Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Paolo Cacciari, “Re Mida. La mercificazione del Pianeta. Lavoro e natura, economia ed ecologia”, La Vela, Lucca 2022

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Paolo è un caro amico che da tanti anni porta avanti un impegno infaticabile di militanza, studio, ricerca e divulgazione su quell’intricata problematica che sta all’origine della crisi attuale: la giustizia, l’ecologia e la democrazia sempre più schiacciate dall’onnipotenza incontrollabile dell’economia, in particolare in questa fase troppo lunga segnata dal neoliberismo.

In questo agile testo ci offre le sue ultime riflessioni, già apparse su diversi giornali e riviste, che rivelano il suo atteggiamento sempre curioso, la voglia di farsi nuove domande, di capire più in profondità un mondo effettivamente molto complicato e troppo capace di imbrogliare le carte presentando soluzioni tecnologiche che ad un’analisi più attenta si rivelano clamorosi bluff.

Dunque, questa lettura è da raccomandare a chi voglia essere aggiornato sul reale stato dell’arte del grande tema della conversione ecologica e sociale necessaria, sui passi avanti nella consapevolezza e nelle esperienze positive dal basso, sui passi non compiuti o addirittura percorsi all’indietro dal sistema economico e finanziario dominante, sulle innovazioni virtuose e su quelle che dietro la facciata green nascondono malamente la volontà di continuare sulla vecchia strada. Tutti gli aspetti vengono toccati nei venticinque brevi saggi proposti, arricchiti da un glossario che ne impreziosisce la valenza divulgativa.

Il più corposo tra questi è dedicato a Il pensiero economico di Papa Francesco (pp. 161-191), un tema che mi interessa particolarmente, che ho discusso varie volte con amici laici e religiosi. Come è noto, oltre ai gesti ed ai discorsi occasionali, ci riferiamo qui a due encicliche fondamentali, Laudato si’ del 2015 e Fratelli tutti del2020. La prima è certamente quella di gran lunga più innovativa ed è superfluo qui aggiungere argomentazioni ulteriori. Piuttosto è utile approfondire come quell’enciclica sia stata interpretata innanzitutto dalla Chiesa cattolica reale (ne abbiamo accennato criticamente nel n. 42 della nostra rivista, evidenziando come, di fronte alla consueta elencazione delle cosiddette pratiche virtuose, ormai datate e pressoché ininfluenti, non poche siano le ambiguità rispetto alle sfide di sistema: https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/lenciclica-laudato-si-cinque-anni-dopo-due-recenti-pubblicazioni-ne-rilanciano-il-messaggio/). Inoltre, a otto anni di distanza, sarebbe opportuno anche tentare una valutazione su quanto abbia inciso nelle politiche degli Stati (a partire da quelli “cattolici”), degli organismi internazionali e delle grandi imprese.

Ma sull’economia ancor più in tema è la Fratelli tutti, che, a parere dello scrivente, non presenta un’innovazione radicale rispetto alle precedenti encicliche economico-sociali uscite a partire dalla fondamentale Rerum novarum di Leone XIII, enciclica che curiosamente consegnò a questo Papa, profondamente reazionario e antisemita, la patente di progressista.

Certo, vi sono state altre manifestazioni del pensiero di Papa Francesco, citate con cura da Cacciari, che hanno fatto intravedere un svolta radicalmente innovativa. Come non possiamo che lodare senza riserve il ruolo che sta tentando di esercitare per porre fine al macello ucraino. Tuttavia, da laici, credo dobbiamo permetterci di sottoporre al vaglio critico, in particolare testi che intervengono direttamente su temi non dottrinali, ma, usando un’espressione desueta, prettamente temporali.

