Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Nella sostanza, nello spirito, la forma aperta del paesaggio

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Quanto mi accingo a esporre non prenderà una direzione certa, ed è molto probabile che si disperda tra i rivoli della mia soggettiva interpretazione, per questa ragione non si potrà riconoscere un’“idea eidetica fissa”, ma un continuo affluire nella mente di sensazioni e figurazioni aperte all’intensità del tutto. Il contenuto del testo, nel suo dispiegarsi, non intende esaminare il paesaggio esclusivamente nel suo valore di fisicità ma, come a smaterializzarlo, considerarlo come attivatore di contenuti evocativi, richieste percettive e meditazioni personali. Certo è che le categorie di Sostanza e Spirito possono apparire, dovendo dar conto del luogo comune, come espressione di una contrapposizione duale, l’una o l’altra dipanano dimensioni di fatticità in opposizione. Comunque, a partire da questa premessa, proverò a far dialogare le due categorie su un terreno d’incontro che avrà come filo conduttore l’ambito naturale; nelle mie intenzioni, miscelando una modalità di pensiero poco ortodosso, l’accostamento tra le due accezioni dovrebbe attenuare la prepotenza dell’apparato culturale storicamente costruito dall’‘ego-euro-centrismo” per virare e prendere vento nella direzione opposta a quella che vuole avere il mondo in mano. Per disposizione personale non ho alcuna volontà disciplinare, per questa ragione, l’essenza di questo breve esercizio, dal momento che azzarderò e condurrò lo studio nel campo espressivo della poetica, non potrà essere riconosciuta tramite la sola analisi e non poteva essere altrimenti visto che ogni sezione è aperta come bandiera al vento da una strofa.

Chiaramente le interazioni “del tutto” sono processi complessi, per cui considerare la Forma Aperta del Paesaggio nella sua completezza presuppone un approccio forse lontano dalla nostra consueta conoscenza razionale. Sulla base di questo atteggiamento anticonvenzionale, il presupposto elementare per percepire quell’oltre imponderabile dato dalla Forma Aperta del Paesaggio sarà semplicemente quello di partecipare alle interazioni del ‘campo’ con il senso della vita propenso ad abitare in modo lieve la Terra. Poi, ognuno trovi da sé il filo conduttore del tema facendo riferimento al suo mondo e ai propri interessi. Ovvio!

Paesaggio

Nella definizione corrente comprende le forme naturali e le costruzioni antropiche in continua trasformazione, e il prevalere dell’una o dell’altra rappresenta la misura in cui il soggetto (umano) si espande in termini di proiezione, di incorporazione con il mondo delle cose, della natura.

0 mio amato fiore
Epico dramma del paesaggio
Oh, orizzonte dell’aldiquà
Qualcosa dove il fiore sfiorisce

Bastano poche parole per far affiorare la dualità: da una parte il soggetto, dall’altra il “tutto”. Indubbiamente per cogliere l’ermetico segno metaforico offerto dalla strofa è necessario “vedere-ascoltare” per seguire quel flusso di figurazioni che confluiscono nell’incorporazione simbiontica con la sostanza delle cose fino al punto dove queste si con-fondono. Il reale, è noto, altro non è che la proiezione dello sguardo che lo scruta, che lo interroga, ed entra in ascolto espandendo il sé fino al punto di non farlo coincidere con i nostri interessi immediati lì dove l’utilità etica dell’uomo è la purificazione dalle utilità soggettive.

