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Laura Conti, “Questo pianeta”, Fandango, Roma 2022 (terza edizione). La via agro-ecologista di Laura Conti

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La casa editrice Fandango ripubblica il testo di Laura Conti Questo pianeta nella versione riveduta dall’autrice poco prima della sua morte, avvenuta trent’anni fa, il 25 maggio 1993. Uscito in una prima edizione nel 1983 e in un’edizione riveduta e aggiornata nel 1987, Questo pianeta è il testo in cui Laura Conti sistematizzò il risultato di anni di studio dedicati all’approfondimento delle problematiche ecologiche, in dialogo con quelle che erano all’epoca le principali figure scientifiche e intellettuali di questo campo di ricerca. Il risultato è un approccio alla questione ambientale che, oltre a denunciare il capitalismo come meccanismo ciecamente amplificatore di ingiustizie e di squilibri ecologici, accende i riflettori sul nesso energia-agricoltura come nesso metabolico fondamentale da cui dipende, in ultimo, la sostenibilità sul lungo termine di una società. Per Laura Conti, è dalla comprensione di questo nesso che bisogna partire per progettare sistemi sociali sostenibili nella durata e capaci di tradurre nei loro modi di funzionamento obiettivi di giustizia e solidarietà, declinati in una rinnovata consapevolezza delle interdipendenze biofisiche da cui dipende la possibilità della vita umana sulla Terra. Da qui la necessità anche di un nuovo modo di intendere l’emancipazione e con essa un nuovo modo di ragionare sul lavoro.

La terza versione del saggio, rimasta fino ad oggi inedita, aggiorna le versioni precedenti lasciandone sostanzialmente immutata la struttura, permettendoci al tempo stesso di intravedere verso dove gli interessi di Laura Conti si stavano dirigendo, ovvero, verso l’approfondimento delle problematiche connesse con il cambiamento climatico e il nesso tra cambiamento climatico e usi del suolo.

La prefazione che l’autrice terminò di scrivere nell’aprile del 1993, ci permette inoltre di misurare la lucidità con cui Laura Conti assisteva al trionfo, anche tra molti compagni del vecchio PCI, dell’ideologia del There is No Alternative ovvero la visione della “ineluttabilità del sistema capitalista” (p.13, edizione E-book). Ugualmente amare erano le sue considerazioni rispetto all’arcipelago Verde, che le appariva a sua volta incline, in prevalenza, alle seduzioni del nascente capitalismo che oggi definiremmo “green”, avendo abbandonato una chiave di lettura materialistico-sistemica della crisi ecologica e privilegiando “azioni simboliche o locali, prive di un progetto capace di attrarre e mobilitare i cittadini e le comunità’ (p.14, edizione E-book).

In Questo pianeta, Laura Conti ricostruisce, con lo stile saggistico-narrativo che le era proprio, i processi all’origine dell’apparizione e dell’evoluzione della vita sulla Terra concentrandosi poi sulle vicende della specie umana, specie peculiare in ragione del suo essere “eccessivamente versatile” (p.76, edizione E-book). Un eccesso di versatilità che è in grado potenzialmente di mettere a rischio non solo singoli ecosistemi ma l’intero sistema vivente, inteso come “sistema di sistemi”. Un rischio concretizzatosi con il produttivismo industriale diventato globale, trainato dall’impiego di fonti energetiche fossili. Lo snodo cruciale è il passaggio da un “regime metabolico solare” e in prevalenza incentrato sulle esigenze riproduttive a un “regimo metabolico minerario” produttivista[1]. L’analisi prosegue tracciando lo sviluppo delle “tecnologie dell’agricoltura industrializzata” (macchine agricole, fertilizzanti, erbicidi, controllo sulle sementi) ricostruendo la trama delle connessioni che riconducono alle scelte operate in agricoltura fenomeni come la perdita di biodiversità, l’abbandono delle aree rurali, l’impoverimento e la perdita dei suoli, gli squilibri nella distribuzione planetaria dell’accesso al cibo.

Gli ultimi due capitoli sono dedicati a mostrare l’interesse del ragionamento condotto fin qui sulla situazione dell’Italia. Laura Conti lancia l’allerta su quello che vede profilarsi come l’“effetto boomerang” di scelte di politica industriale ecologicamente insensate oltre che caratterizzate da un gioco al ribasso sulla retribuzione del lavoro e la messa in sicurezza del territorio. Per invertire la rotta, a suo avviso, “il primo passo da compiere è di ordine culturale e consiste nella negazione di due grandi miti: il mito che l’industrializzazione costituisca un valore positivo, il mito che costituisca un valore positivo la crescita del volume degli scambi tra un’economia e l’altra”; altrimenti detto “il primo passo da compiere è nell’ambito della ricerca scientifica, (…) la promozione, nel nostro paese, di attività di ricerca scientifica e formazione di quadri nell’ambito degli studi ambientali” (p.229-230, versione E-book). Segue l’indicazione di “cinque programmi irrinunciabili: 1. Lotta agli inquinamenti industriali; 2. Recupero e stabilizzazione dei suoli; 3. Difesa dei patrimoni genetici; 4. Abbattimento dell’inquinamento termico e dell’aumento dell’effetto serra; 5. Riduzione del fabbisogno energetico” (p.232, edizione E-book).

Se l’attualità di molti dei ragionamenti contenuti in questo libro sorprenderà chi lo scopre per la prima volta, ci si può legittimamente interrogare sull’interesse di riproporre oggi un libro scritto negli anni ’80 e rivisto nei primi anni ’90, un libro scritto con l’urgenza di contribuire attivamente a produrre un cambiamento di paradigma che, però, ancora oggi fatica ad affermarsi.

Sono da questo punto di vista preziosi i contributi di Marco Martorelli e Nadia Marchettini, che firmano, rispettivamente, la prefazione e la postfazione. Marco Martorelli fu un amico e un collaboratore di Laura Conti. Seguì, in veste di redattore editoriale, la genesi e la pubblicazione di diversi suoi testi. Si è fatto poi carico, dopo la sua morte, della gestione dell’eredità di Laura Conti, in particolare del suo archivio, oggi depositato presso la Fondazione “Luigi Micheletti” di Brescia. