1. Una rivista e qualcosa di più
OfficinaPrimoMaggio (d’ora in poi Opm) vorrebbe essere qualcosa di più di una rivista, è infatti un progetto politico e culturale che punta alla promozione del conflitto sociale. Innanzitutto, Opm vuole essere uno strumento a disposizione di tutti quei soggetti – dall’associazione, al sindacato, all’organizzazione politica – che a vario livello agiscono per il cambiamento della società. La rivista cerca infatti di produrre inchieste, saggi, documenti utili all’interpretazione del presente. Opm, inoltre, si pone come luogo di dialogo tra questi soggetti: pensiamo infatti sia necessario promuovere reti e coalizioni. Concetto, questo, ben diverso dall’idea tanto in voga, almeno in una parte della sinistra, dell’unità contro la barbarie.
Oggi non ci sono nemmeno i presupposti per pensare di promuovere l’unità “di sinistra”, anzi questa è la trappola da cui bisogna rifuggire. C’è infatti tutto un senso comune che ci suggerisce l’esigenza dell’unità per fronteggiare l’avanzata delle destre populiste o nazionaliste. Eppure con uno sforzo della ragione ci si può rendere conto che le destre che ora ci fanno tanta paura sono anche il prodotto delle politiche sociali ed economiche promosse negli ultimi decenni dalle forze progressiste e dalle sinistre liberiste dell’Occidente. Difficile quindi curare una malattia facendo ricorso alle cause stesse che l’hanno prodotta.
È utile fare un parallelo con l’Ottocento, il livello di frammentazione sociale e politica a cui ci troviamo davanti è infatti molto simile a quello di quasi due secoli fa. Eppure tra fine Ottocento e inizio Novecento le organizzazioni di classe non rinunciarono certo a organizzare e a mobilitare gli sfruttati, anzi. Bisogna ripartire dall’attività politica di base e promuovere coalizioni, sia perché le forze organizzate sono poche, sia perché si impone l’esigenza di un ampio movimento ricompositivo. È la classe a dover essere ricomposta, compresa la sua capacità di riconoscere gli attori in gioco e i loro interessi particolari. Lo abbiamo visto in questi mesi in cui Confindustria è riuscita a proporre i propri interessi particolari come coincidenti a quelli di lavoratrici e lavoratori.
2. Perché un convegno su salute e lavoro
L’idea di favorire coalizioni e promuovere il conflitto ci ha spinto a dar vita al convegno del 17 ottobre a Padova; temi al centro: salute e lavoro. Abbiamo scelto questi temi perché si tratta di due protagonisti ritornati sulla scena pubblica proprio in questo periodo drammatico. Eppure l’assenza di un conflitto serio e sensato impedisce che su simili argomenti si produca un avanzamento, pare infatti impossibile sottrarsi all’alternativa tra salute o lavoro, senza che in realtà si tuteli né la prima né il secondo. Per esempio, di lavoro si è sentito parlare molto, ma sostanzialmente in termini di tamponamento al dispiegarsi della crisi economica, ecco allora discutere di cassa integrazione, di aiuti alle imprese, di sostegno alle famiglie … L’insieme delle proposte messe in campo va nella direzione di una risposta emergenziale: resistiamo finché passa la bufera, e poco di più. E ovviamente resistiamo con le risorse pubbliche (cioè quelle di chi lavora), lasciando alle imprese mano libera praticamente su tutto, tranne il temporaneo blocco dei licenziamenti. Il lavoro viene quindi trattato esclusivamente in termini emergenziali, lasciandone immutata la posizione di piena subordinazione al comando d’impresa.
Eppure il lavoro è il rapporto sociale fondamentale, è alla base di ogni società umana, lo era da prima della crisi da Covid-19 e lo sarà anche dopo. Il Covid-19 rappresenta allora il rischio concreto dell’abbruttimento di questo rapporto con un ulteriore spostamento nella ricchezza dal basso in alto, ma allo stesso tempo è l’occasione di un suo totale ripensamento. Questo ripensamento, tuttavia, non avverrà se non saremo in grado di produrre conflitto, nei luoghi di lavoro, certo, ma anche in ogni altro ambito sociale.
