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Dossier “1970” — Una civiltà all’assalto degli ecosistemi

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Dal numero monografico dal titolo “I guastatori della natura” della rivista “I problemi di Ulisse”, settembre 1970, pp. 26-36.

Se qualche storico vorrà domani porre mano ad un’analisi della nostra condizione di oggi, non potrà che dire, con un incisivo inlzavare del linguaggio, “Dell’acqua fecero un pozzo nero, dell’aria un serbatoio di veleni, e dell’ambiente un rifugio per topi di fogna”. Se poi qualcuno, più curioso degli altri, vorrà compiere anche indagini di biblioteca, scoprirà il saggio di George R. Stewart 1G. R. Stewart, Not so rich as you think, Boston, 1967.Not so rich as you think. Garbage, smog, junk and sewage. The hidden price we are paying for our affluent society , svelto libretto illustrato da Robert Osborn nel simbolo del dollaro sterminatore e significativa memoria di un mondo in liquidazione sulla base di una logica economica imperante.

Un libro irriverente nei confronti del dollaro, ma pieno di attenzioni per la natura. La giusta, opposta posizione rispetto a quella che la cultura cristiano-giudaica ci ha da millenni inculcato. Gli americani sono stati capaci di tanto anche perché possiedono una doppia tradizione: quella dello sterminio e quella della conservazione. La prima è stata filtrata dalla matrice anglosassone: già Adam Smith nel IV capitolo del I libro delle sueRicerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni 2A. Smith, Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni , Torino, 1950. , enunciava nel 1776 alcuni concetti sul valore di uso e di scambio, per sostenere che, se nulla vi era di più utile dell’acqua, tuttavia essa difficilmente sarebbe servita ad acquistare qualcosa. Qualche anno più tardi fu David Ricardo, nei suoi Principi di economia, a rincarare la dose. Per Ricardo3D. Ricardo, Principi dell’economia politica, Torino. 1952. nulla poteva essere dato per l’uso dell’aria e dell’acqua, beni dei quali esisteva una quantità illimitata. Al culmine del narcisismo tecnologico, prestando quindi anche facilmente il fianco agli attacchi di Marx nel Capitale, Andrew Ure, massimo teorico della progressione capitalistica in seno all’Inghilterra vittoriana, stupiva il mondo proclamando gli indubbi vantaggi della luce a gas nei confronti della luce del sole.

Sull’altro fronte, invece, è americano il primo sistematico indagatore dell’influenza dell’uomo sull’ambiente. Risale al 1864 infatti la prima edizione dell’opera di George Perkins Marsh sulle modificazioni operate dall’uomo a carico dell’ambiente naturale 4G. P. Marsh, Man and nature; or, physical geography as modified by human action , New York-London, 1864.. Prendono corpo le prime raccomandazioni ad operare con cautela sul mondo organico ed inorganico, mentre si individua il ruolo esercitato dalle foreste nella protezione del suolo dalle erosioni. Nel 1908 Theodore Roosevelt lancia la prima campagna in favore della conservazione cautelativa delle risorse naturali, con quei modesti risultati che tutti possono immaginare, in pieno fervore di frontiera e nello slancio di rapina tipico dell’affrettata industrializzazione americana dei primi anni del secolo. Solo nella successiva epoca della Ford per tutti si delinea il serio pericolo del completo esaurimento delle riserve naturali. Gli allarmi e i pericoli entrano però, già a partire dagli anni ’20, in contrasto con un ideale di società che si basa sulla produzione delle quantità massima di merci ai costi minimi. Un ideale che, trovando i propri ascendenti nell’Illuminismo, non può accettare la resa di fronte ai gravosi costi delle misure anti-inquinamento, mentre subisce solo al livello della polemica culturale la necessità della ristrutturazione urbana, e mantiene un sereno distacco nei confronti della necessità di ristrutturare il territorio su basi ecologiche. Il profitto individuale, portato a livello di sistema, non poteva che provocare uno sconvolgimento, la cui enigmatica consistenza rappresenta ancora oggi uno dei gravi interrogativi a carico del futuro dell’umanità.

Verso l’ecocatastrofe?

