Le merci, da sempre, sono al centro della vita degli esseri umani. Oltre a soddisfare i bisogni primari, esse rappresentano la base di ogni attività economica. Nella loro varietà, inoltre, sono l’oggetto dei desideri che ciascun individuo esprime, in relazione alla propria sensibilità, ai propri interessi e al contesto sociale in cui vive ed opera.
Per le peculiarità che le merci possiedono e per la molteplicità delle funzioni che svolgono, è difficile assegnare loro, in maniera obiettiva, un valore ben definito. Molti sono, infatti, i parametri da considerare nella loro valutazione: il tipo di bisogni che soddisfano, da quelli primari (alimentari, di protezione dagli agenti atmosferici, sanitari, ecc.) a quelli complementari (cura della persona dal punto di vista igienico ma anche estetico, di movimento attraverso i mezzi di trasporto di vario tipo, di comunicazione, ecc.), a quelli che potrebbero essere considerati del tutto voluttuari ma che, spesso, salvo casi particolari in cui si configurano come espressione di status symbol, sono essenziali, anche dal punto di vista psicologico, per la formazione armonica ed equilibrata della personalità di un individuo.
Ovviamente, in un mercato libero, ciascuna merce ha un valore di scambio, rappresentato dalla quantità di denaro necessaria per acquistarla, che raramente o quasi mai è correlato col valore d’uso.
La disciplina che scientificamente si occupa dello studio della produzione, delle caratteristiche e dell’uso delle merci è la Merceologia.
Nascita, sviluppo e trasformazione della Merceologia
Nel 1993 si è celebrato il 200° anniversario (De Marco 1993) della nascita, come disciplina scientifica, della Merceologia, avvenuta in Germania, ad opera di Johann Beckmann (1739-1811), una eclettica figura di scienziato del ‘700, professore di economia, filosofo, cultore di scienze agrarie, di botanica e di tecnologia che, nel 1793, pubblicò un libro dal titolo “Vorbereitung zur Waarenkunde” (Preparazione alla Merceologia) (Beckmann, 1793). A questa data e a questo libro si attribuisce il momento di passaggio da una conoscenza empirica e una trattazione pratica delle merci ad una fase di ricerca scientifica e di attività didattica da parte di esperti della disciplina.
Lo stesso Beckmann, circa venti anni prima, con un altro libro “ Anleitung zur Technologie “ (Insegnamento della Tecnologia) (Beckmann, 1777), si era occupato di Tecnologia, di cui aveva anche coniato il termine, già presente presso i Greci (techne, arte e logos, discorso, definizione). In quell’occasione ne aveva dato la seguente definizione: “ La Tecnologia è la scienza delle arti che è cosa ben diversa dalla storia delle arti come la storia della natura è diversa dalla scienza della natura. La Tecnologia illustra i processi di lavorazione attraverso le varie fasi, in maniera completa, ordinata e chiara. La parte essenziale della Tecnologia riguarda la definizione esatta delle materie prime e di quelle ausiliarie, cioè la cosiddetta Materia tecnologica o Conoscenza dei Materiali “.
Beckmann fu anche l’autore della “Storia delle Invenzioni “ un’opera monumentale che fu subito tradotta in inglese, con varie edizioni (Beckmann, 1780-1805).
L’attività di Beckmann si svolgeva a Gottingen, una fucina di interessi, al culmine dell’Illuminismo e all’alba della Rivoluzione industriale. Questo clima culturale, ma anche politico, presente un po’ in tutta l’Europa, incentivò la produzione di merci nuove, a volte alternative a quelle di provenienza coloniale, e favorì la diffusione della Waarenkunde, come disciplina destinata, secondo quanto suggerì lo stesso Beckmann, alla preparazione degli operatori economici, a cui era necessario fornire conoscenze più approfondite sulle caratteristiche delle merci e sui processi di produzione.
In Italia la disciplina prese il nome di Merceologia mentre termini simili, aventi lo stesso significato, non entrarono nel linguaggio comune inglese o francese o spagnolo. Forse la parola olandese Warekennis, o quella svedese Varukannedom o quella russa Tovarovedenie potrebbero avere delle analogie con la Waarenkunde o con la nostra Merceologia (Goldan, 1963).