Il tema della salute in tutto ciò è fondamentale. Anche in questo caso il Covid-19 ci offre l’occasione di tornare a parlarne in modo radicale, dopo decenni in cui le privatizzazioni hanno galoppato liberamente e in cui la salute è lentamente scivolata dall’essere considerata un bene collettivo a essere sfruttata come un problema individuale (i cittadini trasformati in clienti) da mettere nei fatturati delle aziende private (ospedali e servizi, non a caso, trasformati in aziende o addirittura privatizzati). Anche per questo tema bisogna però ampliare lo sguardo e porre l’esigenza di una nuova attenzione alla prevenzione e alla salute globale. Prima del Covid-19 era già difficile riuscire a pretendere che salute volesse dire qualcosa di più della semplice cura della malattia: prevenzione e medicina territoriale sono state infatti completamente assorbite dai tagli alla spesa pubblica e dalle privatizzazioni. Ora si tratta di cogliere l’occasione per pretendere che salute voglia dire anche lavoro, ambiente, casa, alimentazione, etc.
Un convegno non risolve di certo questi problemi, eppure a qualcosa può servire. Opm ha infatti voluto che il convegno fosse soprattutto un’occasione di incontro e dialogo tra varie realtà organizzate che a vario titolo si occupano di salute e lavoro. Su questi temi abbiamo chiesto a organizzazioni politiche, sindacati, comitati, associazioni, di presentare inchieste, avanzare rivendicazioni, fare il punto della situazione e raccontare le iniziative incorso. Questo ci sembra uno dei mezzi con cui promuovere coalizioni o anche solo collaborazioni su singoli punti, oltreché un modo per dare un senso alla pretesa per cui Opm sia – più che una rivista – un progetto politico culturale capace di promuovere il conflitto di classe a tutti i livelli sociali.
La crisi conseguente al Covid-19 è sicuramente un grande pericolo, eppure ci concede qualche possibilità per mettere in discussione quel terribile realismo che ci obbliga a rassegnarci al meno peggio e a ritenere impossibile qualsiasi tipo di ripensamento delle strutture sociali che noi stessi abbiamo creato.
3. Una sintesi della giornata
Gli interventi della mattina e del pomeriggio si possono ascoltare online. In ogni caso è utile offrirne una rapida panoramica. Dopo l’apertura del convegno a opera di Opm, è intervenuto Fabio D’Alessandro di Altragricoltura, nella cui sede si è svolto il convegno. La presenza di Altragricoltura ci ha ricordato la centralità del cibo nelle nostre vite, facendone una questione che precede e supera quella del consumismo e mettendo al centro il lavoro.
È seguita la prima sessione del convegno – Per fare un quadro . Questa prima serie di interventi è stata la più teorica e ha dato profondità storica alla giornata. Gilda Zazzara ha ripercorso le vicende delle lotte attorno a salute e lavoro in Veneto, ha cercato quindi di proporre una mappa grezza di un percorso che ha, forse, raggiunto il suo apice a fine anni ’70. Dal sindacato al movimento studentesco, passando per l’art. 9 dello Statuto dei lavoratori, si era riusciti a imporre l’idea e la pratica della prevenzione contro malattie e infortuni. Questo sviluppo virtuoso è stato eroso durante gli anni ’80, per approdare agli anni ’90 in cui i temi di salute, lavoro e ambiente sono delegati alla magistratura. Ci si è così reinseriti nel solco del risarcimento più che della prevenzione.
Lorenzo Feltrin, invece, ha ripercorso le vicende del gruppo operaista di Porto Marghera nel lungo ’68 per giungere alla messa a fuoco del concetto di nocività, distinguendo tra una nocività concreta e transtorica e una astratta (anche se realissima) in quando definita dal mercato e dalle condizioni lavorative che esso impone. Infine, Matteo Gaddi, ha ripercorso un tratto della storia dell’inchiesta operaia, ricostruendone il senso e la centralità rispetto alla lotta di classe; ma anche attualizzato le potenzialità di tale pratica e proprio mettendone a fuoco il ruolo rispetto all’organizzazione del lavoro durante il periodo dell’emergenza sanitaria.
