Un secolo e mezzo fa il grande chimico Justus von Liebig (1803-1873) – si, proprio quello che ha “inventato” l’estratto di carne e di cui si parla in una scheda della rubrica “Persone” di questo numero 6 di altronovecento – in una delle sue “lettere ai familiari sulla chimica” scrisse che l’importanza economica di un paese si misura dalla quantità di acido solforico che esso consuma. L’acido solforico veniva utilizzato per la fabbricazione di esplosivi (Liebig scriveva nell’epoca delle grandi guerre imperialiste dell’Ottocento) e di concimi: Liebig scriveva in un periodo in cui stavano aumentando rapidamente la popolazione mondiale e la richiesta di alimenti e di prodotti agricoli.
Ai tempi di Liebig l’unica materia prima per la produzione dell’acido solforico era lo zolfo estratto, in condizioni praticamente di monopolio, in Sicilia, allora ancora sotto i Borboni; le miniere erano lavorate con tecniche primitive, alte perdite di zolfo, indegno sfruttamento dei lavoratori, molti dei quali fanciulli (i “carusi”), alti inquinamenti ambientali. Soprattutto i prezzi dello zolfo oscillavano in seguito ad un alternarsi di eccessi di produzione e di speculazioni finanziarie.
Non fa meraviglia che i clienti, soprattutto industriali inglesi, francesi e tedeschi, cercassero altre fonti di zolfo. La prima grande crisi dello zolfo italiano di ebbe con la scoperta che l’acido solforico poteva essere ottenuto dall’anidride solforosa che si libera durante il trattamento a caldo dei solfuri metallici: delle piriti (solfuro di ferro) spagnole, dei solfuri di zinco (blenda) e di piombo (galena); il colpo finale venne dalla scoperta (negli ultimi anni dell’Ottocento) che in alcune zone (all’inizio nel sottosuolo degli stati americani che si affacciano sul Golfo del Messico) esistevano dei grandi giacimenti sotterranei di zolfo che poteva essere portato in superficie, allo stato molto puro e a basso costo, con un processo inventato dall’americano Herman Frasch (1851-1914).
I perfezionamenti per l’ottenimento dell’acido solforico dalle piriti furono applicati anche in Italia ai giacimenti di piriti delle colline metallifere toscane. L’Italia ebbe così di nuovo, per qualche tempo, un ruolo nella produzione di materie prime per l’acido solforico. Un impianto fu costruito a Scarlino, in provincia di Grosseto (poi trasformato per la produzione di biossido di titanio). Intanto nel mondo si scoprivano nuovi giacimenti di zolfo estraibile col processo Frasch; inoltre la crescente richiesta mondiale di gas naturale ha spinto ad estrarlo da giacimenti che contenevano, insieme al metano, idrogeno solforato. Questo composto dello zolfo, che doveva essere eliminato prima di immettere il metano nelle reti di distribuzione, da scarto di estrazione è così diventato materia prima da cui veniva ricavato zolfo puro a basso prezzo. E ancora: le norme “ecologiche” più rigorose imposero l’eliminazione dello zolfo da molti prodotti petroliferi, e un’altra massa di zolfo di ricupero veniva ad invadere il mercato. Per quanto riguarda gli usi dello zolfo, da una parte la richiesta di acido solforico non è aumentata molto e si aggira intorno a 90 milioni di tonnellate all’anno; dall’altra parte lo zolfo ha trovato vari impieghi nella vulcanizzazione della gomma e in altri settori dell’industria chimica.
Lo zolfo italiano è stato gradualmente espulso dal mercato nazionale e internazionale; negli anni ottanta del Novecento sono state chiuse anche le ultime miniere di pirite toscane (con gravi conseguenze economiche); la zona mineraria si visita oggi come testimonianza di archeologia industriale. Non è andata meglio per lo zolfo estratto col procedimento Frasch la cui produzione si è ridotta quasi a zero.
Comunque la produzione mondiale di zolfo si è stabilizzata, da alcuni anni, intorno a 55-60 milioni di tonnellate all’anno, addirittura con un crollo dei prezzi da circa 100 a circa 30-40 euro per tonnellata nel periodo che va dalla metà degli anni ottanta del Novecento a questo inizio del XXI secolo. Un’altra pagina della crescita e declino delle merci nell’era della globalizzazione.