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Dossier “1970” — A cinquant’anni dall’Earth Day, cosa è migliorato e cosa è peggiorato: dieci grandi vittorie ambientali e dieci grandi fallimenti

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[nota della redazione di “altronovecento] L’Earth Day – la Giornata della Terra – indetta per il 22 aprile 1970 e celebrata contemporaneamente in tutti gli Stati Uniti ma anche in molti altri paesi del mondo – fu uno dei grandi avvenimenti che contribuì a fare del 1970 un anno chiave nella storia della cultura e dei movimenti ambientalisti. Il mezzo secolo passato nel frattempo ha costituito una buona occasione per fare un bilancio storico di cosa è cambiato da allora. Vi si sono cimentati Brad Plumer e John Schwartz in un dossier svelto ma ben strutturato pubblicato sul Nyt del 21 aprile 2020. Per quanto il dossier prenda le mosse dalla realtà statunitense, i rimandi alle problematiche globali vi sono costanti e pertinenti e a conti fatti il loro bilancio può adattarsi a ciò che è successo in questi cinquant’anni in gran parte degli altri paesi e nell’ambito delle grandi agenzie planetarie.

“New York Times”, 21 aprile 2020

L’Earth Day compie 50 anni oggi. L’ondata di dimostrazioni che il 22 aprile 1970 coinvolsero tutti gli Stati Uniti non solo ha trasformato le priorità americane, portando a una leggi storiche come il Clean Air Act, ma ha contribuito a plasmare il moderno movimento ambientale globale.

Nell’ultimo mezzo secolo l’inquinamento dell’aria e dell’acqua negli Stati Uniti è crollato, l’aquila calva non è più in pericolo e le leggi ambientali sperimentate in America si sono imposte come un modello per le nazioni di tutto il mondo. Ma da allora altre minacce sono cresciute tra cui il cambiamento climatico, la deforestazione tropicale e una perdita globale di biodiversità impressionante.

Quello che segue è uno sguardo a ciò che è migliorato e a ciò che è peggiorato nei cinque decenni da quando milioni di persone hanno marciato per chiedere un ambiente più pulito e sano.

Indice

1. L’inquinamento delle acque

In meglio. I fiumi americani non sono più sporchi (e non bruciano più)

Nel 1969 presero fuoco dei detriti intrisi di petrolio sul fiume Cuyahoga, vicino a Cleveland. L’incendio era piccolo e si estinse rapidamente ma ebbe importanti conseguenze in quanto divenne un evento galvanizzante per il movimento contro l’inquinamento delle acque che sarebbe stato al centro del primo Earth Day.

In quel periodo i corsi d’acqua del paese erano incredibilmente sporchi e le città, tanto grandi quanto piccole, riversavano le acque reflue nei fiumi senza trattarle. Uno studio determinò che il 90 per cento dei sistemi di acqua potabile di otto aree metropolitane presentava un eccesso di microbi che stavano facendo ammalare le persone a migliaia.

Adam Rome, uno storico dell’Università di Buffalo, ha scritto che “dominava la sensazione che fiumi e laghi fossero divenuti delle fogne”.

Nel 1969 la rivista “Time” colse lo stato delle acque del paese in un articolo che metteva al centro l’incendio del fiume Cuyahoga facendolo diventare una sorta di mito (nonostante che grazie agli sforzi locali all’epoca gli incendi fluviali fossero un fenomeno in via di sparizione).

In breve tempo il Congresso presto prese misure per il risamento. Il Clean Water Act del 1972 impose limiti allo lo scarico dei rifiuti e portò a più di 650 miliardi di dollari di spesa per gli impianti di trattamento. Oggi posti come il porto di Boston, che un tempo era un calderone di sostanze chimiche tossiche, sono tornati ad ospitare spigole, foche e persino balene.

Ma ci sono ancora molti problemi. L’Agenzia per la https://www.epa.gov/nutrient-policy-data/waters-assessed-impaired-due-nutrient-related-causes protezione dell’ambiente continua a classificare una frazione significativa di fiumi e di corsi d’acqua come “compromessi”, anche se in generale i corsi d’acqua della nazione sono significativamente più puliti. E oggi c’è una nuova preoccupazione che riguarda l’acqua: la salute del mare aperto.

In peggio. Gli oceani si riscaldano e diventano più acidi

Nel 1970 l’attenzione era concentrata sui fiumi; oggi la preoccupazione più grande sono gli oceani.

Uno dei motivi principali è il riscaldamento globale, che nel 1970 era a malapena percepito. Negli ultimi decenni le temperature oceaniche sono aumentate in modo vertiginoso, a causa dell’aumento dei gas serra che intrappolano il calore rilasciato dai mezzi di trasporto e dalle centrali elettriche. Molte delle barriere coralline più ricche, tra cui la Grande Barriera Corallina al largo delle coste australiane, tendono sempre più di frequente a scomparire.

C’è una grande quantità di prove che non esistevano al tempo del primo Earth Day che il cambiamento climatico sta mettendo in pericolo ampie porzioni della vita del mare. All’inizio degli anni 2000, gli scienziati si sono resi conto che le emissioni di anidride carbonica derivanti dall’attività industriale avrebbero reso gli oceani pericolosamente più acidi, gettando gli ecosistemi nel caos.

