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Dossier “Economia circolare” — Prevenzione e riduzione dei rifiuti

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Il quadro nazionale dei rifiuti urbani è in forte evoluzione dopo la pubblicazione nel luglio 2018 del “Pacchetto economia circolare”, che entro il 2020 andrà recepito dal paese. Tale Pacchetto, nella sua prima proposta, del luglio 2014 era significativamente sottotitolato “Un programma rifiuti zero per l’Europa”.

Cinque obiettivi per il 2035

Sono cinque gli obiettivi 2035 del Pacchetto:

  1. aumento del riuso e riciclo al 65 per cento dei rifiuti urbani (l’obiettivo attuale della Direttiva-quadro 2008/98 è del 50 per cento al 2020);
  2. aumento del riuso al 70 per cento per i rifiuti d’imballaggio;
  3. minimizzazione del ricorso alla discarica (10 per cento);
  4. obbligo di raccolta differenziata dell’organico in tutta Europa a partire dal 2024;
  5. unificazione dei criteri di calcolo per il conseguimento di tali obiettivi.

Le principali conseguenze saranno:

  1. forte innalzamento degli obiettivi di riuso e riciclo;
  2. una sempre minore presenza del rifiuto organico nel residuo, nell’ottica del recupero dei materiali valorizzabili ancora inclusi in esso (tra cui plastiche non da imballaggio, tessili, piccoli apparecchi elettronici);
  3. minimizzazione progressiva del rifiuto urbano residuo.

Di recente l’analisi critica della gestione dei rifiuti dei ministri dell’ambiente in alcuni paesi nordeuropei ha avuto notevole eco, in quanto ha evidenziato che in tale area il largo ricorso all’incenerimento ha ostacolato le politiche di riduzione e riciclo.

Nel Nord Europa gli Stati hanno ridotto drasticamente le discariche, introducendo un’elevata capacità d’incenerimento con contratti di servizio anche trentennali, che ha vincolato le comunità a conferire quantitativi costanti di rifiuti annualmente.

Evidentemente tali politiche sono in contrasto con quelle di riduzione e prevenzione che tendono a limitare i quantitativi prodotti e ad aumentare oltre certi livelli i tassi di riciclo.

Quale futuro?

La Commissione europea, con la sua “Comunicazione” di gennaio 2017 sul recupero energetico nell’economia circolare, ha rivisto le proprie valutazioni sull’incenerimento, esprimendo preoccupazione per la concorrenza, in prospettiva, con gli scenari e obiettivi sempre più ambiziosi di riduzione, riuso, recupero di materia. Si constata, inoltre, come in varie regioni d’Europa vi sia una sovraccapacità di incenerimento rispetto ai fabbisogni.

La Commissione mette sull’avviso rispetto a ulteriori investimenti sull’incenerimento, per le contraddizioni tra necessità di rientro degli investimenti e tendenza alla minimizzazione progressiva del rifiuto residuo. Per tali motivi, la “Comunicazione” individua: 1) per le aree e i paesi con sovraccapacità conclamata o incipiente, di terminare i sussidi all’incenerimento, di porre tassazioni specifiche per disincentivarlo, moratorie su nuove installazioni, e programmi di decommissioning (terminazione e disinstallazione) per quelli esistenti; 2) per le aree e i paesi senza capacità di incenerimento, un’attenta riflessione, prima di definire piani di investimento in tali tecnologie, su quanti saranno i rifiuti residui non nell’immediato futuro, ma a 20-30 anni, per non essere fagocitati dalla necessità del sistema dell’incenerimento di assicurare alimentazione a tonnellaggi fissi.

Una situazione molto eterogenea

Oggi in Europa c’è molta eterogeneità nella gestione dei rifiuti urbani. La produzione media va da meno 300 kg per abitante all’anno in Romania a circa 750 in Danimarca. Molto differente è la quantità smaltita con incenerimento, che passa da 54 kg per abitante all’anno in Spagna a 412 in Danimarca. Le elevate produzioni pro-capite di rifiuti connotano le peggiori politiche ambientali, e, se indirizzate ad incenerimento, pur con recupero energetico, ostacolano le politiche di riduzione del prelievo di risorse materiali.

Ancora in anni recenti aumentano i rifiuti avviati a incenerimento (da 126 kg/ abitante anno nel 2014 a 134 kg/abitante anno nel 2016), e le produzioni pro-capite più elevate sono quelle degli Stati membri che hanno investito sull’incenerimento negli ultimi 30 anni, anche se i dati più recenti mostrano un’inversione di tendenza.

In altri paesi, per lo più dell’Est, prima dell’adozione del “Pacchetto economia circolare” si stava puntando – per la riduzione dei conferimenti in discarica – all’aumento dell’incenerimento, che tuttavia, proprio per l’adozione del “Pacchetto”, non dovrebbe essere ulteriormente sviluppato.