Ciò detto, per offrire una ricostruzione approssimata della ‘Nascita Paesaggio’ è necessario citare almeno le due correnti fondamentali. Da un lato troviamo l’Arcadia del mondo simbolico greco-romano, il mondo di Pan il dio dai piedi di capra protettore dei pastori e delle greggi. In seguito, con la presa della “cristianità”, questa rappresentazione della natura personificata dalle divinità naturali va poi dissolvendosi riemergendo come relazione tra l’essere e il divino nella condanna dello spettacolo del mondo a beneficio dell’introspezione religiosa; più in là le contraddizioni tra la dimensione introspettiva e l’emozione suscitata dal paesaggio osservato iniziano a dipanarsi per confluire, con la descrizione fatta da Francesco Petrarca nella lettera “Ascesa al Monte Ventoso” del 1336, nella completa accezione contemporanea. Dall’altro lato in oriente per la prima volta al mondo, in Cina nel IV secolo, Shanshui (translitterazione degli ideogrammi montagne e acque) diviene la parola per definire il paesaggio: «Zhi yu shanshui, i zhiyou er qu ling» – Quanto al paesaggio, tutto possiede sostanza (forma materiale), essotende verso lo spirito (anima, mente) – scrive Zong Bing (443 -375) in quello che fu il primo trattato sulla pittura del paesaggio nella storia dell’umanità (cfr. A. Berque, Histoire de l’habitat idéal, de l’Orient vers l’Occident, p. 112). Shanshui “le montagne e le acque” e in queste acque della montagna trovano riparo i geni della natura. Il riparo del sacro: la sostanza e lo spirito nella loro purezza.

A questo punto si può ben dire che per contemplare la natura bisogna avere a disposizione i contenuti ‘valoriali’ idonei a concettualizzarla e questo implica, perlomeno è quello che mi sembra, appartenere a una condizione sociale elitaria in grado di interpretarla come globalità. La contemplazione intesa come raccoglimento diviene il presupposto senza la quale non si può ‘guardare’ l’ambiente come paesaggio assegnandogli caratteri chiaramente simbolici. Sono state le élites dotate di sufficiente sensibilità, antiche e contemporanee, che si sono arrogate il diritto di classificare le cose, predisponendo quell’apparato culturale di gusto e di immaginazione necessari ad appropriarsi del “bel vedere”, ovvero dell’estetica del paesaggio confluente sovente nell’estetica del sublime (poetica del romantico); senza tralasciare il deformante lavorio che porta allaformazione degli stereotipi del paesaggio declinati nel ‘formalismo del pittoresco’ e del kitsch. Riprendendo per sommi capi un pensiero di Pierre Bourdieu come fa lo sguardo del viaggiatore o del turista che osserva il paesaggio come paesaggio, come decoro, paesaggio senza abitanti e colture senza coltivatori. Emerge una definizione del paesaggio di tipo “estetico-percettiva” che lascia poco spazio a un approccio valoriale a base “ecologico-ambientale”; un contesto, questo, che senza troppe indulgenze si allarga fino a quantificare, a finalità turistiche, il “Valore monetario del paesaggio” in modo da separare il paesaggio degradato da quello salvaguardato e promosso “culturalmente” e paesaggisticamente. Va da sé che, attraverso vari livelli conoscitivi, il paesaggio viene percepito da ciò che il soggetto è, di conseguenza il territorio-paesaggio non può che essere determinato dalla proiezione dell’immagine mentale di chi lo ha costruito-reificato. Sì può cogliere in questa breve digressione come sia necessario, per confrontarsi con la definizione di Forma Aperta del Paesaggio, accedere a una costruzione-fruizione-percezione del paesaggio elevandosi al di sopra della logica quotidiana del vantaggio e dello svantaggio.

Paesaggio immaginario

Ognuno di noi coltiva dentro di sé un’idea di mondo e il mondo fin dal suo delinearsi come archetipo della “Madre Terra” necessita di essere sostenuto dal significato. E, nel suo svolgersi, la ricerca del significato permette alla figura-presenza dell’umano, immersa nella realtà, di essere il quadro privo di cornice e di limiti di confine nel quale vivere armoniosamente il Paesaggio dell’intero universo fino al più piccolo granello di sabbia.

Il cammino notturno, sa
Come dissolvere le cose
Le palpebre chiuse, offrono
Mondi sconosciuti.