Le popolazioni ittiche sono in declino in molte parti del mondo mentre le acque si riscaldano. Ciò, se combinato con pratiche di pesca insostenibili, potrebbe minacciare l’approvvigionamento alimentare e interi sistemi di sussistenza.

Dopo l’Earth Day ambientalisti e responsabili politici hanno concluso che gli sforzi locali erano insufficienti per disinquinare i fiumi e i laghi americani. Oggi, allo stesso modo, gli esperti sostengono che nessun singolo paese da solo può risolvere i problemi degli oceani. Al contrario, le nazioni devono lavorare insieme per limitare l’inquinamento da plastica, frenare la pesca eccessiva e ridurre le emissioni di gas a effetto serra per ridurre la pressione sulla vita del mare.

2. L’inquinamento delle acque

In meglio. L’aria americana è più pulita

Avete presenti le foto che vediamo oggi dell’aria inquinata sopra le città dell’India e dell’Europa orientale? Era così anche negli Stati Uniti: un inquinamento talmente denso da oscurail sole.

Negli anni ’40 Pittsburgh era così scura che i lampioni dovevano essere lasciati accesi anche di giorno e a New York nel corso degli anni Sessanta le morti per enfisema erano aumentate del 500 per cento. L’inquinamento atmosferico venne sempre più considerato un fattore chiave. “Sul tavolo dell’autopsia lo si vede benissimo” disse all’epoca un medico legale della città https://www.nytimes.com/1970/03/12/archives/500-rise-in-emphysema-mortality-rate-in-last-decade-reported-for.html “la persona che ha trascorso la sua vita negli Adirondacks ha dei bei polmoni rosa mentre quelli degli abitanti della città sono neri come il carbone”.

Pochi mesi dopo il primo Earth Day il Congresso approvò il Clean Air Act, una delle leggi ambientali di più vasta portata nella storia americana e parte di una serie di iniziative governative comprendenti la creazione dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente.

Da allora, la qualità dell’aria negli Stati Uniti è migliorata enormemente, una circostanza che ha costituito una vera e propria manna per la salute pubblica. Le centrali elettriche e le fabbriche hanno dovuto adottare filtri e altre tecniche per ripulire le emissioni. E se le case automobilistiche inizialmente hanno resistito, alla fine hanno accettato di installare tecnologie come le marmitte catalitiche.

Oggi le auto sono più pulite, le piogge acide non si sa quasi più cosa siano. L’Agenzia per la protezione dell’ambiente stima che centinaia di migliaia di vite siano state salvate solo nel 2020 grazie al Clean Air Act. E anche se i gruppi industriali sostenevano all’inizio che le normative avrebbero imposto degli oneri paralizzanti, i costi di adeguamento non hanno impedito all’economia di crescere.

Nonostante tutto questo l’Agenzia per la protezione dell’ambiente dice che più di 110 milioni di americani vivono ancora oggi in contee fortemente inquinate e che dal 2016 l’inquinamento da particolato è iniziato a ricomparire.

In peggio. Nelle altre parti del mondo non va altrettanto bene

Se negli Stati Uniti, almeno per quanto riguarda l’aria, le cose sono migliorate in Cina, India e altri paesi in via di sviluppo sono invece peggiorate.

Un importante elemento di contesto del primo Earth Day è che nel 1970 grazie a decenni di crescita economica molti americani erano diventati abbastanza sicuri dal punto di vista finanziario per potersi concentrare sulla riduzione dell’inquinamento causato dal progresso industriale.

Affinché in altri paesi l’opinione pubblica acquisisse questa consapevolezza ci è voluto più tempo.

In Cina, ad esempio, che a partire dagli anni Novanta ha costruito diverse centinaia di centrali a carbone l’inquinamento atmosferico sta riducendo l’aspettativa di vita in media di circa tre anni. A Nuova Delhi, nel 2019 l’aria ha raggiunto un livello tale di inquinamento che le autorità hanno dichiarato l’emergenza chiudendo le scuole e distribuendo milioni di mascherine. In Polonia, le auto e le centrali a carbone ormai invecchiate stanno intrappolando le città in una cappa di smog.

A dispetto di alcuni segnali di cambiamento – la Cina ha iniziato a limitare i veicoli e le centrali a carbone in città come Pechino, l’India sta investendo molto nell’energia solare – c’è ancora molta strada da fare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che l’inquinamento atmosferico causi circa 7 milioni di morti premature all’anno in tutto il mondo, un numero maggiore, cioè, di quelle di AIDS, malaria e tubercolosi combinate.

3. Le energie fossili, e in specie il petrolio

In meglio. Le fuoriuscite di petrolio sono più rare (anche se a volte ancora grandi)

Il petrolio è stato sin dall’inizio un affare sporco.

L’immenso pozzo inaugurato nel 1901, all’alba dell’era del petrolio, a Spindletop, nel Texas, creò un pasticcio così diffuso che “la campagna e le colture per chilometri intorno erano coperte da una coltre di petrolio”, come scrisse Stephen Harrigan in Big Wonderful Thing: A History of Texas. Ma i baroni del petrolio non erano degli ambientalisti e la nazione aveva fame di energia.

