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Dossier “Economia circolare” — Economia circolare e filiera di produzione degli autoveicoli

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Nella filiera automobilistica il tema dell’economia circolare è stato applicato, almeno in parte, ben prima del suo emergere: alcune direttive europee hanno definito un contesto di “responsabilità estesa” per i produttori di questa merce. Per alcune tipologie di componenti automobilistici si è partiti da tempo: gli olii minerali (1975) e le batterie al piombo (1988). Dal 2003 si è allargato l’orizzonte agli autoveicoli nel loro insieme e poi si è tornati ad un “particolare”: i pneumatici (Decreto Ministeriale 2011).

Lo zaino ecologico di un auto: 15 tonnellate

Va però detto che la filiera degli autoveicoli e più in generale dei veicoli su ruota è complessa e affrontarla con i principi dell’economia circolare significa, se si vuole un approccio rigoroso, entrare “nel merito” di una serie di ulteriori “cerchi” che interessano le filiere dei diversi materiali e merci di cui è composto il prodotto “automezzo” e, ancora, al ciclo post consumo. È un comparto in cui è fondamentale inserire nella valutazione degli obiettivi “circolari” la piena conoscenza del ciclo di vita (Lca) di tutti i componenti del veicolo per identificare scelte idonee per ridurre gli impatti (a partire dalla messa in discussione della forma individuale di proprietà di un veicolo al rapporto tra quelli ad uso singoli con quelli collettivi, in una parola l’impatto della mobilità). La sua applicazione anche con le metodologie dell’“impronta ecologica” o dello “zaino ecologico” (più adatto per le singole merci) nello svelare l’insieme dei negativi effetti della produzione dei singoli componenti di una merce come un’auto ne disvelerebbero ancora meglio la potenza dissipativa del sistema economico attuale rispetto ad una ecosfera chiusa e limitata. Un autoveicolo medio è composto dal 65,5 per cento di acciaio e ghisa; 9,3 di plastiche; 8 di alluminio; 5,6 di gomma; 3 di adesivi e vernici; 2,9 di vetro; 2 di diversi metalli; 0,9 di tessili; 0,9 di fluidi e l’ultimo 2 di materiali diversi (la massa di una autovettura media è di 1.050 kg). Lo zaino ecologico di un’auto (il peso dei materiali e dei rifiuti necessari per produrla) è stato calcolato in ben 15 tonnellate, quindi 15 volte il peso effettivo del prodotto finito.

Obiettivi non ancora raggiunti

La direttiva 2000/53 ha introdotto obiettivi di “reimpiego e riciclo” dell’85 per cento del peso medio dei veicoli e “recupero” al 95 per cento (al 2015). Sul libretto di istruzioni dell’auto vi è una pagina in cui il costruttore dichiara il livello di “riciclabilità” del modello. I dati recenti disponibili (2017) segnalano però che gli obiettivi di quella direttiva – a carico dei produttori – non sono ancora raggiunti in Italia (83,7 per cento reimpiego, riciclo e recupero totale).

I gestori lamentano che il mancato raggiungimento dell’obiettivo, in particolare del recupero totale (che include il “recupero energetico”) è dovuto alla mancanza di disponibilità di inceneritori per il car fluff (pari a 180mila su quasi 1 milione e 100mila tonnellate di auto trattate nel 2017). È un punto dolente: il fluff è costituito principalmente dalle plastiche “leggere”, spesso di difficile riciclo, come i poliaccoppiati (una vettura media contiene circa 100 kg di almeno una quindicina di plastiche differenti). Avviarlo a incenerimento (parliamo di un residuo di composizione variabile, classificato come pericoloso) significa bruciare un rifiuto con elevati tenori di cloro, metalli e, per i modelli più vecchi, anche Pcb, con ben conosciuti effetti ambientali e sanitari.

Migliori risultati con gli pneumatici

Migliori risultati sono stati raggiunti nel comparto pneumatici e riciclo della gomma. Nel 2017 il 70,5 per cento (278mila tonnellate) dei rifiuti di pneumatici (Pfu) sono stati riciclati come materia e “solo” 31mila tonnellate inviate a recupero energetico (vi è una quota importante di export che finisce in altri paesi europei e avviato a coincenerimento in cementifici).

Va invece valorizzata l’industria dei pneumatici “ricostruiti”, l’applicazione di un nuovo battistrada su gomme ancora in buone condizioni significano minori costi e sicurezza allo stesso livello degli pneumatici nuovi. Un caso concreto di economia circolare. Nel 2015 in Italia sono stati “risparmiati” quasi 26mila tonnellate di rifiuti (Pfu), intorno al 6 per cento del totale, sicuramente incrementabile.

