Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia
La specie meticcia di Valerio Calzolaio

Studi e ricerche sul DNA moderno e antico: siamo miscelati, meticci!

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Il DNA ci dice qualcosa sul nostro presente, su aspetti sia del passato vissuto che del plausibile futuro. Il genoma, ossia l’insieme del codice genetico che ognuno di noi eredita dai genitori, registra le informazioni. Anche quello dei nostri genitori le aveva registrate, come pure quello dei loro e così indietro nel tempo possiamo avere informazioni sul passato più o meno lontano e suggerimenti su caratteri che potrebbero influire sulla nostra residua esistenza. D’altra parte casuali errori nella copiatura (le mutazioni) aggiungono altre notizie, più incerte perché il ritmo delle variazioni non è costante e uniforme. Così l’analisi del DNA moderno è divenuta una richiesta diffusa, in qualche caso una moda esagerata senza reale interesse sanitario o sociale. Non l’ho fatto e non ho intenzione di provare, pur occupandomi sempre più di genetica. A chi fosse proprio curioso e ritenesse opportuno investirvi un po’ di tempo e denaro suggerisco eventualmente un approccio critico e comparato con qualche possibile beneficio sul tifo e sulla competizione, i giocatori di due squadre di calcio o altro sport, gli studenti di corsi di due facoltà universitarie con sedi non identiche, i soci di gruppi uno di volontariato l’altro di professionisti, alcuni cittadini di due borghi separati da un confine regionale o nazionale. Tre anni fa sul web ha avuto un qualche successo (che prosegue) il sintetico racconto incrociato di risultati del test svolto da 67 persone dall’aspetto molto differente con risultati sorprendenti circa le origini e le parentele:

Un’analoga sorpresa avrebbero tutti i collettivi che credono di avere analogie profonde o differenze inconciliabili. Si moltiplicano comunque anche le analisi scientifiche, sia quelle di carattere strettamente medico sia quelle che fecero fondare circa mezzo secolo fa la genetica delle popolazioni, grazie a pochi scienziati pionieri (con un ruolo decisivo di Luca Luigi Cavalli Sforza), e continuano a coinvolgere laboratori di ricerca e sedi universitarie di tutto il mondo. Anche qui se ne è parlato di recente per l’importante contributo dell’Università di Padova.

Il fatto è che il DNA può essere estratto anche da scheletri e reperti di umani che perirono in quel posto o lì vi furono seppelliti secoli e millenni fa (oltre che da individui di altre specie). Negli ultimi dieci anni lo studio del Dna antico ha arricchito di nuove rilevanti conoscenze la storia, la geografia e l’evoluzione della nostra specie, rivelando che il passato non era affatto meno complicato del presente. Le popolazioni umane hanno avuto un ricambio continuo, si sono mescolate nel tempo in ogni luogo (anche alcune estinte) e la gran parte degli ecosistemi umani ha visto pure la stratificazione di popolazioni successive (anche alcune senza mescolarsi). I primi 5 genomi umani antichi sono stati presentati nel 2010. Fino alla fine del 2017, due anni fa, erano stati pubblicati in tutto 551 campioni, quasi il novanta per cento provenienti dall’Eurasia occidentale. Il numero è in costante crescente in Europa e negli altri continenti. Ad alcune di queste ricerche ha contribuito l’Università di Padova come qui già documentato.

Il laboratorio che ha svolto più esami e studi è il primo sorto negli Stati Uniti, diretto da uno studente e allievo di Cavalli Sforza, David Reich (Washington, 1974), nato e cresciuto in una colta famiglia americana ebrea, oggi docente di genetica a Harvard. Reich nel 2018 ha riassunto i più significativi risultati delle ricerche proprie e di altri (e delle centinaia di articoli scientifici pubblicati) rispetto all’origine delle specie umane e soprattutto di noi sapiens. in un interessante volume, “Chi siamo e come siamo arrivati fin qui”, recentemente tradotto in italiano.

Grazie alla possibilità di estrarre il DNA dalle ossa antiche ormai sappiamo che le persone che vivono oggi in un qualsiasi dato posto non discendono esclusivamente da coloro che vivevano nello stesso posto nel lontano passato. Le popolazioni hanno avuto un ricambio continuo, la mescolanza di gruppi estremamente differenziati è stata un fenomeno ricorrente, le popolazioni a noi contemporanee sono una miscela di quelle passate, che erano miscele a loro volta. Oggi tutti i circa 7,7 miliardi di sapiens siamo figli di antichissime continue mescolanze e migrazioni. Fatta salva una più remota comune origine africana (comunque non pura), certo la formazione dell’attuale popolazione dell’Eurasia è stata favorita dalla diffusione dei produttori di cibo. Sia in Asia che in Europa una massiva migrazione di agricoltori dall’Oriente di 9000 anni fa si mescolò ai cacciatori-raccoglitori, dopodiché una seconda migrazione dalle steppe euroasiatiche di 5000 anni fa portò un diverso tipo di DNA e probabilmente anche le lingue indoeuropee. Le stesse popolazioni nativo-americane precedenti all’arrivo degli europei avevano un corredo genetico proveniente da plurime importanti ondate migratorie dall’Asia. L’ascendenza est-asiatica deriva dalle grandi diaspore delle popolazioni provenienti dal cuore agricolo della Cina. Ovunque e sempre hanno avuto luogo immense mescolanze di gruppi diversi, travolgenti sostituzioni ed espansioni demografiche, e anche scissioni e spaccature che non seguono la falsariga delle odierne differenze.