Colui che si proponesse di comprendere l’essenza del Paesaggio dovrebbe avere il coraggio di avventurarsi nel “cammino notturno”. Se poi, per sensibilità personale aspirasse a comprendere, per disgregarlo, il “sistema” del costrutto paesaggistico contemporaneo non avrebbe che da trasfigurarlo nello spazio dell’illusione, in quel mondo ambivalente dove la Sostanza, come unità naturale, si dissolve in minuscole particelle continuamente in movimento. Una sorta di osservazione a distanza come se si percepisse la necessità di ascoltare con I’”occhio” rappresentando ‘paesaggi’ fino a far arrivare il limite sensoriale dell’immaginario in linea con l’infinito.

Paesaggio nella Sostanza

La giusta condizione per un approccio sincero alla prospettiva ‘sostanziale della forma del paesaggio’ dovrebbe essere ricercata nell’area di contatto tra il soggetto e il mondo, là dove l’essere liberato dalla prospettiva egocentrica lascia emergere quello che le cose hanno da dire, null’altro che, mettersi in ascolto per essere vicini alla sostanza delle cose.

Milieau / Muro di pietra e di mano
Lucertole danzanti
Afferrare usare non dare mai nomi
Così com’è è sufficiente

Affiora dalle parole della strofa una pervasiva sensazione, come se, lasciando la presa dell’io, ci si lasciasse fluire in una condizione di profondo abbandono poiché il tutto converge nell’unità. Il ‘campo’ attivo e mentale suggerito appare come un gioco di parole, ma c’è sostanza, e proprio l’ovvia evidenza della sostanza non ammette ambivalenze. Così stanno le cose o almeno lo sono state.

Nel contesto evocato dai versi, il Paesaggio rurale, nessuna simulazione è consentita; infatti, il risultato di questo lavoro ‘di pietra e di mano’ è stato essenzialmente quello di insediarsi e mettere a coltura le terre. Oso dire che, a queste condizioni, la ‘sostanza che si fa forma’ non può nemmeno essere definita Paesaggio poiché è assente la rappresentazione mentale della visione estetica proiettata sul territorio. D’altro canto mi è difficile credere che questa sia stata una condizione di sola oggettività, considerato che lo stato vernacolare è pur sempre l’espressione di un mondo umanizzato laddove nella continuità delle credenze e delle abitudini trasmesse dagli insegnamenti orali prevale (ha prevalso) la sostanza delle cose.

Per vissuto personale ho sfiorato questo mondo, un mondo dove il tempo era scandito dall’evidenza del fare e dal mettere a frutto, senza abusarne, la ‘sostanza’ assecondandola al ritmo delle stagioni. “Uhh!!! Leeh!!!” “Vai! Fermo!” Così la voce del montanaro scandiva alla bestia da soma il tempo del lavoro. Un lavoro che ha materializzato i pendii montani di terrazzamenti, campi coltivati, prati, baite e abitazioni: il costrutto antropico nella sostanza. Sostanza-materia rispettata, coltivata, mai disprezzata e consumata per diletto. Basta saper guardare-toccare un muro per percepire come a distanza di secoli ogni pietra porti con sé il gesto dell’uomo che l’ha posata. La pietra e il gesto sono stati nel contesto del paesaggio rurale un’unica realtà diveniente poiché l’immanenza del gesto è l’immanenza della pietra; opere eseguite senza alcuna intenzione estetica o nozione di paesaggio.

Oggi ai nostri occhi, ma non agli occhi dei “cultori della rusticofilia”, questa “sostanza” appare bella, così come lo sono stati i gesti nel mutevole movimento di trasformazione dello spazio-tempo e nel rapporto con l’elementarità della ‘sostanza’ e della forma frutto di un lavoro semplice e necessario. Il vivere semplice del montanaro è stato senza dubbio l’archetipo della dimensione ecologica nel suo rapporto con la Terra, tant’è che la sua condizione non gli domandava altro se non di vivere la ‘meravigliosa tragedia’ della sussistenza in una mescolanza di connessioni naturali e aspettative vitali. Mi sembra giusto, anche se potrebbe apparire superfluo, ricordare che siamo circondati da paesaggi progettati e costruiti conformemente alla “cultura alta”; per il bisogno di cercare significati nelle cose avvalendosi delle organizzazioni storiche di potere. Come sono innumerevoli le “presenze” materializzate dalla debordante potenza della tecnica che utilizza, eccedendo nella ‘quantità’, la ‘sostanza’.

