“Le scelte del consumatore” anno VI – n. 1 – gennaio 1970.
Che significa, innanzi tutto, conservazione della natura e delle sue risorse? La produzione agricola e industriale, la vita degli animali e delle piante e quella delle comunità urbane sono possibili per l’utilizzazione delle risorse naturali fondamentali della biosfera acque, aria, terreno, minerali – trasformate in merci e servizi e che, in un continuo metabolismo, danno origine ad una crescente formazione di rifiuti: acque inquinate, prodotti di combustione, residui solidi urbani, minerali e industriali. Questi rifiuti, da qualche parte, devono pur essere smaltiti e, per lo più, sono immessi negli stessi grandi serbatoi naturali dai quali l’uomo trae il necessario per la vita e per la produzione. L’aumento della popolazione e l’aumento del ritmo di produzione hanno determinato, specialmente in Europa, una così profonda usura di tali risorse da far temere che esse, presto, possano venire a mancare, il che impedirebbe di continuare a produrre e a consumare, in futuro.
Lo sfruttamento, l’egoismo, il disprezzo per il mondo circostante e per i suoi abitanti – altri uomini, animali, piante – da parte dell’uomo occidentale, cresciuto sui modelli dell’economia che il Mumford chiama paleotecnica, dovuta ai “padroni delle ferriere”, hanno trasformato gran parte dell’Europa, riducendola, per lo più, triste e brutta, con spiagge coperte di catrame, città circondate
da cinture di rifiuti maleodoranti, laghi diventati paludi, foreste devastate, terreni soggetti a erosione, fiumi intasati al punto che ogni piena è causa di un’alluvione, ogni frana si trasforma in un assassinio; un paese in cui gli alberi non hanno quasi più uccelli e da cui stanno scomparendo gli ultimi animali allo stato naturale, cacciati dalla speculazione edilizia; dove vegetali, animali e uomini sono cronicamente intossicati per l’uso indiscriminato di insetticidi e antiparassitari; dove il bronzo ed il marmo dei monumenti sono corrosi dall’acido solforico trascinato dalle piogge, il clima è in continuo deterioramento, l’atmosfera è sempre più sporca e inquinata ed intere regioni sono prive di acqua. E tutto è dominato dal frastuono, dalle esplosioni di rabbia dei “clacksons”, dai colpi di fucile dei cacciatori accaniti nello sterminio degli ultimi uccelli che, nei loro movimenti migratori, non possono fare a meno di passare per l’Europa.
Nella cosiddetta culla della civiltà occidentale, c’è sempre meno posto per i deboli, i malati, gli anziani, i poveri, meno posto in cui ritrovare il verde e sfuggire a quei miasmi che hanno suggerito ad un disegnatore britannico la spiritosa battuta: “Prendi una boccata d’aria e muori”.
Conservazione della natura e delle sue risorse significa “contestare” tutto questo e, specialmente, l’egoismo e la furberia; significa cambiar maniera di ragionare, accettar sacrifici, imporsi modestia e “austerità”; significa avvicinarsi diversamente ai grandi problemi della casa, della città, delle risorse naturali, riformare la nostra valutazione di ciò che è economico”, realizzare quella società auspicata di T.S. Eliot nel suo saggio “L’idea d’una società cristiana”, dopo aver rilevato che “l’organizzazione della società sulle basi del profitto individuale e della distruzione dei beni collettivi conduce sia al deturpamento dell’umanità, attraverso un industrialismo indisciplinato, sia all’esaurimento delle risorse naturali. Buona parte del nostro progresso materiale sarà, forse, pagata a caro prezzo dalle generazioni future”.
Indice
Una tecnologia sociale
Il problema della sopravvivenza dell’uomo sul pianeta Terra si può risolvere soltanto con una nuova politica di conservazione delta natura: una politica anticonsumistica ed antieconomica, se al termine “economia” si dà il significato egoistico della massima produttività e del massimo profitto caro alla società paleotecnica e tuttora in auge anche nelle società socialiste, senza riguardo se i prodotti di rifiuto di un’attività produttiva avvelenano l’aria, l’acqua o il terreno dei vicini, dal momento che il rispetto per gli altri, imponendo spese di depurazione, farebbe aumentare i costi di produzione.
Affinché il mondo circostante torni accettabile, è necessario, ad esempio, imparare a non servirsi più tanto dell’automobile nelle città per limitarne la congestione e l’inquinamento atmosferico; è necessario depurare sistematicamente acque di scarico e prodotti di combustione, rimboschire i terreni abbandonati, aprir nuove zone alla ricreazione dei bambini e degli anziani, realizzare città di dimensioni umane. Tutto questo vuol dir costi per tutti – diminuzione dei profitti, aumento dei prezzi e delle imposte – in cambio di benefici non “contabilizzatoli” e neppure immediatamente rilevabili; di benefici, anzi, di cui non godrebbero che le generazioni successive.