Verso “Rifiuti Zero”

Uno dei paesi dove sta avvenendo la “transizione” verso un’exit strategy dall’incenerimento è la Danimarca, che dispone di una capacità d’incenerimento quattro volte superiore al necessario. Ecco quindi che i rifiuti da bruciare devono essere importati da Londra e dalla Germania. Tuttavia, nel novembre 2013 viene annunciato il programma che prevede una transizione – anche energetica – dalla politica dell’incenerimento a “rifiuti zero”.

Ma i danni delle politiche precedenti restano: gli impianti sovradimensionati devono importare rifiuto da altri Stati membri, con ulteriori impatti ambientali legati ai trasporti. Si tratta di un fenomeno che coinvolge anche regioni italiane in emergenza, ma vede sul versante opposto il bisogno dei paesi nordici di acquisire rifiuti per alimentare i propri impianti sovradimensionati.

Queste sono alcune conseguenze negative che gli Stati membri dell’Ue del Nord stanno iniziando a contrastare, ad esempio con tasse al cancello per gli inceneritori, come per limitare i flussi di rifiuto da avviare presso le discariche. Anche la Vallonia (Belgio) ha deciso di ridurre la propria capacità d’incenerimento del 50 per cento entro il 2027 e di investire 60 milioni di euro in progetti di partnership tra soggetti pubblici e privati per far decollare iniziative di riciclaggio e riuso. Il Portogallo ha adottato il nuovo Piano nazionale rifiuti, stabilendo delle politiche tariffarie che, allo scopo di promuovere scenari coerenti con il Pacchetto economia circolare, penalizzano lo smaltimento in discarica e l’incenerimento, ed escludono ogni forma di finanziamento pubblico a sostegno dell’incenerimento.

Slovenia virtuosa

La Slovenia, grazie al ricorso minimo all’incenerimento e all’abbandono dei progetti di un inceneritore nell’area della capitale, ha pienamente realizzato il potenziale dell’economia circolare, arrivando in pochi anni ai vertici delle classifiche Ue e globali sul riciclo! Inoltre, è stata recentemente rivista e aggiornata la Direttiva sulle fonti energetiche rinnovabili, che nella nuova versione prevede condizioni più restrittive per la concessione di sussidi al trattamento termico dei rifiuti; è in corso anche la revisione dei criteri di erogazione dei Fondi regionali Ue, che in base alle attuali previsioni dovrebbe escludere dai finanziamenti qualunque tecnologia di trattamento del rifiuto residuo, proprio per renderla meno economicamente vantaggiosa rispetto agli interventi di riduzione e recupero.

Recenti documenti del coordinamento rifiuti zero europeo sottolineano come anche considerando rinnovabili il 50 per cento dei rifiuti in ingresso agli inceneritori, si pervenga comunque ad un bilancio di emissioni decisamente peggiore rispetto alle altre tecnologie energetiche.

Il tramonto delle politiche di sussidio determinerà quindi un significativo peggioramento del quadro economico per i business plan di nuovi impianti di incenerimento.

Lo scenario italiano

L’Italia deve adattarsi al quadro in evoluzione, puntando prioritariamente sugli strumenti di prevenzione, riduzione (prodotti sfusi, compostaggio domestico fino alla tariffa puntuale, che permette di applicare il principio “chi inquina paga”), innalzamento dei tassi di raccolta differenziata, riciclo e recupero di materia ben oltre i livelli medi attuali.

Non bisogna tuttavia illudersi: se vogliamo ancorare l’economia circolare alle leggi fisiche (secondo principio della termodinamica), alla giustizia sociale e all’utilizzo generalizzato della radiazione solare al posto dei fossili, si impone un programma di riduzione progressiva dei prelievi di materie prime ed energia. Come ci ricorda Nicholas Georgescu Roegen (Energia e miti economici, 1998), il paradigma non può essere la crescita, e non bisogna illudersi che lo sia il mantenimento dell’attuale tasso di prelievo di risorse costante. L’unica strada è la decrescita. Non basta sostituire i sacchetti di plastica con le bioplastiche, si deve fare a meno degli imballaggi e di molti altri beni che i paesi ricchi considerano scontati.

L’Italia è in una fase che richiederebbe maggiore capacità di riciclo, in alcune filiere, e soprattutto politiche di prevenzione e reimpiego del riciclato nei prodotti acquistati. Vasti settori non sanno ancora cosa sia la carta riciclata, e intere regioni non compostano i propri rifiuti organici. Si rendono necessari quali misure minimali: 1) tassare alla fonte in maniera più decisa i produttori di imballaggi, applicando schemi vincolanti di restituzione, riducendo alla fonte e sostenendo l’autoriciclo domestico o aziendale (es. compostaggio) con tariffe puntuali; 2) realizzare l’impiantistica e accompagnare l’aumento dei livelli di riciclo e recupero (ad es. gli impianti di compostaggio, soprattutto al Sud), senza che questi ostacolino la prevenzione e riduzione che danno comunque i migliori risultati finali; 3) tassare l’incenerimento dei rifiuti rendendolo tecnologia residuale, sostenendo la ricerca e l’applicazione di tecnologie a freddo di recupero del residuo indifferenziato, di piccola media scala e decentrate.

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