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Le mosche ci difendono
“l’Unità”, rubrica “Problemi di medicina”, 20 luglio 1970.
I detersivi biologici hanno fatto conoscere anche a tutti i profani la parola “enzimi”: difatti in questi detersivi, oltre ad altre sostanze, sono contenute anche delle sostanze chimiche che si ottengono da particolari microbi e che sciolgono il sangue o il latte o i grassi. Ma l’industria produttrice di detersivi non è la sola a valersi delle coltivazioni di microbi come di laboratori chimici che preparano sostanze preziose: l’industria tessile si serve di enzimi per togliere la colla, l’industria della carta si serve di enzimi per lavorare la cellulosa, l’industria conciaria si serve di enzimi per pulire i pellami. Si usano enzimi per la preparazione della birra, del vino, delle marmellate; e questi usi tradizionali si aggiungono all’impiego di enzimi nella preparazione del formaggio, del pane, degli sciroppi e di certe preparazioni della carne. Anche in quelle industrie in cui per il passato ci si serviva degli enzimi ricavati dai tessuti di altri organismi, oggi si cerca di introdurre l’enzima prodotto dai microbi: così il caglio, che si prelevava dallo stomaco dei mammiferi per preparare il formaggio dal latte, oggi viene anch’esso sostituito da enzimi di origine microbica.
Ma che cosa sono gli enzimi? 1Un buon testo di divulgazione sull’argomento è Gli enzimi, agenti di vita, di David M. Locke, Garzanti editore. Sono dei catalizzatori, cioè sostanze che rendono possibili reazioni chimiche degli organismi viventi: essi entrano in una reazione chimica rendendola possibile e ne escono pronti a proseguire il loro lavoro, così come un uovo da rammendo – al tempo in cui le calze si rammendavano – entrava in una calza, rendeva possibile l’opera della rammendatrice e, poi, era di nuovo disponibile per un altro lavoro. Piccolissime quantità di enzima, dunque, possono bastare per notevoli quantità di materiali da modificare: è per questo che la massaia, adoprando ì moderni detersivi biologici, si accorge che non occorre adoprare molto detersivo: si può usarne poco, se si lascia la biancheria a mollo tutta notte, una molecola di enzima può “digerire”, una dopo l’altra, parecchie molecole di sudiciume organico.
La scienza degli enzimi però ha i suoi massimi sviluppi in medicina, sia perché esistono malattie che consistono in una mancanza di enzimi normalmente presenti nell’organismo, sia perché particolari reazioni enzimatiche sono utili nella diagnosi o nella terapia. Per esempio, si calcola che di tutti i ricoverati negli ospedali psichiatrici almeno l’uno per cento sia costituito da malati di “idiozia fenilpiruvica”, cioè da persone che sono prive, congeneticamente, dell’enzima capace di “lavorare” la fenilalanina. E siccome la fenilalanina è un aminoacido presente in quasi tutte le proteine, ecco che la deficienza dell’enzima adatto provoca un così elevato tasso di fenilalanina nel sangue nel sangue da impedire il normale svolgimento delle funzioni del tessuto nervoso e da provocare l’idiozia; ma se questi soggetti vengono riconosciuti come “fenilpiruvici” dalla nascita, una dieta adatta può rendere del tutto normale il loro sviluppo (tanto che in molti paesi tutti ì neonati vengono sottoposti al test capace di accertare questa malattia enzimatica, così da instaurare subito la dieta opportuna). Altre malattie mentali gravi dipendono dalla mancanza dell’enzima che serve a utilizzare lo zucchero del latte. In altri casi lo studio degli enzimi serve a diagnosticare lesioni non congenite ma acquisite: già di molte malattie di questo o quell’organo si conosce il cambiamento che inducono nella varietà di enzimi che si trovano nel sangue; per esempio il cancro della prostata fa aumentare un enzima detto “fosfatasi”, l’infarto cardiaco o l’epatite virale fanno aumentare gli enzimi detti “transaminasi”. Ecco che la ricerca della fosfatasi in un operato per cancro della prostata può aiutare il medico a capire se nell’organismo esistono metastasi cancerose, e in un malato di epatite la ricerca della transaminasi avverte del decorso della malattia: con un tasso elevato di transaminasi il malato ha bisogno ancora di cure.