Reich ritiene che molte delle asserzioni del suo maestro si siano successivamente rivelate imprecise o errate, ma essenziale e imprescindibile fu e resta l’idea di integrare gli studi di archeologia, linguistica e storia, per ricostruire le grandi migrazioni del passato basandosi sulle differenze genetiche delle popolazioni odierne. Il libro è diviso in tre parti, nella prima (“la storia profonda della nostra specie”) spiega che il genoma umano non fornisce solo tutte le informazioni necessarie all’ovulo fecondato per svilupparsi, ma contiene anche dati abbastanza certi su dove e con chi evolvemmo nella notte dei tempi. La seconda parte (“come siamo arrivati dove ci troviamo oggi”) fa il giro di tutti i continenti del Pianeta mostrando con date e percorsi come sempre e comunque le popolazioni umane sono state connesse, in Africa come in Eurasia, in Australia come nelle Americhe, mai isolatesi del tutto, nessuna esistente in forma non mista, talora alcune in contatto con altre che non esistono più ma che hanno lasciato tracce. La terza parte (“il genoma rivoluzionario”) illustra come gli studi del DNA antico hanno svelato anche la storia millenaria della disparità di potere sociale tra le varie popolazioni, tra i sessi e tra gli individui. Completano il testo molte chiare figure e illustrazioni, ricche note bibliografiche, un ottimo indice analitico (pur con significative assenze di termini importanti). Ribadito giustamente che la mescolanza è nella natura umana e che nessuna popolazione è, né può essere, pura, non sempre risultano convincenti quelle riflessioni finali sul fatto che nessuno conosca ancora la verità sulle vere differenze tra popolazioni codificate nei geni (e sembrano quasi alludere a una terza via tra razzismo e antirazzismo); l’esigenza di lasciare libera la ricerca è del tutto condivisibile, ma le argomentazioni appaiono meno approfondite, talvolta superficiali.

Qualche settimana fa ha poi avuto grande rilievo la copertina di Science dedicata al Colosseo e agli antichi “romani”, miscelati e meticci, anche loro lungo tutta la nota secolare storia, prima e dopo Cristo, con un documentato preciso articolo, Ancient Rome: A genetic crossroads of Europe and the Mediterranean,relativo a 127 genomi antichi provenienti da 29 siti archeologici differenti da 12 mila anni a questa parte. Qui i risultati sono stati opportunamente presentati con una riflessione che inquadra la peculiare storia di Roma con la più generale storia della diversità “italiana” (https://ilbolive.unipd.it/it/news/roma-citta-aperta, in un articolo di novembre), sottolineando l’alto gradiente della nostra collettiva diversità genetica (che è la più variegata d’Europa), il che, non a caso, vale parzialmente meno solo nel caso della Sardegna, un’isola abbastanza distante dal continente. Per sottolineare la mescolanza sempre ovunque, teniamo “fermi”, stabili e certi i luoghi, e li definiamo come si chiamano oggi: Roma, Italia, Africa, Eurasia, Inghilterra, Americhe. Forse non è del tutto ovvio ricordare che anche i luoghi evolvono e migrano, in più sensi. Fino a circa 15.000 anni fa il canale della Manica non esisteva e tanto meno separava due “terreferme” e l’area coperta da acque del Mediterraneo era molto ridotta rispetto all’attuale (il territorio dell’attuale sofferente Venezia era abbastanza distante dal mare). In secondo luogo, allo stesso luogo geografico hanno corrisposto nel passato ciclici biomi molto diversi (il Sahara ora forestale ora desertico). In terzo luogo, le migrazioni umane hanno colonizzato anche la toponomastica, sicché oggi il mondo è denominato dalle culture e dalle lingue affermatesi in Europa a prescindere da come i luoghi fossero definiti da chi vi viveva prima della conquista; pur se in ogni luogo residuano toponimi o componenti delle parole precedentemente usati per comunicare socialmente la collocazione nello spazio, miscelati e meticci.

In un libro di imminente pubblicazione ho tentato di tradurre le innumerevoli umane “mescolanze e migrazioni” suggerendo una definizione ardita: siamo “la specie meticcia”. Il termine inglese usato nelle riviste scientifiche, mixture è preciso ma generico, segnala appunto il risultato delle mescolanze, individui “miscelati”. L’originale portoghese-spagnolo mestiço-mestizo è condizionato dalla colonizzazione militare, culturale, sanitaria e sociale delle Americhe, iniziata poco più di mezzo millennio fa, e soprattutto sembra dare per scontata la mescolanza di razze diverse e, quindi, l’esistenza stessa di razze all’interno della specie umana, razze che invece scientificamente non esistono. Segnalare che ibridazioni e meticciati risalgono a decine di migliaia di anni fa e si sono consolidati nel Paleolitico di Homo sapiens e lungo tutto il Neolitico consente di confermare l’inesistenza di razze biologiche all’interno dell’unica specie del genere Homo ancora vivente e la necessità di attribuire il genoma e i caratteri di ogni individuo a più tempi e luoghi. Veniamo tutti dallo stesso passato plurivalente e nessuno da nessuna parte può essere considerato davvero autoctono. Storia millenaria, geografia planetaria e teoria scientifica evoluzionistica delle migrazioni sono lì a confermarcelo, grazie anche a tutti i recenti studi sul DNA antico e moderno.

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