Quale prezzo pagheranno le generazioni future, ancora non sappiamo, ma sicuramente oggi abbiamo in mano tutti i valori e le indicazioni per poterci attendere una futura ecocatastrofe. L’uomo si rese conto che la tecnologia gli permetteva di scatenare forze senza precedenti, quando si trovò di fronte al pauroso spettacolo di Hiroshima e Nagasaki, e venne preso in contropiede dai residui radioattivi, che si potevano disperdere nella biosfera e raggiungere un livello di pericolosità tale da compromettere le stesse possibilità di sopravvivenza della umanità.

Del resto, già dal 1957 si sono eseguite le prime analisi sistematiche per individuare come l’ecosistema reagisca di fronte alla contaminazione radioattiva: il fenomeno più appariscente è stato senza dubbio il crescente aumento della radioattività nelle ossa dei bambini, e un recente rapporto di Ernest Sternglass dell’Università di Pittsburgh (Pennsylvania) valuta a circa un milione i decessi di bambini, a causa della radioattività, negli ultimi 16 anni 5E. Sternglass, Rapporto sulla contaminazione nucleare, testo della conversazione tenuta per gli schermi della TV indipendente inglese il 26 gennaio 1970.. Se lo stronzio 90, dotato dello stesso metabolismo del calcio, è chiamato in causa da Sternglass come il responsabile di questo omicidio generalizzato che, nonostante i dubbi degli ottimisti, è continuato anche dopo il trattato del 1963 che vietava le esplosioni atomiche nell’atmosfera (ma al quale non aderirono la Francia e la Cina comunista), non meno grave è il fenomeno della generale contaminazione del globo a causa della trasmissione della radioattività da un organismo all’altro sulla base del vettore catena-alimentare.

La radioecologia è diventata un’importante branca dell’ecologia, dal momento in cui la radioattività artificiale ha interessato il nostro ambiente con gli elementi K40, Sr90, P32, Co60, Zn65, Cs137, Ru106. Che tutto il globo sia inquinato da isotopi radioattivi, che si vanno sempre più concentrando, non vi sono dubbi, anzi noi ne possiamo seguire il percorso fin nei tessuti animali e vegetali, dove tendono a localizzarsi, in base alla loro composizione chimica. Il rubidio tende così a localizzarsi nei polmoni, lo iodio e lo stronzio (tipici elementi capaci di accumulazione selettiva) tendono a concentrarsi rispettivamente nella ghiandola tiroide e nelle ossa, con interferenze sul metabolismo basale e sulla normale formazione degli eritrociti del sangue. Per tacere dei gravissimi danni genetici. Negli organismi di diversi animali marini dell’emisfero Sud, si possono facilmente trovare isotopi come il Co60 e lo Zn65, ma gli stessi elementi sono stati trovati anche lungo la costa atlantica dell’America del Nord.

I pericoli dell’atomo di pace

Il grave pericolo che oggi ci minaccia è il sempre più frequente uso del cosidetto atomo di pace, sia per gli eventuali incidenti che potrebbero liberare isotopi dai reattori, sia per il normale apporto di un basso livello di inquinamento radioattivo, che viene però stoccato in misura crescente nei vari stadi alimentari. Nel caso del reattore di Nanford, nei pressi di Washington, i cui scarichi liquidi sono riversati nel fiume Columbia, si è notato che, dato il valore 1 alla radioattività immessa nel fiume, le piante acquatiche presentano un valore di concentrazione pari a 3, fino ad arrivare al limite di 500 nelle ossa degli uccelli acquatici. Nel caso del P32 il valore di radioattività del fitoplancton può raggiungere anche il valore di 1000 6Valori e dati riportati in Grundriss der Ökologie unter besonderer Berücksichtigung der Tierwelt di W. Kühnelt, Jena, 1965..

Recentissima e circostanziata è l’accusa nei confronti dell’atomo pacifico rivolta da Richard Curtis ed Elisabeth Hogan 7R Curtis, E. Hogan, Perils of the peaceful atom, London, 1970; si può vedere ancheil libro di Sheldon Novick, The careless atom, London, 1969. nel loro libro dedicato ai .pericoli dell’atomo pacifico. Non si può oggi assolutamente dire che esistano impianti nucleari pacifici completamente sicuri. Il problema riguarda soprattutto i rifiuti la cui tossicità non può essere attenuata con metodi artificiali: il ritmo di produzione e di applicazione della energia atomica è tanto elevato, che, in pochi anni, miliardi di litri di scorie radioattive saranno riversate nell’ambiente naturale, anche prescindendo dai guasti eventuali. La facile osservazione secondo la quale, dopo la firma del trattato del 1963 e quindi dopo il bando delle esplosioni nucleari nell’atmosfera, si sarebbe potuto contare su di una significativa diminuzione dell’inquinamento radioattivo, che pure ha trovato credito anche presso l’autorevole New Scientist 8 Fallout dropout” in “New Scienst”, 7 agosto 1969, 43 (661) p. 268., sembra liquidata dal sempre più grave pericolo dell’atomo pacifico.