E ancora, gli enzimi si utilizzano in terapia: malati che hanno un’insufficienza di enzimi digestivi possono trovare giovamento dalla somministrazione di pepsina estratta dallo stomaco di animali; gli enzimi digestivi possano venire utilizzati anche nei trattamento di gravi ferite o ustioni, perché digeriscono i tessuti morti lasciando intatti i tessuti vivi. Ma la forma più interessante di terapia per mezzo di enzimi è l’impiego dell’enzima “asparaginasi” nel trattamento di certe leucemie; infatti la cellula leucemica ha bisogno di un particolare aminoacido, la asparagina; se si cura il malato con l’enzima che distrugge l’asparagina, le cellule malate muoiono. Dopo questa scoperta sensazionale gli studiosi di tutto il mondo cercano per ogni tipo di tumore maligno quali siano le sostanze chimiche indispensabili alle sue cellule, ma non necessarie invece per le cellule sane: se si trovasse che anche altri cancri hanno un bisogno nutritivo così particolare, si potrebbe trovare anche per ciascuno di essi l’enzima capace di togliergli la possibilità di svilupparsi.
Gli enzimi testimoniano la unità di tutto il mondo vivente: difatti sono minime le differenze tra gli enzimi dei batteri e quelli dei mammiferi o dell’uomo. È proprio per questo motivo che il cattivo uso delle conoscenze in materia di enzimologia danneggia, oltre alle altre specie animali, anche la specie umana: le centinaia di migliaia di tonnellate di DDT che abbiamo gettato sulla faccia del nostro pianeta costituiscono un veleno che paralizza gli enzimi degli insetti, ma gli enzimi umani sono simili a quelli della mosca o dello scarafaggio ed è per questo motivo che il DDT è velenoso anche per l’uomo. Paradossalmente chi potrà difenderci dal boomerang che abbiamo gettato, e che ci colpisce di ritorno, sono proprio quelle mosche e quegli scarafaggi che oggi il DDT non uccide più. Infatti gli insetti, dopo la prima grande moria, hanno subito una mutazione genetica e una selezione: oggi esistono molti insetti “resistenti”, il cui organismo è capace di modificare chimicamente il DDT e trasformarlo in una sostanza innocua. Innocua a loro e innocua anche alla specie umana che ha inventato il DDT, ma non sa inventare come svelenarlo.
Se non saremo così sciocchi da condurre con i nuovi potenti insetticidi uno sterminio così folle come quello che abbiamo commesso col DDT, il mondo animale saprà ricostruire le proprie difese, e in quelle difese del mondo animale potremo trovare anche difesa per noi
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Le auto ci avvelenano anche quando sono ferme
“l’Unità”, rubrica “Problemi di medicina”,3 agosto 1970.
L’automobile inquina l’aria anche quando è ferma al parcheggio: difatti, mentre gli inquinanti più conosciuti, cioè gli idrocarburi cancerogeni e l’ossido di carbonio, si sprigionano soltanto durante la marcia, la benzina evapora continuamente, e con i vapori di benzina fuoriescono anche i vapori di piombo tetraetile. Che la benzina evapori anche a macchina ferma è ben noto a tutti quelli che, particolarmente sensibili ai suoi vapori, si trovano a dover attraversare un parcheggio o a camminare lungo le file di auto in sosta, nei pomeriggi d’estate; del resto gli studiosi americani hanno calcolato che il 10% della benzina venduta si perda in esalazioni. Se il vapore di benzina può a taluni dare noia, senso soggettivo e passeggero di vertigine o di stordimento, i vapori di piombo tetraetile che essa contiene possono determinare azioni tossiche oggettivabili e durature.