Tuttavia nel 1969 un’esplosione al largo della costa di Santa Barbara modificò completamente il quadro, imbrattando 35 miglia di costa della California, scatenando l’indignazione nazionale e operando da catalizzatore per il primo Earth Day. Il disastro contribuì a favorire tanto l’approvazione di decine di leggi ambientali statali e federali quanto le limitazioni alle trivellazioni offshore.

Nonostante tutto ciò abbiamo assistito ad altri terribili incidenti tra cui la fuoriuscita di petrolio della Exxon Valdez a Prince William Sound, Alaska, nel 1989, e il disastro di https://www.nytimes.com/2010/04/22/us/22rig.html Deepwater Horizon nel Golfo del Messico 10 anni fa. Nel complesso, tuttavia, il numero annuo e il volume delle fuoriuscite di petrolio hanno mostrato un calo e in alcuni casi drastici cali, come afferma un rapporto del Congressional Research Service del 2017.

In peggio. Ma gli esseri umani rimangono dipendenti dal petrolio

All’epoca ciò che catalizzò l’attenzione fu un caso di fuoriuscita di petrolio mentre oggi essa è concentrata sulla crisi climatica e tra il 1970 e il 2018 l’uso globale di combustibili fossili come carbone, petrolio e gas naturale è più che raddoppiato.

Se da un lato tale forma di energia ha contribuito a sollevare più di un miliardo di persone dalla povertà, la combustione di combustibili fossili rilascia anidride carbonica, un gas serra che sta riscaldando il pianeta, una minaccia che al tempo del primo Earth Day era molto poco percepita e apprezzata.

Gli scienziati sanno in realtà fin dal XIX secolo che i cambiamenti nei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera possono causare il riscaldamento planetario. Da allora le prove scientifiche hanno confermato ampiamente che le attività umane e in particolare la combustione di combustibili fossili stanno riscaldando il pianeta. “Sta già accadendo ora”, disse anzi nel 1988 lo scienziato della NASA James Hansen davanti al Congresso.

La Terra in effetti si è già riscaldata di circa 1 grado dagli albori dell’era industriale, e si riscalderà ulteriormente a meno che le nazioni non riducano l’aumento delle emissioni e alla fine non le diminuiscano. Ciò vuol dire che è necessario trovare delle alternative ai combustibili fossili come il petrolio.

Se non ci dovesse riuscire lo scenario diverrà cupo. Il gruppo scientifico delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico ha dichiarato nel 2018 che, senza un’azione decisa, sempre più milioni di persone in tutto il mondo potrebbero presto essere esposte a ondate di calore potenzialmente letali, carenze idriche e inondazioni costiere.

4. L’ascesa delle energie rinnovabili

In meglio. Le energie rinnovabili sono diventate improvvisamente un buon affare

Grazie ai loro prezzi decrescenti negli ultimi anni le fonti di energia rinnovabile e in particolare le turbine eoliche e i pannelli solari sono diventate alternative credibili ai combustibili fossili.

Ciò ha prodotto già un risultato importante: alcuni ora dicono che il cambiamento climatico potrebbe non essere un problema così intrattabile come una volta sembrava. Al Gore, l’ex vice-presidente che da anni cerca di attirare l’attenzione sul cambiamento climatico, nel 2015 ha dichiarato che l’improvvisa redditività delle energie rinnovabili gli aveva infuso un nuovo ottimismo: “penso – ha scritto – che la maggior parte delle persone siano state sorprese, persino scioccate, dalla rapidità con cui il costo è sceso”.

Rispetto a 50 anni fa è un bel cambiamento. All’epoca le opzioni energetiche erano in gran parte limitate ai combustibili fossili, alla costruzione di centrali nucleari o alla realizzazione di immensi progetti idroelettrici. Queste ultime due opzioni erano spesso al centro di polemiche, basti pensare al caso di Three Mile Island o alle dure lotte contro i progetti di dighe destinare a sommergere intere comunità.

Al tempo del primo Earth Day il vento e il solare erano considerate tecnologie di frontiera. Solo dopo le crisi petrolifere degli anni Settanta i responsabili politici hanno iniziato a promuovere seriamente le energie rinnovabili, e questi sforzi hanno richiesto decenni per decollare: nel 1979, il presidente Jimmy Carter installò 32 pannelli solari sul tetto della Casa Bianca per riscaldare l’acqua e due anni dopo Ronald Reagan ordinò la loro rimozione.

Oggi, sia l’energia eolica che il solare sono sulla cresta dell’onda.

Il costo dei pannelli solari è diminuito di oltre il 99 per cento dal 1975 e in alcune regioni è diventato più economico costruire centrali eoliche o solari nuove che non continuare a far funzionare le centrali a carbone esistenti. Il solare e l’eolico hanno fornito il 6 per cento dell’elettricità mondiale nel 2017 e stanno crescendo a tassi annuali a due cifre.

In peggio. L’energia pulita non sta ancora crescendo abbastanza velocemente

Se è vero che le turbine eoliche, i pannelli solari e le auto elettriche stanno guadagnando un consenso sempre più ampio la loro crescita non è però sufficientemente rapida da rompere la dipendenza dell’umanità dai combustibili fossili.