Il fenomeno della crescente radioattività del mezzo è stato l’innesco base della problematica sulla conservazione della natura, in dimensione ecologica. Gravi fenomeni di inquinamento collaterale hanno però contribuito a riproporre i termini del problema. I morti di Minamata9Jun Ui, “Sanitary engineering’s approach to Minamata disease”, pubblicato in “Acqua industriale, inquinamento” n. 6, 1969. e l’incalzante problematica dell’inquinamento da mercurio 10“Mercury mystery” in “New Scientist”, 5 Febbraio 1970, 45 (687), p. 243., l’esplosione dell’inquinamento da pesticidi, la crescente contaminazione da piombo ed il fallout dell’azoto hanno rimesso pesantemente in discussione i nostri collaudati princìpi dell’economia di rapina. Il problema dell’inquinamento da mercurio non si pone nei termini drammatici che hanno caratterizzato la questione della radioattività, ma è sintomatico che l’allarme di base ci giunga dal Giappone, dalla baia di Minamata e dal fiume Agano e Oyoba.

Ripreso in termini più generali, il problema è stato affrontato anche in Europa (Finlandia, Svezia ed Olanda) mentre per l’Italia, Ui e l’autore, hanno in corso una serie di analisi e di campionature le quali dovrebbero abbracciare l’intero bacino del Mediterraneo. Non si sono presentati in Europa i sintomi della malattia di Minamata che, come intossicazione del sistema nervoso centrale, da parte di composti del mercurio, è da attribuirsi all’inquinamento del mare dovuto a metalli pesanti e in particolare al metil-mercurio proveniente dagli scarichi del processo di sintesi dell’acetilene, in quanto una parte del catalizzatore di mercurio si trasforma in metil-mercurio, come risultato di una reazione collaterale.

La crescente presenza di mercurio nelle acque continentali e nelle acque marine è comunque da attribuirsi sia allo scarico industriale che all’utilizzo di funghicidi a base di composti di fenil-mercurio. Recentemente l’inquinamento da mercurio del fiume Saskatchewan (America del Nord) è stato attribuito sia all’inquinamento di origine chimico-industriale (produzione di cloro e soda caustica), sia all’uso di prodotti al mercurio per l’agricoltura, che alla presenza di mercurio negli strati rocciosi, soprattutto sulla scorta delle esperienze svedesi e giapponesi. Göran Löfroth, per la situazione svedese, ha individuato nelle cartiere, nelle industrie chimiche che producono cloro, nelle industrie che in genere fanno uso di mercurio, nell’utilizzo di combustibile fossile, nell’utilizzo per l’agricoltura di antiparassitari e funghicidi l’origine del grave inquinamento da mercurio delle acque svedesi 11G. Löfroth, Report on methylmercury, a review of health hazards and side effccts associated with the emission of mercury compound into natural systems , Stockholm, 31 dicembre 1968..