Difatti il piombo tetraetile, che si aggiunge alla benzina come antidetonante, può provocare i medesimi danni che provoca in genere il piombo: ma con maggiore rapidità in quanto è solubile nel grasso e perciò raggiunge immediatamente i tessuti nervosi, che sono ricchi di alcuni grassi particolari detti fosfolipidi.
L’intossicazione da piombo, o saturnismo, è stata studiata in particolare negli operai delle industrie estrattive, nei lavoratori delle fabbriche di accumulatori, nei poligrafici e in genere in coloro che lavorano con inchiostri e vernici contenenti sali di piombo. Quando le misure di sicurezza sono insufficienti le particelle di piombo possono entrare nell’organismo per via respiratoria o per via digerente, e si depositano nei tessuti. Il saturnismo grave si manifesta con sofferenze del sistema nervoso, e queste possono interessare le funzioni motorie con paralisi degli arti, oppure le funzioni psichiche con perdita di coscienza, epilessia, coma; intossicazioni più lente e meno rapidamente aggressive interessano l’apparato digerente, i globuli rossi del sangue, il fegato, il rene; in altri casi viene aggravato o reso più rapido un processo arteriosclerotico in corso, e infine nelle forme più lievi, o iniziali, si hanno disturbi digestivi e disturbi nervosi poco riconoscibili, per così dire sfumati: dal punto di vista digestivo mancanza di appetito e difficoltà di digestione; dal punto di vista nervoso sensazione di stanchezza, facilità all’irritazione e alla eccitazione.
Possono i vapori di piombo tetraetile contenuti nella benzina dare disturbi di questo tipo? Certamente essi non possono provocare saturnismo grave dato che le automobili stanno generalmente all’aperto, e quindi i vapori si disperdono; d’altro canto, però, occorre considerare alcuni fattori di pericolo: la facile solubilità nei grassi e il fatto che, oltre per via respiratoria, il piombo tetraetile, essendo altamente volatile, può penetrare nell’organismo dell’uomo anche attraverso la pelle.
Ma il fattore più preoccupante è che ogni litro di benzina ne contiene 800 milligrammi, mentre la dose letale acuta di piombo tetraetile, cioè la dose che può uccidere un uomo se gli viene somministrata in una sola volta, è di 500 milligrammi. Un cittadino che abiti a 25 km dalla fabbrica e vi si rechi ogni giorno con la propria vettura e che nelle vacanze e durante i “ponti” porti la famiglia a fare qualche gita di 100 Km, alla fine dell’anno ha immesso nell’atmosfera tanto piombo tetraetile che basterebbe a uccidere 4.000 persone. Naturalmente non ha ucciso, in realtà, 4.000 persone, ma solo per il fatto che queste dosi sarebbero mortali soltanto se somministrate, ai 4.000 candidati alla morte, in una volta sola. La diluizione dei vapori nell’atmosfera salva, dunque, dagli effetti mortali a breve scadenza. Non salva però dai fatti tossici, cioè da quell’azione lesiva che, per il fatto che è più lenta, l’organismo riesce a tollerare con disturbi più o meno gravi: difatti quel piombo tetraetile estratto dalle viscere della terra per immetterlo nella benzina ricade sulla vegetazione circostante alle strade e alle città. Notevoli quantitativi di piombo sono stati riscontrati nei raccolti fatti sui campi delle zone ad alta motorizzazione: essi passano quindi agli organismi animali e all’organismo umano; nell’organismo umano, che vive assai più a lungo degli altri organismi animali, in gran parte si accumulano; e in altra parte ritornano attraverso le feci e le acque al terreno da cui passano di nuovo alle derrate alimentari. Se l’automobile di quel cittadino di cui si è parlato prima immette nell’atmosfera due chilogrammi di piombo all’anno, si pensi quante migliaia di tonnellate di piombo vengono annualmente portate dal cuore della Terra alla sua superficie, inquinando gli esseri animali e vegetali che vivono sulla superficie del pianeta.