Osserviamo come questi costrutti storici abbiano una base comune fondata sull’equazione: più sostanza = più ricchezza. Chiaramente per coloro che intendono positivamente le trasformazioni operate da quella “cultura” non c’è niente di meglio che rispecchiarsi nei paesaggi, raffigurati da Ambrogio Lorenzetti nell’affresco de “Il buon governo” a Siena. Comunque da qualsiasi punto di vista si osservi il paesaggio non occorre rammentare l’uso predatorio che si fa della ‘sostanza’ ai giorni nostri.

Paesaggio nello Spirito

Lo spazio si estende e la natura, il fondamento necessario a tutte le attività umane, diviene il luogo privilegiato per evocare impressioni empatiche smaterializzanti; queste, in genere, tendono a escludere il lavoro della mano, poiché il lavoro quotidiano necessario per la sopravvivenza (ugualmente per il consumo del superfluo) non lascia tempo alla contemplazione, fanno eccezione, è un dato storico, le comunità regolate sulla cadenza temporale della religione: “un giorno senza lavoro, un giorno senza mangiare”.

I monti e le acque
Offrono uno spettacolo spartano
Da un palco nella natura
Suoni sprovvisti di pentagramma

La strofa collocherebbe il personaggio (ma potrebbe non esserci il soggetto) in un paesaggio montano, egli non guarda a quello che lo circonda, ma proietta all’interno del suo corpo il paesaggio ambiente, e qui nell’immanenza dell’essere si rivela, denso di sfaccettature, lo spirito del luogo. Pensa, che lì tra monti e acque ‘abitano’ da tempo immemorabile elementi di spiritualità; e nel contesto fatto di natura, là dove lo spazio e il tempo appaiono indivisi, non osserva proiettando aspettative soggettive sul paesaggio, ma al contrario la sua coscienza si ritrae per risvegliarsi in uno stato di attiva passività connotata, nell’”essere senza perché”, da una sorta di spontanea meditazione. In questo contatto appare un “altro paesaggio”, un paesaggio ancestrale denso di qualità evocative dove ognuno distolto dalle preoccupazioni terrene e capace di riconoscere colui che manipola le proprie immagini può immergersi nel mistero della natura. L’insieme delle figurazioni trascende in un Paesaggio Aperto laddove le parole sono poca cosa se utilizzate per esprimere intimamente quel mondo dello spirito impregnato del ‘tutto’.

Paesaggio vissuto

Per saggiare con questo paragrafo il tema del paesaggio vissuto è necessario allentare la presa dell’Io e darsi a una riflessione duttile e libera, poiché nel paesaggio vissuto l’elemento Sostanza e l’elemento Spirito, convergendo, si fondono escludendo ogni tendenza dualistica.

Tal quale alle nuvole
Il gorgoglìo del ruscello nel prato
Una fiamma rossa mossa dal vento
Lascio che sia il papavero

La strofa allestisce, per estensione, una scena nella quale la distinzione tra soggetto che osserva e oggetto (il paesaggio) è solo apparente. Il punto di vista del soggetto, nella sostanza delle cose percepite, è indefinito; la scena si presenta come un’alleanza di sentimenti tra la natura-paesaggio e l’autore, essi si sostengono mutuamente. Il luogo e le cose immersi nel paesaggio sono incatenati nello stesso rapporto di co-esistenza, si potrebbe dire che si appartengono l’un l’altro, poiché, per usare una definizione Buddhista, sono privi di natura propria, ciò è sicuramente connaturato ai nostri cinque sensi essendo la manifestazione del nostro essere corpo-mente immerso nell’evento. In poche parole, si presenta una condizione dove l’insieme è sì oggettivato dallo sguardo ma, allo stesso tempo, è coinvolto in modo immediato con l’unità: “ascoltato con l’occhio”.