L’ecologia, disciplina che studia i rapporti tra gli esseri viventi e il loro ambiente, indica che l’apparente contrasto tra la necessità di produrre di più, per soddisfare i bisogni oggettivamente crescenti della popolazione in aumento, e quella di produrre in modo diverso, con assai minor danno per le risorse della natura, può essere risolto da una nuova tecnologia socialmente orientata, più attenta alla condizione umana che all’efficienza produttivistica.
Pochi esempi saranno sufficienti ad indicare alcune vie lungo le quali questa nuova tecnologia sociale può aiutar l’uomo ad uscir dalle trappole in cui è andato a cacciarsi
La trappola dell’agricoltura
Le disponibilità mondiali di alimenti sono insufficienti. Lo sarebbero anche se non esistessero le divisioni politiche che ne impediscono una migliore distribuzione. È evidente che occorre aumentare la produzione agricola e, per far ciò, s’impiegano fertilizzanti, specialmente fosfatici ed azotati, che permettono di reintegrare il terreno delle sostanze di cui si nutrono le piante, e si combattono i parassiti con determinati prodotti sintetici. Ma ecco l’osservazione che i fertilizzanti, per lo più impiegati irrazionalmente e in eccesso, trascinati dalle piogge, finiscono nelle falde idriche sotterranee e, di qui, nei fiumi e nei laghi, dove favoriscono lo sviluppo della vegetazione al punto che questa li invade e li soffoca. Occorre dunque consumarne meno, anche a costo di ridurre la produttività agricola, per conservare preziose risorse idriche indispensabili alla stessa agricoltura.
Non minori preoccupazioni suscitano gli antiparassitari, che, con quelli indesiderabili, distruggono anche gli animali utili alle colture ed i cui residui tossici si ritrovano negli alimenti. L’impiego del DDT in agricoltura, ad esempio, è già stato vietato in diversi paesi, essendo risultato che determina un lento avvelenamento degli esseri viventi in tutto il Globo. Ma non pochi altri Paesi vi ricorrono ancora e non è affatto da escludere che le alternative al DDT possano rivelarsi non meno pericolose per l’equilibrio ecologico.
Purtroppo, la scelta dei terreni da coltivare è tuttora fatta con criteri esclusivamente “economici”, quali la produttività, l’accessibilità, la possibilità d’impiegar macchine agricole Sono state così abbandonate molte zone di collina e di montagna, la superficie delle quali rimane esposta all’erosione, causa prima delle alluvioni che continuano a ripetersi con crescente frequenza.
Una politica di conservazione della natura deve comprendere iniziative che portino al ripopolamento di queste terre abbandonate e ad opere di rimboschimento, non in vista d’un reddito immediato, ma ad evitare drammi e più alti costi futuri. I nuovi boschi potranno poi diventar sedi di attività ricreative, sempre più necessarie per la diminuzione delle ore di lavoro, per l’aumento del numero degli anziani e per la congestione delle città e dei luoghi di villeggiatura oggi disponibili,
La trappola dell’energia
Uma maggior parte dell’energia che s’impiega nei paesi più sviluppati è dovuta alla combustione di carbone, petrolio e gas naturale. Le grandi quantità di calore prodotte in zone limitate sono causa di modificazioni climatiche, alle quali si deve, tra l’altro, l’aumento delle medie annue dei giorni di nebbia, come nella Valle Padana. Ne conseguono un rallentamento e, per ciò, un maggior costo dei trasporti, terrestri ed aerei. Ma, soprattutto, i prodotti di combustione, tra cui sostanze tossiche e corrosive, alterano la composizione dell’atmosfera.
La tecnologia offre i mezzi per eliminare lo zolfo dai combustibili solidi o l’anidride solforosa dai gas di combustione, ma questo richiede l’applicazione di nuovi processi di raffinazione o l’acquisto d’impianti di depurazione; in altre parole, un aumento dei costi del calore e dell’energia.
L’elettricità è certo una fonte d’energia “pulita” e potrebb’essere assai più impiegata, anche per usi industriali. Diminuirebbe una causa d’inquinamento dell’atmosfera, ma, ancora una volta, aumenterebbero i costi di produzione.
La trappola dell’acqua
All’accrescimento della popolazione e della produzione corrisponde quello del consumi d’acqua e delle quantità di acque usate reimmesse nei serbatoi idrici naturali, che ne vengono contaminati fino a diventare inutilizzabili. La disponibilità totale di acqua dolce continua così a diminuire rapidamente.