Nel 1965, i ricercatori del Collegio Tecnologico di Stoccolma e i loro colleghi dell’Istituto Veterinario rivelarono che anche il pesce di acqua dolce conteneva del mercurio in dosi sempre maggiori, quando proveniva da acque vicine a zone industriali. Alcuni lucci sottoposti ad esami presentavano fino a 10 mg/kg di mercurio. Lo stesso valeva per il pesce sulla costa baltica, in quelle zone dove venivano scaricati i rifiuti delle industrie, come ad esempio le cartiere, che usano il difenil-mercurio come funghicida, le varie industrie di detersivi con alcali clorurati, dove il mercurio interviene nel drenaggio ecc. Certe varietà di pesce sono più ricettive delle altre all’assorbimento di mercurio, il luccio e il pesce persico in primo luogo, al contrario del salmone e dell’anguilla. La cottura non modifica l’incidenza fisiologica del mercurio. In Svezia si mangia molto pesce, e quando i risultati di queste indagini furono resi noti, migliaia di pescatori non trovarono più a chi vendere il loro pesce. Il fenil-acetato di mercurio viene usato dal 1947 nell’industria cartaria come prodotto di conservazione o di drenaggio. Anche le industrie di detersivi lo usano. Così pure le industrie di prodotti chimici a base di aldeide acetica. Ma ci si serve del mercurio anche per la fabbricazione di elettrodi, tra l’altro anche i dentisti, ogni volta che si servono di una fresa, contribuiscono alla diffusione del mercurio. Da alcuni studi è emerso che probabilmente qualunque sia la forma organica od inorganica, sotto la quele il mercurio viene introdotto nell’ambiente, ne derivano dei composti metilici” (rivista Svezia oggi, marzo 1970, p. 22).

A conclusioni relativamente simili giungeva, per la situazione finlandese, Pekka Nuorteva12Pekka Nourteva, “Metytielohopeakypsymys”, “Medisiinari”, 33: 4, pp. 47-56, 1969.; i recenti casi olandesi sono stati attribuiti, per l’Olanda del Nord – Oude Veer – ai disinfettanti a base di mercurio comunemente usati in agricoltura, mentre per l’elevata concentrazione di mercurio presente nel Reno, si ritiene di individuarne l’origine negli scarichi industriali da parte di industrie chimiche localizzate lungo lo stesso bacino fluviale 13P. Spaander, Watervervuiling als bedreiging van het biologisch milieu, Aquatech Congress, Amsterdam 1969.. Dati sicuri sull’inquinamento da mercurio in Italia si dispongono ora solo per il mare di Ravenna e la laguna veneta: anche qui industria chimica e disinfettanti per l’agricoltura si danno la mano14Jun Ui, “L’inquinamento da mercurio nel mare di Ravenna”, in “Acqua industriale inquinamento”, n. 9, 1969, pp. 9-12..

Il DDT sotto accusa

II fatto più clamoroso della recente storia dell’inquinamento è stato però la critica serrata all’uso indiscriminato degli antiparassitari. Già a partire dal 1950 si era osservato che il DDT si accumula nel grasso degli animali e che il suo accumulo poteva costituire un serio pericolo per la salute umana. Occorse però più di un decennio perché contemporaneamente uscissero due opere fondamentali che affrontarono il problema in tutta la sua drammaticità. Gli studiosi e gli ecologi vennero messi in allarme dal libro di R.C. Rund, uno specialista dell’Università del Wisconsin 15R. C. Rund, Pesticides and the living landscape, Madison, 1964., mentre la pubblica opinione venne sensibilizzata dagli scritti di Rachel Carson16R. Carson, Primavera silenziosa, Milano, 1965 (prima edizione m lingua inglese Silent spring, Boston, 1962)., anche se, poco generosamente e con quello spirito tipico della caccia alle streghe che alle volte non è neppure estraneo all’ambiente scientifico, si parlò della Carson come di “una vecchia signora emotiva, probabilmente pagata dai comunisti”17J. Tinker, “Pesticides-time for firm decisions”, in “New Scientist”, 45 (682), 1 gennaio 1970.. Le stesse considerazioni che oggi si fanno per le nostre ricerche sul mercurio nell’Adriatico!