Quando il cielo si rivolta al giorno
Nubi maldestre fanno montagne nane
In lontananza lancia l’asino il suo raglio
Illumina, uno squarcio di blu

Nell’evento descritto dalla strofa, un lento movimento mutevole come lo spazio e il tempo della rappresentazione, avviene una riconfigurazione del paesaggio. Le nuvole man mano che avvolgono la montagna generano la percezione di un altro paesaggio allo stesso tempo reale e irreale. Le montagne, parzialmente coperte dalle nuvole cambiano dimensione e così, come potrebbe avvenire per le abitazioni e le opere dell’uomo, vengono a presentarsi sotto un contorno insolito con dei profili e delle posizioni espressivamente nuovi. Certo le montagne sono sempre al loro posto, eppure per un breve momento al loro nascondersi tra le nuvole il paesaggio, mentre simultaneamente nell’aria si propaga un fievole suono, cambia. Poi, in un istante, tutto si trasfigura, le nuvole si aprono al ‘campo’ della nostra percezione nella provvisorietà Aperta della realtà visibile, e l’immagine, in attesa di ricomporsi sotto una nuova veste, trapassa nel gioco infinito della realtà.

Un varco nel bosco, si offre alla luce il ginepro
Tempesta di cupi grappoli bluastri
Stupita lo accoglie, l’altra
La terra natia

Camminare … Ogniqualvolta ci si inoltra nel paesaggio, la percezione delle montagne, dei fiumi, dei boschi e dei sentieri si impregnano di un’atmosfera indescrivibile, attimi, istanti in sospensione ci scaraventano nel profondo dell’essere, e l’imbattersi all’improvviso in un arbusto di ginepro, libero dall’ombra del bosco, diviene l’occasione per fluttuare silenziosamente tra il mondo della realtà e dell’irrealtà. L’oggetto, in questo caso il ginepro, non è visto dall’esterno ma è empaticamente recepito dall’interno del nostro corpo-mente.

Di fatto, l’evento si manifesta in pura presenza, lui e io là fuori parlanti il linguaggio della natura nella ‘terra natia’. Forse, tutto ciò, lo potremmo definire il punto zero, la presenza del sacro là dove si manifesta la comunione reciproca con la natura. Detto con parole del filosofo Shizuteru Ueda “[…] Si tratta di un movimento dell’esistenza che segna un’invisibile circolo nulla/natura/io-tu”.

Dopo questa frammentaria esposizione non voglio dilungarmi sull’argomento, lascio al Lettore accogliere e rievocare, nelle percezioni e nei sentimenti personali, le tonalità del paesaggio nel loro accompagnarsi delle stagioni, nel chiaro-scuro dei giorni, nel respirare il profumo dei fiori e nel muoversi fluidificante delle cose del mondo. Certo, sono tempi balordi, dissipatori e pervasi da una ‘meccanicità’ delirante, per questa ragione, in alternativa, ho provato a delineare un’idea di paesaggio come esperienza sensibile nel sé, suggerendo un ‘Paesaggio vissuto’ non opposto al soggetto, in quanto il soggetto e l’oggetto, passando necessariamente per connessioni appartenenti a un territorio antropologico, si appartengono e si sostengono comunemente, E sebbene il campo del ‘Paesaggio vissuto’ non sia descrivibile con la dialettica verbale o con concetti filosofici, indubbiamente sta lì, sospeso nel Vuoto, nella percezione unitaria di ogni cosa in Sostanza e Spirito. Forse, è giunta l’ora di usare ‘strumenti’ diversi da quelli che siamo assuefatti a consumare, così che, la terra, come gli uomini, possano davvero accontentarsi di poco. Sì, nell’infinito Aperto “L’intima natura dei paesaggio si raggiunge cogliendo il principio strutturale dell’universo”. (Shitao)

Crediti: Salvatore Giammusso, Nakamura Yoshio. Le  strofe  sono  tratte  dal  volumetto Evidenza dell’ovvio edito da Liberedizioni.

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