Affrontare vittoriosamente il cambiamento climatico resta una sfida erculea e il mondo non vi è ancora vicino.

Gli scienziati affermano che per raggiungere l’obiettivo fissato dai governi del mondo di contenere il riscaldamento globale totale al di sotto dei 2 gradi le emissioni di gas a effetto serra da carbone, petrolio e gas naturale dovranno raggiungere il picco entro un decennio e poi diminuire rapidamente a zero ben prima della fine del secolo. Ma l’Agenzia internazionale dell’energia ha recentemente affermato che al ritmo attuale dei consumi le emissioni sono destinate ad aumentare per altri 20 anni.

La crescita delle energie rinnovabili, peraltro, è in qualche modo compensata dal declino dell’energia nucleare mentre la domanda globale di energia continua a crescere rapidamente, in particolare nelle economie emergenti. Ciò significa che l’uso di combustibili fossili ha continuato a crescere per colmare il divario.

Per raggiungere gli obiettivi climatici globali, dicono gli esperti, la maggior parte dei paesi dovrebbe impostare politiche molto più decise come la tassazione delle emissioni di biossido di carbonio, maggiori investimenti nelle energie pulite e nell’efficienza e la riduzione delle perdite di metano nell’atmosfera.

Certo, ci sono stati dei passi in avanti. L’Unione europea e la California, ad esempio, hanno fissato obiettivi di emissioni nette pari a zero entro il 2050 ma la Cina, il più grande emettitore del mondo, resiste alla fissazione di una data per le emissioni zero. E negli Stati Uniti, la seconda fonte mondiale di inquinamento da carbonio, l’amministrazione Trump ha sconfessato le iniziative sul cambiamento climatico delle amministrazioni precedenti.

5. Gli inquinanti chimici

In meglio. Addio, DDT

Nel 1962 venne pubblicato il bestseller Silent Spring di Rachel Carson, una delle grandi pioniere dell’ambientalismo, che evidenziava la pericolosità globale di pesticidi come il DDT. Le aziende chimiche l’attaccarono ma il suo lavoro contribuì a ispirare il primo Earth Day: gli organizzatori chiesero che il DDT fosse vietato, come pure che venisse eliminato il piombo dalla vernice e dalla benzina. L’uso del piombo era comune all’epoca, per quanto non esistesse un livello sicuro di esposizione e i bambini fossero particolarmente vulnerabili. https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/lead-poisoning-and-health

Nel 1972 la nuova Agenzia per la protezione ambientale – l’E.P.A. – proibì il DDT e un anno dopo annunciò una normativa per eliminare gradualmente il piombo dalla benzina. Il governo in https://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/su6104a1.htm seguito si occupò di altre forme di inquinamento chimico vietando la vendita di vernice al piombo nel 1978 e l’utilizzo di piombo negli impianti idraulici nel 1986.

Queste iniziative hanno funzionato: tra la fine degli anni Settanta e il 2016 il livello di piombo nel sangue della maggior parte degli americani è sceso di quasi il 94 per cento.

Ciononostante in alcune parti degli Stati Uniti il piombo nell’acqua potabile continua ad essere una minaccia a causa di vecchi tubi ancora in uso. A Flint, nel Michigan, alcuni campioni hanno mostrato https://www.nrdc.org/flint cento volte il livello stabilito dall’E.P.A. mentre picchi analoghi si sono verificati a Washington e https://www.nytimes.com/2019/08/24/nyregion/newark-lead-water-crisis.html Newark, nel New Jersey.

In peggio. Benvenuti, nuovi rischi chimici per la salute

Questi primi successi sono stati seguiti da infinite discussioni su diverse altre sostanze chimiche e sulla necessità di limitarle o meno.

Nel 1976 Congresso approvò il Toxic Substances Control Act nel 1976 e il presidente Ford dichiarò che questa legge avrebbe fornito “ampia autorità discrezionale per proteggere la salute e l’ambiente”. Grazie ad essa nel corso degli anni l’E.P.A. ha realizzato una base di dati comprendente 85.000 sostanze chimiche in commercio. Non tutte queste sostanze, naturalmente, sono pericolose. Ma sostanze chimiche tossiche molto note come il cloruro di metilene, un prodotto sverniciante collegato a decine di morti, e il TCE, uno sgrassatore associato al cancro, sono state oggetto di aspri scontri tra istituzioni pubbliche e industria riguardo alla limitazione del loro uso.

Perché questo progresso così lento? Per due motivi, soprattutto: da un lato la legge ha fornito poco potere all’E.P.A. e da un altro lato i tribunali sono riusciti nel corso del tempo a indebolire ulteriormente l’agenzia. Per fare un esempio tra i più noti, due anni dopo che, nel 1989, le autorità di https://www.nytimes.com/1989/07/07/us/epa-to-ban-virtually-all-asbestos-products-by-96.html regolamentazione avevano vietato la maggior parte dei prodotti che contenevano amianto una corte d’appello federale ha annullato gran parte della normativa.

Nel 2016 il Congresso ha inasprito la legge approvando i nuovi requisiti mediante i quali l’E.P.A. valuta le sostanze chimiche non testate ma sotto il presidente Trump l’E.P.A. ha rinviato l’applicazione di divieti a lungo richiesti su tre sostanze chimiche utilizzate nei prodotti di consumo e collegate a decessi per inalazione, al cancro e alla comparsa di difetti congeniti.