Il problema sempre più drammatico dell’inquinamento da insetticidi chiarisce i motivi di fondo della nostra società tecnologica: una filosofia che, non tenendo conto dei mutati rapporti di ordine storico, si pone ancora come obiettivo la massima produttività e il massimo profitto. Gli insetticidi sono un mezzo derivato dai processi industriali, che permettono contemporaneamente un equivoco sviluppo industriale nel settore chimico, inutili aiuti ai paesi sottosviluppati, aiuti che poi ricadono a boomerang sui sottosviluppati stessi, la massima produttività in agricoltura e un’affrettata fine del nostro globo, colpito nella base stessa del suo vivere: il processo di fotosintesi18Si veda il suggestivo saggio di P. Ehrlich, “Quando il mare morirà”, nel supplemento dell'”Espresso” n. 47, 23 novembre 1969.. Kenneth Mellanby 19K Mellanby, “End of the DDT decade”, in “Science Journal”, vol. 6, 1 gennaio 1970, p. 3. autore di un importante studio sui pesticidi uscito a Londra nel 1967 Pesticide and pollution (pesticidi ed inquinamento), dedica l’editoriale del primo numero del 1970 sul britannico “Science Journal” ai protagonisti degli anni ’60 che, in termini ecologici, si chiamano Dicambe, Amiben, Fenas, MGPA, 2-4 D, Diphenamid, Manuron, Atrazine, Simazine, Propazine, Diuron, Prometryne, CIPC, Diquat, Paraquat, Trifluralin, sostanze che hanno avuto il privilegio di penetrare nelle pieghe più nascoste del globo terrestre, nel grasso dei pinguini dell’Antartico e nelle calotte polari, come nella pioggia perenne delle città inglesi. Ciascuno di noi se ne porta a spasso una certa dose nei tessuti adiposi del corpo. E si tratta di una dose che va sempre crescendo. Quando l’accumulo avrà raggiunto la soglia compresa tra 10 e 40 ppm ne risentirà il nostro apparato riproduttore, come ne ha già risentito l’apparato riproduttore delle anatre selvatiche studiate da Heath, Spann e Kreitzer presso il Wildlife Research Center del Maryland, ne risentiranno i meccanismi chimici delle sinapsi del sistema nervoso.

Abbiamo anche discrete possibilità di veder diminuire il contenuto in calcio nelle ossa: ce lo confermano le prove sperimentali condotte sulle quaglie giapponesi dal Servizio di ricerca del dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti di Beltsville nel Maryland 20J. Bitman, H. C. Cecil, S. Harris, G. F. Fries, “DDT induce a decrease in eggshell calcium”, in “Nature”, 224, 4 ottobre 1969, pp. 44-46.. Ma non è tutto. Il pesce al DDT ce lo troviamo spesso sulla tavola. Prendiamo due aree geografiche piuttosto lontane: le coste della California e le coste svedesi. Queste zone sono interessate da un grande accumulo delle sostanze contenute nei pesticidi, sia prodotti minerali (arsenico, acido cianidrico, zolfo, fluoro, silice) sia prodotti organici (derivati clorati, esteri fosforici, composti azotati, derivati organometallici) che, difficilmente degradabili, si accumulano nel plancton, nei crostacei, nei pesci. Due ricercatori della Duke University hanno scoperto che i grossi crabsdegli estuari e delle coste sono dei grandi serbatoi di DDT, una concentrazione da 7 ppm in su.

Il pesce che mangiamo

Ma veniamo al pesce dei mari scandinavi, che finisce congelato un po’ su tutte le nostre tavole. L’analisi dei pesticidi residui contenuti negli organismi marini che popolano le coste svedesi, ha messo in evidenza una grande contaminazione nel mar Baltico. Procedendo nell’analisi da Nord a Sud in questo mare, i ricercatori svedesi Jensen, Johnels, Olsson, Otterlind hanno rilevato, dandone comunicazione nell’ottobre del 1969, una crescente contaminazione dovuta al PCB (bifenil policlorinato). Inoltre un particolare tipo di uccelli predatori dell’arcipelago di Stoccolma ha presentato un’elevata concentrazione di insetticida nei muscoli (fra 190 ppm e 240 ppm) e nel cervello (fra 47 e 70 ppm) 21S. Jensens, A. G. Johnels, M. Olsson, G. Otterlin, “DDT and PCS in Marine Animals from Swedish Waters”, in “Nature”, vol. 224, 18 ottobre 1969, p. 247-250.. Situazione analoga a Long Island per gli smerghi ed i falchi che si nutrono del pesce contaminato da insetticidi.

Quindi, insetticidi dappertutto. I più grandi responsabili sono senza dubbio il DDT, la dieldrina, l’aptacloro e l’endosulfan, ma anche altri insetticidi più recenti e più sofisticati, come gli erbicidi, sono responsabili di dissesti ecologici e della permanenza nell’ambiente di residui tossici difficilmente eliminabili. Gli insetticidi derivati dal cloro organico sono difficilmente degradabili, o lo sono solo parzialmente: il DDT e la dieldrina nel suolo possono uccidere gli insetti anche a distanza di decenni, tanto è vero che queste sostanze stanno sterminando i piccoli invertebrati che vivono a livello del suolo, e che compiono una funzione fondamentale nel definire le caratteristiche e la produttività del terreno. Sulla base di questi dati si vede come la previsione della catastrofe ecologica fatta dal Dr. Paul Ehrlich non sia poi tanto opera di fantasia malata o di pessimismo portato alle estreme conseguenze. Nelle regioni sottosviluppate del globo, dove si è fatto un utilizzo massiccio di’ questi composti, i danni sono stati talmente seri che ormai alcuni territori dovranno essere abbandonati.

