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Il paradosso della bontà

“Il paradosso della bontà”

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Richard Wrangham, Il paradosso della bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza nell’evoluzione umana, Torino, Bollati Boringhieri, 2019.

Terra. Da centinaia e decine di migliaia di anni. In tutto il mondo gli esseri umani sembrano possedere la stessa propensione sia alla generosa virtù che alla perfida violenza, una combinazione paradossale di altruismo ed egoismo. Tradizionalmente esistono due spiegazioni: l’elemento innato sarebbe la docile tolleranza ma poi la vita sociale corrompe; l’elemento innato sarebbe l’aggressiva cattiveria ma poi cerchiamo di migliorarci, dovendo convivere. Entrambe risultano parzialmente giuste e parzialmente sbagliate. Per capire meglio il mix comportamentale può essere utile ricordare che la selezione naturale favorisce un’ampia gamma di inclinazioni e studiare quali e come si sono affermate fra gli altri animali, soprattutto fra uccelli e mammiferi, ancor più fra i primati come noi; in particolare, è sorprendente e significativo che bonobo e scimpanzé mostrino opposte prevalenze. Da indagini interdisciplinari comparate è così emersa un’essenziale distinzione fra due differenti tipi di comportamenti aggressivi violenti, intesi come gamma complessa di abilità biologiche ed emozioni: quelli reattivi (a caldo, difensivi, impulsivi, rabbiosi, affettivi) e quelli proattivi (a freddo, offensivi, premeditati, mirati, bellici). Noi sapiens abbiamo evoluto un valore ridotto dei primi ed elevato dei secondi. Differiscono non solo per spiegazione e frequenza, ma anche per il modo in cui sono visti dall’opinione pubblica e dalla legge (per esempio come colpa o dolo). Entrambe le aggressività, poi, ebbero una svolta fondamentale con lo sviluppo sapiente del linguaggio articolato e simbolico.

Il famoso primatologo inglese Robert Walter Wrangham (1948), docente di Antropologia Biologica all’Università di Harvard, pubblica un libro sull’ampiezza dello spettro morale nell’evoluzione del genere umano. Nel primo capitolo documenta le differenze comportamentali tra specie umane, scimpanzé e bonobo: l’aggressività si è evoluta in modo diverso in ciascuna specie. Nel secondo individua la domanda chiave: perché abbiamo la virtù di una scarsa aggressività reattiva e il vizio di una notevole aggressività proattiva? Seguono una decina di approfonditi capitoli: le somiglianze tra animali domestici ed esseri umani (forse anche noi una versione addomesticata di un antico progenitore); i nessi tra l’insorgenza di nuovi caratteri fisici e di alcune modifiche comportamentali mansuete, di riduzione dell’aggressività reattiva; il caso dei bonobo come specie autodomesticata; il possibile caso dei sapiens come originariamente (da 300.000 anni) già contrassegnati da una sindrome da domesticazione; la differente evoluzione connessa a come si è impedito agli individui maschi alfa (“naturalmente” aggressivi) di dominare sempre e comunque sugli altri (grazie alle femmine o ad altri accorgimenti sociali); l’impiego della pena capitale nelle società umane (su media o ampia scala), ovvero l’esecuzione come pressione selettiva per costringere i dominanti a conformarsi alle norme della convivenza di gruppo; la comparazione fra due differenti specie umane come neanderthal e sapiens; il ruolo della morale e delle connesse critica e reputazione; la complementarietà dell’evoluzione verso l’aumento dell’aggressività proattiva e di società gerarchiche e dispotiche; la guerra e le guerre rispetto a tutto ciò. La conclusione ritorna appunto sul paradosso del binomio umano bontà-cattiveria, da cui il titolo. La natura umana è una chimera, la combinazione di tendenze contrapposte. La sfida più difficile è la capacità sociale coalizionaria, ridurre la nostra capacità di compiere la violenza organizzata; anche per questo Wrangham, pur consapevole di alcuni benefici che la pena capitale portò in un lontano passato, si schiera da tempo e nettamente per la sua attuale illegittimità e inutilità. Completano il volume ricche note, ampissima bibliografia, discreto indice analitico.

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