L’amministrazione Trump ha inoltre indebolito una proposta di normativa per il disinquinamento dell’acqua potabile inquinata con le sostanze chimiche comunemente note come PFAS e ha respinto il parere degli esperti di sicurezza chimica che nella precedente amministrazione avevano raccomandato di vietare l’uso commerciale dell’insetticida clorpirifos. E, si noti, queste sono solo due delle quasi cento delegiferazioni ambientali attuate da Trump.

6. Biodiversità, tra salvaguardia ed estinzione

In meglio. L’aquila calva svetta di nuovo

Ai tempi del primo Earth Day le popolazioni di condor californiano, di aquila calva e di lama della Florida stavano diminuendo drammaticamente. Nel 1967, per la prima volta, il Dipartimento degli Interni aveva designato ufficialmente 78 specie di uccelli, pesci e mammiferi come “in pericolo”, anche se non gli era stato dato il potere di proteggerle.

Uno dei principali lasciti del primo Earth Day è stato il rafforzamento dell’Endangered Species Act: nel 1973, il Congresso ampliò drasticamente la portata e l’efficacia della legge, dando al governo più potere di limitare le attività che avrebbero potuto danneggiare le specie a rischio.

La nuova normativa ha ottenuto risultati sorprendenti: più di 1.700 piante e animali sono stati protetti dalla legge e per circa https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6482936/ il 99 per cento di essi è stata evitata l’estinzione. L’aquila calva è cresciuta in modo impressionante nei 48 stati stati “contigui” (escluse quindi Alaska e Hawaii), passando da solo 487 coppie nidificanti negli anni Sessanta a più di 11.000 nel 2007, anche questo risultato deve molto anche al bando del DDT. Gli orsi grizzly, i lupi grigi, le gru americane e le lontre marine della California sono tutti aumentati di numero da quando sono state protette.

Ma il quadro non è compattamente roseo.

I critici sottolineano ad esempio che sono meno di 50 le specie elencate nell’atto che si sono riprese al punto da non aver più bisogno di protezione. Inoltre gruppi industriali e di proprietari terrieri hanno insistono nel sostenere che la legge impone loro costi irragionevoli mentre l’amministrazione Trump e alcuni repubblicani al Congresso hanno fatto pressione per rivedere l’atto, sostenendo che limita indebitamente l’allevamento, il disboscamento e le trivellazioni petrolifere. Al tempo stesso in attesa di una decisione più volte dilazionata se meritassero protezione o meno decine di specie si sono estinte.

In peggio. Incombe una crisi di estinzione

Nonostante i successi nel salvare dall’estinzione singole specie come la gru americana il mondo sta sperimentando una perdita accelerata di habitat naturali.

Gli scienziati avvertono che ben https://www.nytimes.com/2019/05/06/climate/biodiversity-extinction-united-nations.html un milione di specie vegetali e animali potrebbero andare incontro all’estinzione in tutto il mondo nei decenni a venire a causa dell’agricoltura in continua espansione, dell’allevamento, del disboscamento, della caccia, della pesca e dell’estrazione mineraria.

Il Wwf stima che dal 1970 la dimensione media di migliaia di popolazioni di fauna selvatica si è ridotta di circa il 60 per cento. In Indonesia, la sostituzione della foresta pluviale con piantagioni di olio di palma ha devastato l’habitat degli oranghi e delle tigri di Sumatra. In Mozambico, i bracconieri d’avorio hanno contribuito a uccidere quasi 7.000 elefanti solo tra il 2009 e il 2011.

Oltre a tutto questo è emersa una nuova minaccia: il riscaldamento globale sta modificando i climi locali in cui varie creature e piante si sono evolute per sopravvivere.

L’anno scorso, un ampio studio delle Nazioni Unite ha messo in guardia sul fatto che a meno che le nazioni non intensifichino i loro sforzi per proteggere gli habitat naturali rimasti almeno relativamente integri, si potrebbe assistere alla scomparsa del 40 per cento delle specie di anfibi, di un terzo dei mammiferi marini e di un terzo dei coralli che formano la barriera corallina. Gli autori di tale relazione hanno osservato che il rischio per la biodiversità è diventato così grande che sforzi frammentati per proteggere le singole specie potrebbero non essere più sufficienti. Essi hanno domandato dei “cambi strutturali” comprendenti la riduzione dei consumi, quella dell’impronta ambientale dell’agricoltura e la repressione del disboscamento e della pesca illegali.

7. Aree protette vs deforestazione

In meglio. Le conserve naturali sono spuntate ovunque

In questi cinquant’anni si sono moltiplicati nel mondo intero gli sforzi per creare vaste aree protette.

Nazioni come il Costa Rica e il Kenya hanno capito che i rifugi della fauna selvatica possono divenire attrazioni turistiche produttrici di reddito. A partire dalla stipula della Convenzione sulla diversità biologica nel 1992 168 paesi hanno promesso impegnarsi maggiormente e anche grazie a questo maggiore sforzo oggi più del 15 per cento della superficie terrestre planetaria e più del 7 per cento degli oceani sono tutelati mediante aree protette.