Nella prima metà dell’ottocento, comunque, l’insegnamento della Merceologia si diffonde un po’ in tutta l’Europa e, in Germania, anche quello della Tecnologia. Appaiono diversi testi in italiano, in tedesco e in altre lingue e in questa prima fase l’insegnamento, presente nelle scuole commerciali italiane e di altri paesi, si occupa delle materie prime di origine minerale, vegetale ed animale, di alcuni cicli di trasformazione delle risorse naturali in merci, di alcuni metodi di analisi delle merci e di alcune frodi.
Il merceologo utilizza nell’insegnamento nozioni di botanica, di zoologia, di mineralogia, di fisica e di chimica, per meglio caratterizzare i prodotti di commercio dal punto di vista della qualità e, allo stesso tempo, con lo scopo di fornire ai destinatari dell’insegnamento una formazione più completa.
Le merci, nel frattempo, diventano sempre più numerose e crescono in concomitanza dello sviluppo delle conoscenze scientifiche, in particolare chimiche, ma anche metallurgiche e di quelle riguardanti la nutrizione vegetale, e delle loro applicazioni pratiche nel settore industriale e agricolo.
Dopo la istituzione, in Europa, delle Scuole superiori di Commercio di livello universitario, la Merceologia cresce sempre più di importanza con corsi spesso triennali. La Scuola superiore di commercio di Anversa fu fondata nel 1852, quella di Parigi nel 1861, quella di Venezia nel 1868, quella di Genova nel 1884 e quella di Bari nel 1886.
Si sentiva, in questo periodo sempre più il bisogno di caratterizzare le merci con metodi analitici sicuri per meglio difenderle dalle frodi e dalle sofisticazioni. Dai testi dei merceologi si evince la preoccupazione prevalente degli autori di preservare dalle insidie delle frodi soprattutto i commercianti piuttosto che i consumatori. A parte certe opinabili preferenze, resta comunque il fatto che il problema delle frodi, antico quanto l’uomo, trova nella Merceologia e nel merceologo un’attenzione particolare che ha certamente delle ricadute sociali ed economiche importanti.
Nello stesso periodo, la fine dell’800 viene attuata una grande inchiesta britannica sulle frodi (1875) e in Francia, nel 1877 si istituisce il primo servizio nazionale repressioni frodi, affidato al grande Pasteur. (Nebbia Menozzi, 1986)
In Italia nel 1896 appare la prima edizione di un testo di fondamentale importanza per la Merceologia italiana, il Dizionario di Merceologia di Vittorio Villavecchia (1859-1937). Villavecchia, pur avendo vinto una cattedra universitaria, proprio nell’Università di Bari, ha svolto la sua attività professionale prevalentemente come Direttore del Laboratorio Centrale delle Dogane e con la sua opera e la alta statura scientifica ha, di fatto, determinato l’andamento degli studi merceologici in Italia per oltre mezzo secolo.
Nelle prefazione del suo Dizionario egli dichiara di voler offrire “al pubblico italiano un libro essenzialmente pratico ed alla portata degli industriali, commercianti ed ufficiali tecnici dello Stato, e che perciò racchiuda succintamente tutto quanto si riferisce alle svariatissime e numerose merci, che sono oggidì oggetto di traffico e di commercio. Per arrivare a codesto intento abbiamo riunito in una serie di articoli, ordinati alfabeticamente, tutto quanto concerne i caratteri esteriori, le proprietà fisiche e chimiche, la composizione, la provenienza, il modo di estrazione o di produzione, le diverse qualità, le sofisticazioni, le alterazioni, i saggi caratteristici, il modo di imballaggio, gli usi delle materie prime o gregge e de prodotti manufatti che da queste materie derivano “(Villavecchia, 1929).
Vengono, in tal modo, confermati: l’interesse verso alcuni interlocutori privilegiati che non sono i consumatori, la caratterizzazione marcatamente descrittiva della Merceologia, l’attenzione per l’individuazione e la prevenzione delle frodi.
