Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Detersivi

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Un filosofo ed economista del secolo scorso, Carlo Marx, scrisse che nella sua (e nostra attuale) società esiste la finzione giuridica che ogni cittadino abbia una conoscenza enciclopedica delle merci. Le etichette dei preparati per lavare offrono un elegante esempio di come i cittadini siano tenuti all’oscuro delle merci, la cui ipotetica conoscenza enciclopedica è davvero una fictio iuris. La lettura di tali etichette, infatti, non fornisce alcuna informazione non solo su quello che il preparato contiene, ma ancora meno sull’effetto inquinante di ciascuno. Il tutto con la benedizione della legge italiana che autorizza i produttori a prendere in giro i consumatori.

Ma leggiamo insieme qualche etichetta di polveri per lavare.

Uno dei preparati in commercio dice di contenere: “5 % fosfonati (contenuto in fosforo inferiore a 0,5 %); policarbossilati; acido citrico; tensioattivi nonionici”. Ma quanto di ciascuna di queste sostanze è presente in quel 5 % ? I tensioattivi nonionici, che contribuiscono al lavaggio, sono presenti in ragione del 4,5 % o dello 0,5 % della polvere ? Fa una bella differenza.

Il blocco successivo di informazioni dice che dal 5 al 15 % è costituito da: “Tensioattivi anionici; silicato di sodio; bicarbonato di sodio; tetraacetiletilendiammina”. Anche qui il bicarbonato di sodio e il silicato di sodio, che   sono sostanze aggiunte per “far peso”, praticamente inerti, in quale proporzione sono presenti ? Sul valore indicato, “5-15 %” del totale del preparato, quanto tensioattivo anionico (una delle sostanze che servono al lavaggio) c’è ?

Un preparato contiene inoltre dal 15 al 30 % di “carbonato di sodio; zeoliti tipo A; sbiancante a base di ossigeno (percarbonato di sodio)”. Il carbonato di sodio è una sostanza alcalina; la zeolite ha la funzione di impedire o ritardare la separazione dei sali di calcio presenti nelle acque del lavaggio e il percarbonato di sodio è un agente ossidante, un po’ migliore del perborato, ma con la stessa funzione e con lo stesso effetto di attacco delle fibre del bucato.

Anche qui l’acquirente non ha nessuna informazione sulle proporzioni relative di ciascun ingrediente.

Notte fonda per il resto. Sommando 5 %, più 15 %, più 30 % (cioè stando dalla parte della massima quantità dichiarata di ciascuno dei vari gruppi di ingredienti) si arriva al 50 %. Il restante 50 % della polvere è costituito, come dice l’etichetta, da: “Altri ingredienti: enzimi, profumi, antischiuma, sbiancanti ottici, stabilizzanti, antiridepositanti”.  Quali sono questi ingredienti? quale è la concentrazione di ciascuno ? che effetto hanno sull’ambiente e sui tessuti? È  tutto qui o ci sono altre sostanze inerti, di carica, di basso valore commerciale, aggiunte anch’esse “per far  peso”?

In un altro preparato è indicata la quantità (5 %) di vari ingredienti, fra cui i soliti “tensioattivi non ionici”, e il 5-15 % di “tensioattivi anionici; carbonato sodico; perborato sodico”, eccetera. Con i soliti misteriosi, come quantità e natura chimica, “altri componenti”.

Un altro preparato ancora contiene il 5 % di una miscela di silicati, sodio carbossimetilcellulosa (un agente che tiene in sospensione lo sporco nel bagno di lavaggio), policarbossilati, eccetera, e poi il 5-15 % di tensioattivi anionici, di tensioattivi nonionici, di carbonato sodico, eccetera; e infine il 15-30 % di zeolite A e di perborato sodico, con i solidi “altri”: chi sono, in quale concentrazione sono presenti?

Il consumatore può consolarsi perché tutti i prodotti sono “biodegradabili al 90 %”. Nessuno però spiega che il concetto di “biodegradabilità”, imposto dalla legge, vale soltanto per i tensioattivi (che rappresentano circa il 10 % in peso dell’intera polvere). La legge stabilisce, cioè, che i tensioattivi, per almeno il 90 % del loro peso, devono avere la proprietà di essere attaccati e scomposti dai microrganismi presenti nelle fogne e nei depuratori.

Ma l’amore degli industriali per l’ecologia si manifesta anche nella scelta degli imballaggi; alcuni fabbricanti assicurano che il 60 o 65 % (altri l’ 80 %) del cartone impiegato è “riciclato”, un’affermazione per lo meno sospetta perché non esiste nessun metodo di analisi che consenta di riconoscere la percentuale di fibre riciclate in una carta o cartone (se ne è parlato nella scheda “Carta” di questa rubrica). Bisogna fidarsi di quello che dice il venditore (“famo a fidasse”, come dice Manfredi in una celebre scena del film: “Nel nome del Signore”)!

L’unico avvertimento, di qualche valore ecologico, per i consumatori sta nella frase: “Attenzione: il prodotto può inquinare i mari, i laghi e i fiumi. Non eccedere nell’uso”. La frase fu inserita, con una dura battaglia, nella legge sull’eliminazione del fosforo dai detersivi ed è una delle poche norme legislative che invita ad usare di meno una merce. Ma quanti consumatori leggono con attenzione questo avvertimento, peraltro scritto piccolo piccolo e quasi insignificante rispetto ai più vistosi messaggi, che sono poi quelli più equivoci.

Credo che sia necessario mettere ordine nelle norme relative alle informazioni che arrivano agli acquirenti di  preparati per lavare, e garantire un maggiore rispetto per i consumatori. Per esempio dovrebbero essere vietate le frasi come “dà ottimi  risultati”: ottimi rispetto a che cosa?  “Occorre molto meno polvere”: meno rispetto a che cosa? L’uso di un preparato comporta  “minori consumi di detersivo”:  minori rispetto a chi o a che cosa?

Chi sa che un giorno una qualche organizzazione di consumatori non si impegni nello spiegare esattamente che cosa significano le parole usate nelle etichette e nella pubblicità, a mettere in  evidenza le frasi equivoche o prive  di  senso pratico. E nell’avviare una domanda di norme legislative più rispettose dei consumatori e del loro diritto ad una informazione  limpida. Ci guadagnerebbero tutti: i consumatori che saprebbero che cosa comprano e se una merce, sulla base degli ingredienti presenti, vale la spesa,  e i  fabbricanti  che lavorano meglio.

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