Al tempo stesso alcuni paesi sono riusciti a rinaturalizzare paesaggi degradati. Dal 1990 in Europa le aree boschive sono aumentate di oltre 90.000 chilometri quadrati, un’area delle dimensioni del Portogallo. Negli ultimi decenni la Cina ha intrapreso una grande campagna di rimboschimento. Le immagini satellitari mostrano che dal 1982 il mondo ha visto un https://phys.org/news/2018-08-global-forest-loss-years-offset.html netto aumento della copertura forestale.

Nel corso di quest’anno le nazioni del mondo intendono aggiornare la Convenzione sulla diversità biologica. Gli esperti avvertono che per evitare una crisi di estinzione è necessario espandere notevolmente le aree protette. Questo potrebbe significare riservare https://www.nationalgeographic.com/environment/2019/01/conservation-groups-call-for-protecting-30-percent-earth-2030/ per la natura il 30 per cento o https://www.smithsonianmag.com/science-nature/can-world-really-set-aside-half-planet-wildlife-180952379/ addirittura la metà della Terra, per quanto sia chiaro che qualsiasi cosa che si avvicinasse lontanamente a quella scala porrebbe grandi sfide: cosa dire, ad esempio, delle persone che dipendono da quelle terre per il loro sostentamento?

Nel frattempo i rimboschimenti in atto non sono in sé sempre del tutto positivi: alcune delle nuove foreste piantate negli ultimi anni hanno una biodiversità molto inferiore rispetto alle foreste di vecchia crescita mentre in alcune altre aree le foreste si stanno espandendo perché il riscaldamento globale ha permesso agli alberi di crescere in luoghi dove prima non potevano.

E, naturalmente, le foreste pluviali tropicali continuano a contrarsi rapidamente.

In peggio. Bulldozer e incendi stanno distruggendo le foreste tropicali

Le foreste tropicali ospitano infatti almeno la metà di tutte le specie sulla Terra, sono fondamentali per regolare il clima del pianeta e vengono abbattute a un ritmo drammatico.

Nel solo 2018 ne sono https://www.nytimes.com/2019/04/25/climate/tropical-forest-deforestation.html stati persi circa 121.000 chilometri quadrati, in leggero calo rispetto alle perdite del 2016 e del 2017, e gli sforzi per rallentare questo andamento hanno avuto esiti contraddittori.

Nell’Amazzonia brasiliana, la deforestazione http://www.sciencemag.org/content/344/6188/1118 – aff-1 è diminuita del 70 per cento tra il 2005 e il 2014, quando i governi hanno inasprito i controlli e gli agricoltori hanno trovato il modo di aumentare le rese senza dover liberare più terra. E dal 2016, l’Indonesia ha lavorato per rallentare https://www.nytimes.com/2018/06/27/climate/tropical-trees-deforestation.html la diffusione dell’olio di palma e delle piantagioni di carta.

Ma queste conquiste mostrano da tempo segni di erosione. Il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, si è impegnato ad aprire maggiormente l’Amazzonia al business e la deforestazione è di https://www.nytimes.com/2019/07/28/world/americas/brazil-deforestation-amazon-bolsonaro.html nuovo in aumento. I recenti provvedimenti di tutela forestale presi in Indonesia sono stati compensati da una perdita accelerata di superficie boschiva in Ghana, Costa d’Avorio e altrove.

Gli scienziati dicono che sarà estremamente difficile mettere sotto controllo il riscaldamento globale se non si limita la perdita di foreste tropicali. Gli alberi captano dall’aria l’anidride carbonica e la immagazzinano nel legno e nel terreno. Tagliare e bruciare gli alberi rilascia al contrario quel carbonio e accelera il riscaldamento del pianeta. Si è stimato che la deforestazione tropicale crea ogni anno più emissioni di quante ne emetta l’intera Unione europea.

Alcuni paesi come la Norvegia e il Giappone hanno offerto alle nazioni tropicali miliardi di dollari per preservare le loro foreste ma i progressi sono stati limitati. “Stiamo cercando di domare un incendio di casa con un cucchiaino” ha detto nel 2018 Frances Seymour, ricercatore presso il World Resources Institute.

8. L’atmosfera minacciata

In meglio. Ricordate il buco dell’ozono? Sta guarendo

Quattro anni dopo il primo Earth Day gli scienziati avvisarono di una nuova minaccia per il pianeta, stavolta proveniente dagli spray per capelli. I gas rilasciati dagli aerosol stavano infatti per esaurire lo strato di ozono che avvolge il pianeta e protegge dalle radiazioni ultraviolette che possono contribuire al cancro della pelle e danneggiare le colture.

Nel 1977 il governo degli Stati Uniti vietò le sostanze chimiche contenute negli spray ma naturalmente le minacce allo strato di ozono non si trovavano solo nelle bombolette di aerosol: c’erano ad esempio anche i clorofluorocarburi, presenti in condizionatori d’aria, frigoriferi e anche altrove. I divieti riguardanti le bombolette spray non erano quindi sufficienti, e tra l’altro nel 1985 i ricercatori avevano scoperto un “buco” nello strato di ozono. Il convergere di questi elementi ha prodotto uno dei grandi momenti di unità ambientale globale: il Protocollo di Montreal, firmato nel 1987 per eliminare gradualmente i CFC.