Questo quantitativo impressionante si accresce ogni anno: anche se l’acquisizione di piombo nei tessuti dell’organismo umano è lenta, e quindi non dà fatti di saturnismo grave, è certo che una parte notevole dei disturbi digestivi e del senso di stanchezza o di inquietudine degli abitanti delle città è dovuta al lento accumulo di piombo nei loro tessuti. Eppure questo particolare problema non sarebbe di difficile soluzione: altri problemi, come l’inquinamento da ossido di carbonio e da idrocarburi cancerogeni, potranno venire risolti soltanto con l’abolizione delle automobili tradizionali e con l’adozione delle vetture elettriche. Ma la eliminazione del piombo tetraetile dalla benzina sarebbe una misura semplicissima da adottare. È stato calcolato che il suo costo ammonterebbe a lire 3,50 al litro. Chi vi si oppone? Evidentemente gli interassi dell’industria petrolifera e dell’industria automobilistica, che temono di veder diminuire l’acquisto di combustibili e di automobili.
Il profitto capitalistico, dunque, prosegue anno per anno l’opera infernale di estrarre dalle viscere della terra il veleno per diffonderlo sulla sua superficie in modo tale che le generazioni future continueranno ad assorbire dai prodotti della terra il piombo che la nostra generazione semina ogni anno a centinaia di migliaia di tonnellate.
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Inquinamenti: il vanadio è molto raro ma pericoloso.
“l’Unità”, rubrica “Problemi di medicina”, 17 agosto 1970.
Un inquinante dei più insidiosi il vanadio; insidioso perché è raro che ci si rammenti della sua esistenza, insidioso perché attraverso i combustibili derivati dal petrolio riesce a infiltrarsi dappertutto: nelle case, nelle fabbriche e sulle strade.
Si tratta di un metallo durissimo che sulla superficie del nostro pianeta si trova in quantità molto 1imitate: ma la sua grande reattività chimica gli conferisce un ruolo importante nell’economia di una gran parte del mondo vivente. Si trovano normalmente piccoli quantitativi di vanadio nei tessuti di molte piante e negli organismi degli animali marini inferiori, come le ascidie e le oloturie: è probabile che esso faccia parte di qualche molecola di enzima, cioè di quelle sostanze che rendono possibili le reazioni chimiche degli organismi. Siccome gli animali marini che contengono vanadio sono i soli animali che producono, al pari delle piante, cellulosa, alcuni studiosi pensano che gli enzimi contenenti vanadio presiedano, così nelle piante come negli animali inferiori, alla sintesi di questa molecola che negli animali superiori non esiste. I giacimenti di petrolio sono formati da una specie di brodo in cui si sono sciolti, in adatte condizioni di temperatura e di pressione, gli organismi viventi degli antichissimi mari: e perciò nel petrolio si è concentrata una gran parte del vanadio che esiste nella crosta terrestre; per questa via il vanadio, che in milioni di anni gli organismi marini hanno assorbito dai minerali, arriva alle caldaie in cui bruciamo il petrolio stesso e i suoi derivati. L’amministrazione della città di Stoccolma ha calcolato che le sole caldaie per il riscaldamento della città riversino nell’aria 65 tonnellate di vanadio all’anno.
Indispensabile ai vegetali e a certi animali inferiori, all’uomo i1 vanadio è innocuo nelle piccolissime quantità che se ne ingeriscono con gli alimenti vegetali; ma quantitativi maggiori sono velenosi.