Punto centrale è la ripresa della famosa parabola del buon samaritano presentato come campione dell’“inclusione”, parola chiave, da alcuni anni di massimo uso e di condivisione pressoché totalitaria, proposta qui come modello e discrimine anche dell’agire economico, politico e sociale: “L’inclusione o l’esclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza” (Papa Francesco, Fratelli tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 3 ottobre 2020, p. 18). Certo su questo termine “inclusione” che ha soppiantato, non solo a livello lessicale, “giustizia sociale”, sarebbe necessario sviluppare una riflessione molto ampia (come anche sul termine positivo “coesione sociale” che ha soppiantato quello negativo “collaborazione di classe”; oppure su quello tanto di moda in una certa sinistra radicale “società della cura” che ha soppiantato quello desueto “società della prevenzione”). Vi è una differenza che salta agli occhi: inclusione presuppone che i soggetti attivi siano quelli che stanno in alto e che a chi sta in basso tocchi solo attendere la benevola misericordia dei primi, mentre giustizia sociale considera gli esclusi soggetti depositari di diritti e attivi nel pretendere che vengano riconosciuti. In sostanza, forse, sta qui la differenza tra la teologia del popolo dell’argentino Juan Carlos Scannone, maestro di Bergoglio (J. C. Scannone, La teologia del popolo. Radici teologiche di papa Francesco, Queriniana, Brescia 2019) e la teologia della liberazione di Gustavo Gutiérrez.

Sta di fatto che questa elaborazione bergogliana ha avuto uno sviluppo internazionale clamoroso, proprio mentre usciva l’enciclica, con la promozione da parte del Vaticano, e di Papa Francesco in persona, del Council for Inclusive Capitalism (https://www.inclusivecapitalism.com/),come riporta anche Cacciari (p. 188), che vede la partecipazione di Ceo e amministratori di alcune delle prime 500 maggiori imprese del mondo (British Petroleum, Banca d’America, Allianz, Dupont, Visa; Johnson & Johnson, Rockfeller Foundation, Ford Foundation, Amundi, MasterCard…), i quali, ovviamente, promettono di “creare valore per tutte le parti interessate – aziende, investitori, dipendenti, clienti, governi, comunità e pianeta”. Aggiungo una sola considerazione. Non è che siamo di fronte ad un clamoroso ossimoro, parlando forbito, o imbroglio, parlando alla grossa? Capitalismo, a detta degli stessi Ceo ed amministratori, è soprattutto competizione, che significa prevalere dei più forti a scapito dei più deboli. O no? A meno che, appunto, per inclusione si intenda la misericordiosa distribuzione delle briciole ai poveracci sconfitti dalla competizione.

Cacciari, di seguito, cita un’altra associazione internazionale di imprenditori che a suo dire “si muove sullo stesso terreno” (p. 189) il World Business Council for Sustainable Development (https://www.wbcsd.org/). Ma – piccolo appunto che mi permetto di annotare – tralascia di dire chi è il promotore di quest’ultimo Council, ovvero Stefhan Schmidheiny, il magnate svizzero della Eternit, responsabile della devastazione prodotta dal cemento-amianto in mezzo mondo, finalmente condannato in appello, il 7 giugno scorso, per il reato di omicidio colposo aggravato a una pena di reclusione di 12 anni per la morte di numerose vittime della martoriata Casale Monferrato (https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=14797). Molti non sanno che fu lui il principale ispiratore, in qualità di consigliere di Maurice Strong, Signor Ambiente all’ONU ed organizzatore del summit della Terra a Rio nel 1992, della proposta dello “sviluppo sostenibile” che da quel Summit inondò tutte le contrade del Pianeta promettendo una rivoluzione che in realtà non poteva realizzarsi. In quell’anno Schmidheiny pubblicava il libro, Cambiare rotta (S. Schmidheiny, Changing Course: A Global Business Perspective on Development and the Environment, Massachusetts Institute of Technology Press, Cambridge 1992), che spiegava agli imprenditori il modus operandi per concretizzare in affari le ambizioni ambientaliste e sociali fissate a Rio e di lì a poco darà vita appunto alla Fondazione che avrebbe dovuto guidare gli imprenditori in questo percorso apparentemente “virtuoso”, il World Business Council for Sustainable Development, diventando così un leader “verde” rispettato dalla comunità internazionale.

Non occorre aggiungere che tutto ciò getta un’ombra più che inquietante sulla vera natura di questi Council delle grandi imprese multinazionali.

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