Anche questo potrebb’essere, in gran parte, evitato. Si è in grado di produrre e si producono, ad esempio, detersivi sintetici biodegradabili, il cui uso non genera quelle schiume che, coprendone la superficie, impediscono a fiumi e laghi di autodepurarsi. Il produrli, però, obbliga a trasformare gli impianti esistenti: alti costi, minori profitti. È il motivo per cui, in Italia ed anche in altri paesi, è ancora lecito vendere detersivi non biodegradabili, che sono un vero attentato alle riserve d’acqua dolce.
E ancora: queste riserve si possono aumentare con la costruzione di dighe e bacini artificiali e con impianti di dissalazione dell’acqua di mare, certo non senza aumento del costo di quella dolce e delle merci, in generale. Si preferisce dunque lasciare a corto d’acqua intere regioni e chi le abita e non preoccuparsi della sorte delle generazioni venture.
La trappola delle città
Le continue immigrazioni dalle campagne e il crescente aumento delle automobili private stanno mettendo in crisi la maggior parte delle strutture urbane, sviluppatesi in secoli nei quali era impossibile prevedere che gir eventi economici e tecnologici vi avrebbero compressi tanti uomini, macchine e stabilimenti industriali.
Il prezzo raggiunto dai terreni e la speculazione edilizia ne hanno fatto scomparire, per lo meno dal centro, ogni traccia di verde; gli impianti di riscaldamento e le automobili vi mantengono pericolose condizioni d’inquinamento dell’aria; intorno vi si accumulano rifiuti da cui le piogge dilavano sostanze che sono altre cause di polluzione delle falde idriche sotterranee, dei fiumi, dei laghi.
Lo smaltimento di tali rifiuti pone problemi sempre più gravi, anche per la presenza di tante e così diverse materie plastiche dei recipienti usati, distruttibili soltanto dal fuoco. Ma occorre l’apposito forno. Se un mucchio di rifiuti s’incendia per autocombustione, la città è invasa da gas puzzolenti e, non di rado, anche tossici. Non c’è altra soluzione che l’incenerimento nel forno, che ha anch’esso costi elevati e che porta all’aumento, per ciò, dell’imposizione fiscale.
Un problema politico
È chiaro che, per salvare il salvabile – e non tutto, purtroppo, lo è ancora – occorrono scelte politiche risolute, che nessun governo riuscirebbe a compiere senza lo stimolo e l’appoggio di un’opinione pubblica consapevole dei danni e dei rischi d’una condizione che sta facendosi ogni giorno più grave.
In quasi tutti i paesi d’Europa, inoltre, le decisioni che influiscono sul futuro delle risorse naturali sono ancora prese da pubbliche amministrazioni diverse, i cui fini, talvolta, contrastano. Così il fine di far espandere i consumi ed insediar nuove fabbriche dovunque sembri più conveniente con quello di favorire il turismo. Poi ci si accorge che le nuove fabbriche, con i loro rifiuti e la loro stessa presenza, hanno distrutto le attrattive turistiche della zona. Sta accadendo nell’Italia meridionale, dove insediamenti industriali decisi senza un’adatta programmazione, e senza aver predisposto le infrastrutture occorrenti per la difesa delle risorse naturali, hanno provocato ferite gravi, difficilmente curabili, ad ambienti che erano rimasti sani.
Una politica di conservazione della natura e delle sue risorse richiede dunque l’istituzione, in ogni paese, d’un organismo responsabile dell’esame critico di tulle le iniziative che, direttamente o indirettamente, possano agire sulle risorse stesse. Si deve non dimenticare che sviluppo ordinato ed organico d’una comunità sociale, in cui ciascuno sia effettivamente rispettoso dei diritti degli altri, significa vera democrazia; e che la difesa delle risorse della biosfera, indispensabili a tutti, è la condizione prima per realizzarlo.
Perché sovversiva
Qualche difficoltà deriva anche dal fatto che la maggior parte dei cultori di ecologia è costituita da biologi, la cui attenzione, logicamente, è più rivolta ai continui pericolosi attentati al patrimonio della flora e della fauna che alle remote cause di tali attentati la maggiore delle quali è nell’ormai diffusa mentalità che fa coincidere l’idea di progresso con quella di “società dei consumi”, per cui tutti devono essere sollecitati a consumare al massimo merci e servizi.