Distrugge il fegato
Come avviene per molte altre sostanze tossiche, anche la nocività del vanadio fu studiata prima di tutto sugli operai che per motivi professionali vengono a diretto contatto con forti quantità di polvere di questo metallo; in Italia si scoperse nel 1927 la presenza del vanadio nella nafta e poco tempo dopo si iniziò a praticarne l’estrazione. Nel 1938 si osservò che gli operai addetti da alcuni anni a questa lavorazione soffrivano di infiammazioni croniche delle vie respiratorie e, in casi più gravi, di emottisi e di enfisema polmonare, oltre che a disturbi gastrici più o meno gravi, con anemia ed una colorazione caratteristica verdastra della lingua. Nel 1952 l’intossicazione da vanadio entrò fra le malattie professionali soggette ad assicurazione obbligatoria: sottostanno all’obbligo assicurativo le industrie che estraggono il vanadio, oppure che lo impiegano, anche in leghe e composti. Il vanadio infatti ha diversi impieghi industriali, che vanno dalla preparazione di leghe speciali (acciaio al vanadio, bronzo al vanadio) alla preparazione di inchiostri e colori; inoltre si adoprano i composti di vanadio in molte industrie chimiche, nella mordenzatura dei tessuti, nella fabbricazione di insetticidi, eccetera.
Le ricerche di patologia sperimentale hanno messo in evidenza anche altre conseguenze dell’intossicazione da vanadio, oltre a quelle che per il fatto di essere specifiche e caratteristiche avevano richiamato l’attenzione dei medici del lavoro: infatti, il vanadio lede la cellula epatica e soprattutto la sua attività svelenante; inoltre lede la parete dell’intestino e perciò ne compromette la capacità di assorbire dagli alimenti le necessarie vitamine. Perciò i controlli sanitari sugli operai esposti al vanadio devono comprendere, oltre alla radiografia del torace, anche le prove di funzionalità del fegato.
Ma l’obbligo assicurativo, e quindi anche l’obbligo di misure di prevenzione, comprende soltanto quei processi produttivi in cui si prepara il vanadio oppure lo si impiega: cioè quelle lavorazioni in cui i1 contatto con il vanadio è intenzionale, risponde agli scopi dell’impresa. Molte lavorazioni, invece, espongono all’azione del vanadio in maniera accidentale, non voluta; e sono in genere i lavori degli addetti alle caldaie, e in particolare alla loro pulizia: per esempio sono gravemente esposti all’azione del vanadio i pulitori delle caldaie delle centrali termiche. Per quanto riguarda le intossicazioni professionali è dunque necessario estendere l’obbligo assicurativo, nonché l’obbligo di misure di prevenzione, a un maggior numero di imprese di quelle considerate nella legge attuale.
Però occorre anche considerare il vanadio dal punto di vista dell’igiene ambientale generale, e non solo dell’igiene lavorativa. Le raffinerie, gli impianti di riscaldamento, i mezzi di trasporto sono altrettante fonti di inquinamento da vanadio. Gli igienisti belgi si sono dedicati a questo studio con particolare attenzione e hanno elaborato dei “test” capaci di dimostrare l’esistenza nell’organismo di quantitativi di vanadio anche minimi, ma già capaci di alterare il ricambio.
Due tipi di esami
Applicare questi “test” alle popolazioni particolarmente esposte (cioè ai cittadini delle grandi città oltre che alle categorie di lavoratori che più direttamente hanno a che fare con i combustibili) servirebbe a rivelare se l’impiego dei derivati del petrolio ha già raggiunto anche sotto questo profilo un livello d’allarme. Si tratta di due tipi diversi di esame: la ricerca del vanadio nelle urine e l’analisi chimica delle unghie. La presenza di micro-quantitativi di vanadio nelle urine testimonia la presenza di vanadio nell’aria che si respira e l’analisi chimica delle unghie dice se questi quantitativi sono già capaci di alterare il ricambio dell’organismo. Infatti nell’organismo umano il vanadio altera lo smalto dei denti, rallenta il processo di formazione del callo nelle fratture e modifica la composizione delle unghie diminuendo in esse un particolare aminoacido, la cisteina. Secondo gli igienisti belgi, quando la cisteina nelle unghie diminuisce dell’1% c’è già un segno di intossicazioni vanadica. Questo metodo di confronto biochimico fra campioni di popolazione contadina, di popolazione cittadina e di popolazione operaia di diversi mestieri permetterebbe di conoscere la pericolosità dei singoli mestieri e quella dell’ambiente cittadino.
Note