Intanto, a mano a mano che le Scuole Superiori di Commercio si trasformano in Facoltà universitarie economiche e commerciali, alla Merceologia rimane sempre meno spazio e la disciplina da triennale diventa biennale e poi annuale. Le merci, per converso, assumono sempre maggiore importanza e soprattutto si diversificano sempre di più. E’ il periodo compreso fra le due guerre mondiali, cioè quello legato alla scoperta di materie prime alternative e alla produzione di merci con risorse interne a ciascun paese. E’ il periodo dell’autarchia fascista in Italia, di quella nazista in Germania ma è anche il periodo in cui nasce e si sviluppa negli USA il “Farm Chemurgic Movement”. Ideato da William J. Hale, un chimico della Dow Chemical Co., esso attrasse l’attenzione di uomini importanti, a livello industriale come Henry Ford, a livello politico come Henry Wallace e, a livello intellettuale come George Washington Carver. Il termine Chemurgia, dal greco chemeia (chimica) ed ergon (lavoro), fu coniato dallo stesso Hale per significare l’ottenimento di sostanze chimiche industriali dai prodotti agricoli.(De Marco 1989).
Il fervore di idee e di iniziative fu interrotto dallo scoppio della II guerra mondiale.
Fu soltanto intorno agli anni 50 che Walter Ciusa, professore di Merceologia nell’Università di Bologna, con la pubblicazione di due libri (Ciusa, 1948 e 1954) destinati ai suoi studenti, diede un nuovo orientamento alla Merceologia. Per Ciusa la disciplina doveva ampliare i propri interessi non limitandosi alla semplice descrizione delle merci e delle loro frodi ma doveva occuparsi dei cicli produttivi attraverso i quali le risorse naturali sono trasformate in prodotti intermedi e in merci finali, dei rendimenti di trasformazione, della destinazione dei vari prodotti.
Il pensiero di Ciusa fu ripreso e ampliato, nella ricerca e nella didattica da altri merceologi (Calzolari, 1988 e1989) e la Merceologia passò quindi ad analizzare il flusso dei materiali e di energia, attraverso l’economia, assumendo un carattere decisamente tecnico economico.
Nel 1965, circa due secoli dopo la nascita della Tecnologia di Beckmann, fu istituito nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bari il primo corso di Tecnologia dei cicli produttivi, autonomo rispetto alla Merceologia, pur facente parte dello stesso settore disciplinare. Questa disciplina si è poi diffusa in tutte le Università italiane, quasi sempre affiancata alla Merceologia e, talvolta, soprattutto negli ultimi anni, al suo posto (De Marco, 1979 e 1987).
La nuova impostazione della Merceologia ha permesso di affrontare problemi strettamente economici con un approccio differente ma molto significativo. Ad esempio, studiando il processo produttivo di una merce, è possibile effettuare un bilancio redatto in unità fisiche, piuttosto che in unità monetarie, e, confrontando due merci che svolgono la stessa funzione, individuare quella che risulta più “conveniente” sulla base della quantità di materia e di energia impiegata per produrla.
I problemi che la Merceologia si trovò ad affrontare, in questo periodo, furono anche quelli relativi alla produzione di merci nuove, ad esempio, quelle provenienti dall’industria petrolchimica. Il boom economico che, ad esempio, caratterizzò gli anni ’60 in Italia, coincise anche con l’apparizione dei primi sintomi di degrado ambientale legato alla produzione e all’uso di alcune merci. I detergenti sintetici, le materie plastiche, i fertilizzanti artificiali, i combustibili fossili, soprattutto il petrolio, utilizzati in modo intenso, oltre a creare vistosi problemi di inquinamento, posero anche l’attenzione su un possibile, a breve termine, esaurimento di alcune risorse non rinnovabili.
D’altra parte il declino di alcune merci di provenienza naturale, a vantaggio di altre sintetiche, si rifletteva negativamente sull’economia di alcuni paesi. Fu quasi conseguenziale, per il merceologo, occuparsi anche di questi aspetti tecnico-sociali nello studio dei cicli produttivi, e offrire indicazioni, circa la preferenza da dare nella produzione e nell’uso di una merce, basate su diversi parametri di valutazione: tecnici, economici, sociali e ambientali.
Fu in questo periodo che Giorgio Nebbia, professore di Merceologia nell’Università di Bari suggerì un nuovo ruolo della Merceologia: quello di studio e insegnamento di Tecnologia sociale (Nebbia, 1968 a e b).