Nella seconda sessione della mattina, intitolata Salute e lavoro, inchieste, sono state presentate tre inchieste svolte durante il primo periodo dell’emergenza sanitaria, ossia nella fase intercorsa tra marzo e maggio. Antonio Silvestri ha presentato l’inchiesta fatta per mezzo dei delegati Fiom del Veneto, con particolare riferimento alla situazione dei cantieri navali; alcuni studenti di medicina hanno illustrato quanto emerso dall’ indagine del Sism proprio sul rapporto tra salute e lavoro durante il lockdown. Infine, Federico Battaini ha discusso i dati emersi dall’inchiesta fatta da PoterealPopolo! in Veneto, mettendo in luce il ruolo politico e organizzativo che può ricoprire il fare inchiesta.
La seconda parte della giornata dal titolo Diritto alla salute o diritto al lavoro? è stata a sua volta suddivisa in due sezioni. Nella prima, Tutelare la salute, ha preso parola Michela Piccoli delle MammeNoPfa; nato a Lonigo nel 2017, questo gruppo di cittadine e cittadini si è attivato per dare battaglia contro l’inquinamento ambientale causato dai Pfas. A partire da piccole richieste verso il comune di Lonigo il gruppo si è allargato al vicentino coordinandosi con movimenti e comitati in Veneto e in altre zone d’Italia. A seguire è intervenuta Ingrid Hellen che ha raccontato il lavoro infermieristico nelle Ipab del Veneto, istituti pubblici non ospedalieri. Ci ha spiegato che gli infermieri e le infermiere che lavorano in queste strutture sono inquadrati a un livello contrattuale più basso rispetto agli infermieri ospedalieri. Ne è emerso un quadro fatto sia di ingiustizia verso chi lavora, ma anche di lesione al benessere della persona. Inevitabilmente la qualità del lavoro ha ricadute dirette sul livello del servizio medico offerto e quindi sulla salute psicofisica delle persone, sia dei ricoverati che delle loro famiglie.
Ha concluso questa prima sezione Marco Caldiroli di Medicina Democratica, con il suo intervento ha provato a storicizzare le contraddizioni che intercorrono tra lavoro, salute e ambiente; problematizzando il concetto stesso di salute.
L’ultima sezione della giornata, Rispettare il lavoro, ha messo al centro il “lavoro culturale”. Leonardo Bison ha presentato Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali . Si tratta di una campagna sull’accesso alle professioni dei beni culturali che nel tempo si è trasformata in collettivo e infine in associazione nazionale. È stata poi descritta la situazione del lavoro culturale e la proposta di MiRiconosci? in cui si rivendica che se la cultura deve veramente essere considerata un bene collettivo nelle nostre società, allora è necessario immaginare un sistema culturale nazionale che abbia come modello il sistema sanitario nazionale (quello di prima delle riforme che lo stanno smantellando). Di nuovo è apparso chiaro il nesso che intercorre tra qualità del lavoro e qualità di un servizio, in questo caso di un presidio sociale che dovrebbe essere fondamentale, sia per le ricadute individuali che per quelle pubbliche. Queste considerazioni sono state ribadite dall’intervento conclusivo della giornata: Emiliano Esposito diUsb ha descritto la situazione lavorativa dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo a Venezia e le loro mobilitazioni.
Il convegno, oltre alla ricchezza delle esperienze che sono state presentate, a nostro avviso ha segnalato un punto importante. Come abbiamo accennato, il rapporto salute-lavoro è stato vissuto negli ultimi anni come un tema problematico, segnato più da contrapposizioni e spaccature che non da collaborazioni tra soggetti sociali che pure si collocano nel solco della critica al sistema capitalista. Un tema scottante, quindi, che potrebbe suggerire di tenersene opportunisticamente alla larga. Il nostro intendimento, invece, è l’esatto contrario: tentare di cogliere i nodi più problematici che – per diverse ragioni – possono costituire un ostacolo alla ricomposizione delle organizzazioni di classe, per affrontarli fino in fondo. Riteniamo che solo così, cercando di praticare questo sforzo di approfondimento, si possa tentare di costruire forme di coalizione fondate su analisi e obiettivi comuni, e non su mere petizioni di principio.