Ma stiamo ai paesi europei del blocco occidentale, all’Inghilterra ad esempio: ancor prima del 1962 migliaia di piccioni inglesi sono morti per aver mangiato cereali contaminati da dieldrina; predatori come le volpi, i tassi, i gufi, gli allocchi, i barbagianni, le civette, le aquile, sono morti in gran numero per essersi nutriti delle carogne degli uccelli avvelenati. L’incoscienza non può continuare. Già nel 1968 gli USA, che sono i maggiori produttori ed esportatori di pesticidi del mondo, hanno prodotto circa la metà di quanto producevano nel 1963 ed ora si avviano a ridurne progressivamente la produzione e ad abolire l’utilizzo degli insetticidi, così come hanno fatto la Svezia e il Canada. Gli inglesi hanno tenuto a Brighton, nel novembre 1969, una conferenza sugli insetticidi e sui funghicidi e ne è venuta una dura polemica tra minimizzatori del pericolo e liberi ricercatori che avevano individuato la minaccia a carico degli ecosistemi terrestri. Gli interrogativi restano molti; gli esperti della FAO, riuniti a Roma nel dicembre del 1969 hanno passato in rassegna gli elementi disponibili relativi alla tossicità del DDT nei confronti dell’uomo ed hanno riconosciuto che esistono ancora molti dubbi ed interrogativi. Non hanno però potuto negare i gravissimi e irreversibili danni che i pesticidi provocano all’ambiente e quindi, nel tempo lungo, all’uomo.

Ancora una volta si è insistito a Roma sull’uso indispensabile del DDT da parte di alcuni paesi sottosviluppati a causa del suo costo limitato, rilevando che prodotti più costosi (e bisogna dire forse anche più tossici) sarebbero incompatibili con le risorse finanziarie di alcuni paesi. Il solito problema economico usato come parametro sbagliato, quando si tratta del destino stesso dell’umanità e della terra, ormai ridotta ad un common field esausto, a una astronave senza viveri e senza ossigeno.

Automobili, benzina, fertilizzanti

Difficilmente la gente riesce ad avere una dimensione così cosmica del problema, mentre tende a ribellarsi ai fenomeni più macroscopici e più evidenti, anche se con atteggiamenti contrastanti, perché in genere si crede che l’astinenza tecnologica comporti tutta una serie di rinunce a cose, oggetti e consumi che ormai fanno parte della vita quotidiana. Una prima ribellione si incomincia però ad intravvedere: si tratta della ribellione all’automobile e al motore come dimensione non ecologica. Le ragioni sono molte, ma soprattutto di ordine psicologico, essendo l’automobile collegata al concetto di benzina, quindi a quello di petrolio e di raffineria, quest’ultima intesa come mostro di fuoco inquinante. La diffidenza del subconscio nasconde delle ragioni scientifiche ben precise. A Londra per invito della Soil Association, Barry Commoner, professore di botanica alla Washington University, ha fornito, nell’agosto scorso, una suggestiva diagnosi degli scarichi delle automobili 22“Environmental soup”, in “New Scientist”, 43 (661), 7 agosto 1969, p. 267.. Approfondendo i propri studi sullo smog estivo, Commoner ha rilevato che gli scarichi delle automobili contenenti ossidi di azoto vengono attivati dalla luce solare. Questi si combinano con gli idrocarburi incombusti cancerogeni. Un monumento all’ingegneria automobilistica. Gli sforzi compiuti dai costruttori di Detroit per diminuire gli scarichi inquinanti delle automobili con l’utilizzo di sistemi terminali di depurazione nei tubi di scarico, porta a un aumento dell’emissione di ossidi di azoto, i quali si combinano egualmente con residui di idrocarburi provenienti da altre fonti, che non sono necessariamente gli scarichi automobilistici. L’ossido di azoto che non si combina con residui di idrocarburi viene precipitato dalla pioggia sotto forma di nitrato.