Le strette interrelazioni fra: risorse naturali – merci – ambiente furono così studiate dal merceologo e la Merceologia si occupò, oltre che degli aspetti tecnologici della trasformazione delle risorse naturali in merci, anche delle conseguenze delle attività produttive sull’ambiente, dei problemi di inquinamento, della quantità e qualità dei rifiuti generati, del loro smaltimento e della loro eventuale possibilità di riciclo.
La Merceologia, dagli anni ’70 in poi, ha posto particolare attenzione all’analisi del ciclo di produzione in termini di quantità ma anche di qualità di ogni materiale utilizzato, sia esso bene economico (minerali, combustibili, ecc.) o risorsa prelevata senza spesa dalla natura (aria, acqua, suolo, ecc.), e delle emissioni (solide, liquide o gassose) generate in ogni fase del processo.
In altri termini, la Merceologia degli ultimi trenta anni, nella sua evoluzione, ha sempre più avvertito la necessità di occuparsi delle merci, studiandone l’intera “storia naturale”, (Nebbia, 1991) e si è riconosciuta disciplina capace, attraverso l’approfondimento delle conoscenze tecniche, di dare un valido contributo, anche mediante una nuova interpretazione del concetto di progresso e di sviluppo, alla formazione economica dei suoi diretti interlocutori: innanzitutto gli studenti, i consumatori e gli operatori economici.
Il periodo della evoluzione degli studi merceologici non è coinciso, però, con quello di un suo maggiore riconoscimento né nel mondo accademico né in quello della Scuola media superiore. Fino alla fine degli anni ‘60 la disciplina era insegnata prevalentemente da laureati in Chimica e i corsi universitari erano presenti soprattutto nelle Facoltà di Economia e Commercio e in qualche facoltà di Chimica ma come Analisi merceologica o Chimica merceologica, con una impostazione, quindi, prevalentemente analitica. Successivamente, fra i docenti universitari è prevalsa la estrazione economico-commerciale, per cui la disciplina ha risentito un po’ di questa doppia anima che spesso non è stata compresa né apprezzata dai colleghi delle due facoltà interessate che ne hanno con condiscendenza sopportato la presenza anche se erano coscienti che gli argomenti trattati dalla Merceologia, soprattutto nelle Facoltà economiche, avevano un forte impatto sulla società. L’insegnamento spesso da fondamentale è stato reso opzionale; in molte sedi universitarie è addirittura scomparso o è stato sostituito con quello di Tecnologia dei cicli produttivi che dagli economisti e soprattutto dagli aziendalisti è ritenuto più accettabile.
La stessa cosa è avvenuta nelle Scuole medie superiori. La Merceologia era insegnata in alcuni Istituti Tecnici Commerciali, Industriali e in quelli Femminili da laureati in Chimica. Le riforme, sia pure parziali che in questi anni si sono succedute fino a quella totale della Scuola, da poco approvata e non ancora completamente applicata, hanno eliminato in parte o del tutto l’insegnamento della Merceologia.
Il futuro delle Merci e della Merceologia
Con il terzo millennio il futuro è già cominciato. Le merci sempre più nuove, allettanti anche dal punto di vista estetico della loro presentazione sul mercato, sono al centro dell’interesse dei produttori e dei consumatori.
I produttori si sforzano di variare le loro offerte con beni sempre più ricchi di valore aggiunto, prodotti con tecnologie sempre più avanzate, pur di allargare i loro mercati. Dagli alimenti agli strumenti di comunicazione, dai prodotti farmaceutici a quelli medicali, da quelli cosmetici ai prodotti per la casa, ai materiali compositi, alle leghe metalliche, con caratteristiche particolari, ogni giorno il consumatore è sollecitato ad acquistare e provare “cose” nuove che la pubblicità gli offre in maniera martellante e, nello stesso tempo, gradevole. Contemporaneamente, però, il consumatore si trova di fronte a problemi nuovi, del tutto inattesi, spesso gravi, legati proprio all’uso o al consumo di alcune di queste merci. La totale disinformazione di cui è vittima lo rende, fra l’altro, incapace di prendere delle decisioni consapevoli, per cui cade in allarmismi eccessivi o, al contrario, in atteggiamenti superficiali.