La necessità di conservazione della natura impone, invece, di contestare questo concetto: di contestare il rumore, gli eccessi della meccanizzazione, l’indifferenza verso i prati, il verde, ifiumi, le montagne, gli altri esseri viventi; esige, al contrarlo, l’educazione al silenzio, al rispetto e alla cura dell’ambiente, in una battaglia umile e senza eroismi, certamente impopolare. L’ecologia è una scienza “sovversiva” proprio per questo: perché è anticonsumistica e propone il soddisfacimento dei bisogni non mediante lo sfruttamento e la rapina, ma facendo un uso moderato e saggio delle risorse naturali a disposizione. Non c’è dubbio che la “destra economica” trovi più comodo commuoversi per la scomparsa delle alghe rosse del lago di Tovel o degli orsi d’Abruzzo che affrontare una serie di modificazioni dei cicli di produzione e di riforme della politica dei consumi; che rinunciare alla speculazione edilizia; che generalizzare l’impiego dei depuratori di acque usate. È un motivo per cui lo studio dell’ecologia non trova molti sostenitori.
È tuttavia sempre più indispensabile che questa disciplina, in tutti i suoi aspetti naturalistici e socio-economici a cui è legato il destino dell’uomo, sia insegnata anche in ogni università d’Europa e, in primo luogo, nelle facoltà che preparano gli insegnanti delle scuole medie; è sempre più indispensabile che, nei programmi di queste scuole e delle stesse scuole elementari, sia compreso un capitolo che spieghi ai ragazzi, in modo chiaro, come il loro futuro dipenda dal rispetto e dall’uso delle risorse del mondo che li circonda.
In un recente annuario del dipartimento dell’interno degli Stati Uniti d’America, si vede una fotografia di Udall, che fu ministro con Kennedy e con Johnson, mentre a piedi, in maglietta sportiva, alla testa d’un gruppo di ragazzi, percorre la riva d’un fiume dalle acque trasparenti, in mezzo a un bosco. Sarà possibile, un giorno, vedere anche un ministro europeo accompagnare ragazzi delle scuole lungo fiumi ed in boschi salvati da una nuova politica di conservazione delta risorse naturali?
Senza questa politica, alla maggior parte dei ragazzi d’Europa non rimarrà, in pochi anni, che scalare montagne di pattume e far navigare nelle fogne le loro barchette di carta.
In Italia
In che modo l’Italia ufficiale – sulla quale grava la responsabilità di avere, spesso, addirittura favorito lo scempio di risorse naturali italiane – si propone di partecipare all’anno europeo per la conservazione della natura?
Come negli altri paesi, anche in Italia è stato costituito un largo comitato di coordinamento delle iniziative connesse. In questo comitato, che fa capo al ministero dell’Agricoltura, sono compresi rappresentanti di altri ministeri e di numerosi organismi più o meno interessati al problema, ma non dell’Unione Nazionale Consumatori, forse perché come l’associazione “Italia Nostra”, è tra i pochi che se ne occupino effettivamente e da tempo. È proprio con la tavola rotonda indetta dall’Unione a Milano nel 1965, ad esempio, e durante la quale i più autorevoli esperti hanno discusso di “Protezione e disponibilità delle acque”, che è stato aperto, in Italia, il decennio idrologico deciso poco prima dall’UNESCO.
Anche l’Italia, ovviamente, parteciperà alla prima iniziativa comune dei paesi impegnati nell’anno europeo per la conservazione della natura: una conferenza a Strasburgo nei primi giorni del prossimo febbraio. Altre conferenze, convegni, proiezioni di films seguiranno nell’interno del paese. Finalmente si riconosce, insomma, che l’opinione pubblica dev’essere informata di quel che sta succedendo e dei gravi pericoli che minacciano tutti.
Al solito, il ministero della Pubblica Istruzione bandirà qualche concorso tra gli studenti, esortandoli a parteciparvi con temi sulle risorse naturali. Saranno temi bolsi di retorica o diligentemente copiati, visto che l’insegnamento di ecologia nelle scuole rimane il pio desiderio d’una sparuta minoranza. Meglio copiati, comunque: copiando, qualche cosa s’impara.
Non si parla, per ora, di chi dovrà pagare gli enormi costi che richiederanno la lotta contro l’inquinamento atmosferico, la depurazione delle acque, il rimboschimento, la ristrutturazione delle città. Non è improbabile che i grandi speculatori, i grandi inquinatori, i grandi devastatori delle risorse naturali del paese, coloro che, da queste devastazioni, hanno tratto ingenti profitti, finiscano con il pagare, in proporzione, assai meno degli altri; ma non è neppure da escludere che, come il 1969 è stato l’anno in cui la protesta dei lavoratori si è elevata, tra l’altro, contro la mancanza d’una politica edilizia atta ad assicurare anche ai meno abbienti un’abitazione decente, così in uno dei prossimi anni si arrivi a scendere sulle piazze perché una parte dei crescenti profitti non è stata riservata alla protezione dell’aria, dell’acqua, delle spiagge e per disciplinare lo sviluppo delle città.