In poche parole, se la nostra automobile cessa di produrre smog, diventa una potenziale distributrice di fertilizzanti. Gli uomini hanno prodotto un nuovo fallout: quello del nitrato inorganico, mai fino ad ora conosciuto dalla terra. Nei soli Stati Uniti le automobili provvedono a riversare sui campi non meno di 3 milioni di tonnellate di nitrato all’anno, contro i 9 milioni già cosparsi dai contadini come fertilizzanti. Nel normale ciclo dell’azoto il nitrato viene trattenuto nel suolo sotto forma di complesse molecole organiche.

L’uomo ha grossolanamente alterato questo ciclo, aggiungendo azoto inorganico e sopprimendo la fissazione naturale del nitrato. Il fertilizzante inorganico, cosparso dagli scarichi automobilistici, raggiunge anche i corsi d’acqua e provoca un grave consumo di ossigeno (quel fenomeno conosciuto con il nome di eutrofizzazione), mentre una parte ritorna nell’atmosfera sotto forma di ossido. Azione solare e quindi ricombinazione con alcuni idrocarburi tipici delle zone rurali come i terpeni. Si riforma quindi lo smog anche in campagna.

L’uomo tecnologico ha così scoperto e messo in opera un nuovo pericolosissimo ciclo dell’azoto.

Quando questi dati, uniti al problema dell’accumulo del piombo nell’organismo, alla ventilata possibilità che l’anidride solforosa porti all’alterazione della struttura genetica, come ha riferito il 28 gennaio 1970 Robert Shapiro sul “Journal of the American chemical society”, vengono analizzati nella loro giusta dimensione, si ottiene la chiave per comprendere lo spontaneistico furore di alcune manifestazioni popolari in funzione anti-inquinamento, che si tengono oggi un poco ovunque nelle zone industrializzate d’Italia 23Si ricordino le manifestazioni popolari promosse a Milano al Piccolo Teatro da Italia Nostra contro l’inquinamento da scarichi automobilistici e l’inquinamento industriale (dic. 1969, marzo 1970).. Ma mentre noi siamo fermi alla protesta spontanea e ci dibattiamo davanti alla piovra universitaria, che non lascia spazio all’insegnamento dell’ecologia e delle sue leggi (anche perché in contrasto con l’attuale sistema economico), nei paesi anglosassoni, Inghilterra e Stati Uniti, dove maggiormente si subisce il soffocamento della congestione e dell’inquinamento, si tengono sempre più frequentemente dei teach-in, informali, dove i ricercatori e gli studiosi propagano apertamente le loro idee. Se ne è recentemente tenuto uno a Edimburgo 24Di Fifield, “Behold thy by product”, in “New Scientis”, 45 (693), 19 marzo 1970, pp. 566-567. e un secondo il 22 aprile a New York, quest’ultimo è stato il primo teach-in americano sul problema dell’ambiente, organizzato dal gruppo Friends of the earth.

Come uscire da questa trappola? Negare il sistema? Adottare misure molto più radicali? Le nuove generazioni hanno individuato, nella sopravvivenza dell’ambiente, la sopravvivenza stessa della democrazia e non è da quest’anno solo che a Berkeley si organizzano controcorsi di ecologia. La posizione si va però ulteriormente radicalizzando: è di questi ultimi mesi il bruciamento di automobili ultima-serie, sepolte poi con riti vagamente naturistici lungo le spiagge californiane.

Anche il futuro dell’ecologia passa per la strada della contestazione!

La catabasi dell’ambiente sembra inarrestabile alla luce della funzione che oggi l’uomo assume nella trasformazione della matrice naturale terrestre. Fino al XVI secolo l’uomo ha trovato nella competitività con la natura, in un ambiente ricco di fattori limitanti e di extrametaboliti, nell’utilizzo dello spazio non ancora considerato nella dimensione economica del profitto, una collocazione armonica, improntata ad una sudditanza che trovava nelle leggi naturali il vertice della gerarchia.

Tutta una civiltà impostata sulle leggi del profitto ha capovolto questa situazione. Una condizione da ripristinare, se si vuole evitare la catastrofe.

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