Il consumatore, in genere, non sa cosa sia un alimento transgenico o come fare per individuarlo in un supermercato, o che cosa sia un alimento funzionale o se sia meglio utilizzare un alimento biologico. Ma gli alimenti non sono tutti biologici? E non sono tutti funzionali? E allora perché la pubblicità dice che quelli così denominati sono migliori e perché bisogna pagarli di più? Chi insegna al consumatore a fare distinzione fra merce e merce e perché i produttori ma anche gli scienziati usano terminologie ingannevoli?
Si dice che gli alimenti transgenici sono stati inventati per diminuire l’uso dei fitofarmaci e, rendendo le piante più resistenti, aumentarne la produttività. Qualcun altro dice, però, che esse piante e i loro frutti diventano anche resistenti, ad esempio, agli antibiotici e che questa resistenza può essere trasmessa, attraverso la catena alimentare, agli esseri umani. Come fa il consumatore a districarsi in questo groviglio di informazioni così disparate? C’è qualche disciplina che nella Scuola o all’Università si occupa di questi aspetti? La Merceologia, dove è insegnata e fino a quando esiste, tratta anche questi argomenti ed altri di grande attualità. Nei corsi universitari di Merceologia si insegna agli studenti quali sono le merci che hanno causato il buco dell’ozono o l’effetto serra, di cui i grandi del mondo fanno finta di occuparsi, periodicamente, senza mai giungere a conclusioni positive, anzi, addirittura tornando indietro sulle decisioni già prese. Lo studente di Economia e Commercio sa bene che cosa sia l’uranio arricchito, perché del suo programma di studio fa parte l’energia nucleare, e da che cosa è generata. Quando ha sentito parlare, nella guerra dei Balcani, di bombe all’uranio impoverito e delle sue conseguenze, gli sarà stato più facile che ad altri, suppongo, capire di che tipo di “nuova” merce si trattava.
E così sa che cosa sia la benzina verde, se è veramente tale, se cioè inquina di meno, o quanto quella al piombo o di più. Può, inoltre, studiando i flussi di materia e di energia, nell’economia di una città, di un paese o del mondo, capire quanto ci sia di vero nell’ipotesi di una tendenza verso la dematerializzazione. E un altro problema, di cui ha preso coscienza, è quello della scarsità di acqua che si dice caratterizzerà questo secolo e di cui esistono già vistosi effetti con il diffondersi della desertificazione.
Tutti questi temi che riguardano le merci, merci importanti per l’economia ma anche per la sopravvivenza degli esseri umani, sono di competenza della Merceologia a cui gli organi istituzionali hanno dato un ruolo secondario nella riforma dell’Università, appena approvata, ponendo la disciplina nei corsi di laurea in Scienze Economiche e in Economia aziendale, fra quelle affini integrative. Certamente la colpa è di chi, nel tracciare lo schema di riforma, ha fatto prevalere le ragioni politiche su quelle scientifiche, ma è anche di chi, come noi opera nel settore specifico, che non si è adoperato, in maniera adeguata, per far comprendere l’importanza della Merceologia nella formazione economica. Non si è spiegato in modo chiaro, e forse anche un po’ urlato, che i conti in economia non si possono continuare a fare solo in unità monetarie ma bisogna cominciare a ragionare in termini di risorse disponibili, di merci e anche di rifiuti prodotti, espressi in unità fisiche.
Tanto più difficile riesce accettare questo “declino” nella Facoltà di Economia quando studiosi di altri campi di ricerca, come gli architetti, nello stesso momento, tentano di inventarsi una Merceologia su misura, che chiamano “Merceologia Contemporanea “, legata in particolare al ruolo del design nella produzione e nello scambio della merci ( Celaschi, 2000). Pur essendo necessaria un’attenta analisi critica dell’impostazione di questa “nuova” Merceologia, i cui inventori l’hanno contrapposta a quella di Villavecchia, ignorando il percorso evolutivo che la disciplina ha effettuato nella seconda metà del novecento, è comunque significativo il fatto in se stesso.
La Merceologia, pur con tutte le difficoltà, forse con denominazioni alternative, ha davanti a sé ancora tanto lavoro da svolgere e un ruolo importante da coprire nella società italiana ma anche europea e mondiale.
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