Il trattato ha in gran parte funzionato e nel 2018, la NASA ha dichiarato, sulla base di anni di controlli satellitari, che esso ha prodotto una forte diminuzione dell’esaurimento dell’ozono.

La ripresa, tuttavia, è lenta. “Pensate allo strato di ozono come a un paziente ancora malato” ha detto in un’intervista del 2016 Susan Solomon, una chimica dell’atmosfera presso il Massachusetts Institute of Technology. La guarigione richiede anni in quanto le molecole presenti nell’atmosfera si rompono lentamente.

E il trattato non viene sempre rispettato. Il monitoraggio nel 2013 ha mostrato infatti che i progressi stavano rallentando in quanto le fabbriche cinesi erano probabilmente tornate a produrre una maggiore quantità di CFC. Ma l’anno seguente i numeri sono di nuovo calati suggerendo che la Cina aveva forzato una riduzione della produzione.

In peggio. Ma la stessa correzione non funzionerà per il cambiamento climatico

Se le nazioni hanno dimostrato di sapersi accordare per riparare il buco nello strato di ozono perché non sono in grado di fare lo stesso per il cambiamento climatico? In altre parole, perché non far accettare a tutti i paesi di eliminare gradualmente i gas serra che stanno riscaldando il pianeta, proprio come hanno fatto con i CFC che stavano creando un grande buco nell’ozono?

In una certa misura questo è proprio quanto ha cercato di fare l’accordo sul clima adottato a Parigi nel 2015 ma bisogna tenere presente che ci sono differenze fondamentali. A differenza del precedente trattato sull’ozono che ha fissato scadenze obbligatorie per ogni paese, l’accordo di Parigi sul clima consente alle nazioni di procedere in modo autonomo mediante l’adozione di obiettivi volontari. Può avvenire così che mentre alcune nazioni non riescono nemmeno a rispettare i modesti impegni che si sono dati, il presidente degli Stati Uniti Trump sta ritirando il proprio paese dall’accordo.

D’altro canto eliminare gradualmente i gas a effetto serra è un’impresa molto più complicata. Quando le nazioni sono state infatti pronte a vietare i CFC erano già disponibili dei sostituti, cosa che ha permesso alle aziende di effettuare delle sostituzioni relativamente facili. Al contrario, la dismissione dei combustibili fossili richiederà la trasformazione del modo in cui produciamo elettricità e trasportiamo persone e merci in tutto il mondo. Significherà cambiare il modo in cui alleviamo, mangiamo,ci vestiamo, produciamo le cose e altro ancora.

Non esiste una soluzione tecnologica semplice: sarà l’economia globale nel suo complesso ad aver bisogno di un ripensamento.

9. La grande questione delle risorse alimentari

In meglio. La gente temeva la fame di massa. Non è successo.

Uno degli avvertimenti più ripetuti degli anni Settanta era che nel mondo c’erano troppe persone e non abbastanza cibo. Un libro ampiamente letto come The Population’s Bomb metteva in guarda su questo problema come una potenziale minaccia alla sopravvivenza della civiltà.

Le cose non sono andate in quel modo: dal 1970 la popolazione mondiale è più che raddoppiata, raggiungendo i 7,8 miliardi di persone ma al contempo la quota di persone che vivono in condizioni di estrema povertà https://ourworldindata.org/extreme-poverty è crollata.

Come ha fatto il mondo ad evitare la carestia di massa che in tanti attorno al 1970 preannunciavano?

Una mano l’ha data la tecnologia. I ricercatori hanno sviluppato colture ad alto rendimento cosicché gli agricoltori di oggi possono coltivare in media più del doppio di https://ourworldindata.org/crop-yields mais, riso e grano su una determinata area di terreno rispetto al 1970.

Ma anche la crescita demografica è rallentata. Negli anni Sessanta la popolazione mondiale aumentava di circa il 2% all’anno. Ma man mano che le società si fanno più ricche e più istruite, le persone tendono ad avere meno figli. Oggi, il tasso di crescita è di circa l’1% all’anno ed è ulteriormente in calo.

Non tutte le paure dell’epoca erano infondate in quanto con l’aumento della popolazione gli ambienti naturali sono sottoposti a stress e il pianeta viene riscaldato a un ritmo pericoloso, ma ciò che si è modificato radicalmente è il dibattito pubblico sull’argomento. Cinquant’anni fa, c’era un allarme generale sulla crescita della popolazione che condusse a campagne di sterilizzazione e ad altre politiche quanto meno discutibili. Oggi, al contrario, all’interno del discorso ambientale questa questione non si pone quasi più.

In peggio. Ma le risorse sono limitate. Da dove viene il cibo?

L’Onu prevede che entro il 2050 il mondo ospiterà quasi 10 miliardi di persone rispetto ai “soli” 7,8 miliardi di oggi cosicché una delle grandi sfide del secolo sarà quella di continuare a nutrire tutti senza danneggiare ulteriormente la natura. Un compito arduo.

