra Nord e Sud del mondo, e l’ombra di stupidi e inutili consumi.

L’avorio è fornito dalle zanne dell’elefante maschio e femmina d’Africa e dell’elefante maschio dell’India. Le zanne degli elefanti maschi d’Africa pesano da 5 a 50 chilogrammi, quelle delle femmine pesano circa 5 – 6 kg: le zanne degli elefanti d’India pesano 25 – 30 kg. L’avorio è costituito per oltre la metà da fosfato di calcio e per il resto da sostanze organiche.

L’avorio è oggetto di commercio fin dal secolo scorso: era importato soprattutto dai paesi europei e dagli Stati uniti principalmente per la fabbricazione delle palle da biliardo e dei tasti per pianoforte, oltre che per la fabbricazione di ornamenti e monili. Il commercio dell’avorio in Africa si intrecciavano col commercio degli schiavi e entrambi originavano inaudite sofferenze ai nativi – oltre che agli elefanti, naturalmente. Col passare del tempo la popolazione degli elefanti africani è andata rapidamente diminuendo: da alcuni milioni di unità è scesa a poco più di un milione di unità negli anni sessanta e settanta del Novecento, durante i quali si è creata una nuova corrente di esportazione dell’avorio verso l’Estremo Oriente, soprattutto Giappone, Hong Kong, Taiwan.

Nel 1988 gli intagliatori giapponesi di avorio   hanno trasformato 64 tonnellate di zanne in un milione di sigilli con su inciso il nome del proprietario. Dal 1979 al 1987 Hong Kong ha importato 3.900 tonnellate di avorio ottenuto uccidendo più di 400.000 elefanti.

In pochi anni la popolazione di elefanti è scesa a 500.000 unità e gli organismi internazionali hanno deciso di includere gli elefanti africani fra le specie minacciate di estinzione. Il commercio ufficiale dell’avorio è stato prima limitato e poi vietato, ma è continuato, fiorente, quello di contrabbando alimentato da cacciatori di frodo che hanno fatto ulteriormente diminuire la popolazione degli elefanti fino agli attuali valori, stimati fra 150 e 300 mila unità.

Nei   numerosi   passaggi clandestini e illegali fra i bracconieri e gli importatori giapponesi l’avorio aumenta di prezzo anche di duemila volte: poche lire restano ai nativi che uccidono gli elefanti e il maggior guadagno va a chi lavora e commercia l’avorio.

Il divieto, a partire dal 1989, del commercio dell’avorio ha avuto poco successo anche perché ci si trova di fronte ad una serie di contraddizioni che coinvolgono l’economia di paesi poverissimi, la necessità di salvare animali minacciati di estinzione, la speculazione internazionale che alimenta un mercato di oggetti frivoli e inutili.

In una delle periodiche conferenze del Cites (la convenzione internazionale sul commercio delle specie vegetali e animali minacciate di estinzione) è stato fatto un bilancio della situazione della popolazione residua di elefanti, alla fine del Novecento, ed è così emerso che, in certe zone africane protette, gli elefanti hanno ricominciato a riprodursi rapidamente e rappresentano addirittura una minaccia per le coltivazioni, mentre fuori dai   parchi nazionali il numero degli elefanti è in diminuzione.

I partecipanti alla conferenza del Cites hanno allora deciso di conservare l’attuale divieto del commercio, ma di autorizzare tre paesi africani (Botswana, Namibia e Zimbabwe) a vendere al solo Giappone una parte delle 150 tonnellate di zanne che hanno al loro interno, accumulate dalla caccia degli anni passati.  Il Giappone si impegna a non riesportare l’avorio.

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