Viceversa il recupero energetico ovvero la combustione di rifiuti/materia per la produzione di energia è esplicitamente “fuori” dall’economia circolare per motivi fisici (l’impiego dell’energia è unidirezionale, non può tornare materia), ma i tentativi di farla rientrare “dalla finestra” sono continui. L’altro punto dolente è il sistema e la composizione degli impianti di trattamento (messa in sicurezza, demolizione, smontaggio e frantumazione). Mentre il primo passaggio obbligato dovrebbe essere lo smontaggio (di tutte le parti reimpiegabili come ricambi, delle parti pericolose e delle parti di composizione certa per un agevole riciclaggio): sono ancora troppi gli impianti che, dopo una sommaria rimozione di alcune parti, frantumano o “compattano” i singoli veicoli senza una piena bonifica/disassemblaggio. L’obiettivo è evitare che finiscano nella carcassa finale fluidi quali benzina, olii minerali e idraulici, e materiali come i catalizzatori, gas come Cfc e similari, acidi, metalli pesanti, Pcb ecc.

Una certezza: il recupero del rottame metallico

L’unica “certezza” è il recupero del rottame metallico, spesso però con residui di altri materiali indesiderati (per non parlare di attività illegali che “approfittano” dei rottami automobilistici per smaltire nelle fonderie rifiuti di altra provenienza, i processi termici “distruggono”, forse, le “prove” dell’illegalità ma non impediscono, anzi amplificano gli impatti ambientali). Il settore dello stoccaggio di rifiuti (per lo più di numerose tipologie contestuali) è noto negli ultimi anni per essere interessato da fenomeni di “autocombustione”, quello corrispondente alla filiera delle auto, dedicato alla gestione dei metalli è invece noto da ben più tempo per l’utilizzo delle carcasse di auto come “veicoli” per altre tipologie di rifiuti problematici. L’applicazione completa delle norme sulle caratteristiche dei centri di trattamento implicherebbe la chiusura di molte realtà “artigianali” non all’altezza tecnica, di dotazioni e di “cultura ambientale” per una corretta gestione di questa particolare tipologia di rifiuti. Occorre segnalare che anche la direttiva sugli autoveicoli è basata sulle priorità generali relative alla gestione dei rifiuti e quindi parte dalla loro riduzione/prevenzione (riduzione del peso, revisione del tipo e numero di componenti/materiali ecc.); aspetti che, a ben guardare, non sono esplicitamente inclusi nei concetti di base dell’economia circolare, più attenti alla “circolarità” della materia che agli aspetti quantitativi.

Neppure l’auto elettrica ci salverà

Ma se non può esistere una circolarità “assoluta”, la riduzione del prelievo di materia dall’ecosfera deve essere una “precondizione” dell’economia circolare, altrimenti il risultato sarà al più un rallentamento parziale e non significativo della “spirale” verso l’esaurimento delle risorse e/o la saturazione dell’ambiente di scorie “indigeribili” di ogni genere e tossicità. Neppure la prospettiva dell’auto elettrica di per sé potrà portar fuori da questa situazione.

Se ci possiamo aspettare una riduzione in peso dell’autoveicolo del futuro ed in particolare una riduzione delle parti in acciaio, vi sarà un incremento di metalli “rari” (a partire dal litio e dal nichel delle batterie) indispensabili per il suo funzionamento, con il correlato impatto dovuto alla estrazione del “petrolio del XXI secolo” (e quindi del corrispondente zaino ecologico minerario), peraltro di non facile riciclo in quanto per lo più sotto forma di leghe. La necessità di sempre più elevate prestazioni delle batterie (dai 300 km attuali agli oltre 600 in fase di realizzazione) determinerà via via una riduzione dei vantaggi, sull’intero ciclo di vita, di una auto elettrica rispetto a una a benzina, e poi occorre avere chiara la provenienza della elettricità.

L’unica uscita: l’azzeramento dell’estrazione del ferro

In realtà, come si accennava all’inizio, è il concetto di economia circolare che è difficile da applicare per un prodotto come l’auto che implica, per i suoi aspetti qualitativi e quantitativi (incremento mondiale di produzione), ostacoli pressoché insormontabili se l’obiettivo principale è quello di salvare il pianeta (e noi con esso) dalla illimitata predazione di materia.

L’unica economia circolare pensabile nel comparto dell’acciaio, per rimanere alla principale materia degli autoveicoli, è quello dell’azzeramento dell’estrazione del ferro per far “bastare” quello già trasformato e circolante o momentaneamente “bloccato” nei diversi usi, ovvero contenere i consumi non oltre quelli già raggiunti, ridistribuendo questo materiale nei diversi paesi (quindi prevedendo una netta riduzione nei cosiddetti paesi avanzati o industrializzati). Analoghe considerazioni possono essere condotte per altri materiali, in caso contrario non si avrebbe una vera circolarità dell’economia (ovvero della materia perché in fondo si tratta di “muovere” quella e non i prodotti finanziari).

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