Già ora la produzione alimentare globale occupa circa la metà di tutta la terra abitabile, genera circa un quarto delle emissioni di gas serra dell’umanità ed è un fattore importante del declino della biodiversità. Se gli agricoltori continueranno a soddisfare la crescente domanda eliminando le foreste e altri ecosistemi come hanno fatto finora ne verrebbe trasformata un’area grande il doppio dell’India e ciò potrebbe a sua volta rendere impossibile tenere sotto controllo il cambiamento climatico. A complicare ulteriormente le cose, è previsto che il riscaldamento globale metta sotto pressione le colture e riduca https://www.nytimes.com/interactive/2019/08/06/climate/world-water-stress.html l’approvvigionamento idrico in molti paesi.

Un recente studio del World Resources Institute ha determinato che è tecnicamente possibile per il mondo continuare a nutrire tutti entro il 2050 senza produrre una distruzione ecologica generalizzata ma questo richiederebbe un cambiamento radicale nelle pratiche agricole, cambiamento che coinvolge tutto, dallo sviluppo di nuove tecnologie alla riduzione dello spreco di cibo (attualmente negli Stati Uniti viene sprecato circa un terzo dell’approvvigionamento alimentare).

10. Successi e insuccessi dell’ambientalismo

In meglio. L’ambientalismo è ora nel DNA della politica statunitense

Il primo Earth Day è stato un momento decisivo nella storia statunitense: vi presero parte venti milioni di persone, all’epoca circa un cittadino su dieci.

Gli eredi odierni dell’Earth Day si possono vedere nelle proteste contro le infrastrutture di combustibili fossili come il Dakota Access Pipeline a Standing Rock, o nel sostegno a persone come https://www.nytimes.com/2019/02/18/climate/greta-thunburg.html?rref=collection%2Fbyline%2Fsomini-sengupta&action=click&contentCollection=undefined&region=stream&module=stream_unit&version=search&contentPlacement=1&pgtype=collection Greta Thunberg, l’adolescente svedese che lo scorso settembre ha contribuito a ispirare milioni di persone a marciare in tutto il mondo per protestare contro il cambiamento climatico.

L’anno scorso il Pew Research Center ha riferito che quasi il 70 per cento degli americani ha detto che il governo non stava facendo abbastanza per proteggere la qualità dell’acqua di laghi, fiumi e corsi d’acqua, o per proteggere la qualità dell’aria e quest’anno ha rilevato che per la prima volta in due decenni la maggioranza degli americani riteneva che affrontare il cambiamento climatico dovesse essere una priorità assoluta per il presidente e per il Congresso, con un aumento di 14 punti rispetto a soli quattro anni fa.

In peggio. Ma sembra che siamo più divisi che mai

D’altro canto se negli anni Settanta l’ambientalismo era prevalentemente bipartisan e democratici e repubblicani lavorarono insieme per creare il Clean Water Act, il Clean Air Act e l’E.P.A. oggi questo tipo di lavoro di squadra sembra quasi impensabile. Mentre la ricerca di Pew mostra che l’interesse degli elettori per le questioni climatiche e ambientali è in aumento essa rivela anche una spaccatura sorprendente: più del 75 per cento dei democratici ha definito il cambiamento climatico una priorità politica assoluta, mentre meno del 25 per cento dei repubblicani lo ha fatto.

Nel corso degli anni le compagnie di combustibili fossili e i grandi donatori hanno finanziato campagne di negazione delle prove schiaccianti per il cambiamento climatico e il loro messaggio ha avuto successo sia presso i politici conservatori che presso gli elettori. L’amministrazione Trump sta cercando ora di smantellare le normative in materia di cambiamenti climatici e le maggiori normative ambientali.

Tuttavia, alcuni segnali testimoniano che la frattura non è così insanabile come sembra.

Fonti di energia rinnovabile come l’energia eolica e solare sono state adottate negli stati dominati dai repubblicani. I disastri indotti dal cambiamento climatico come le inondazioni e gli incendi stanno costringendo i politici ad affrontare la realtà del riscaldamento globale e gli elettori ne stanno prendendo nota: secondo il Programma Yale sulle comunicazioni per i cambiamenti climatici, la maggior parte delle persone intervistate in ogni distretto del Congresso del paese concorda sul fatto che il cambiamento climatico esiste.

Ma forse la ragione più semplice per pensare che il divario potrebbe ridursi riguarda le giovani generazioni. Secondo una rilevazione di Pew dell’anno scorso circa il 52 per cento dei repubblicani tra i 18 e i 38 anni ritengono che il governo stia facendo troppo poco sul clima, il che fa della questione una bomba a https://www.nytimes.com/2019/08/02/climate/climate-change-republicans.html orologeria elettorale per il partito.

Se tutto questo sia in grado di portare a una rinascita dell’ambientalismo bipartisan è ancora da vedere. Al momento quel che si può supporre è che la pandemia da coronavirus potrebbe rimodellare per un certo https://www.nytimes.com/2020/03/06/climate/covid-19-climate-change.html https://www.nytimes.com/2020/03/06/climate/covid-19-climate-change.html tempo le priorità nazionali. Ma anche quando questa emergenza sarà passata rimarrà sicuramente il fatto che stiamo riscaldando il pianeta e che senza un’azione decisa la crisi peggiorerà.

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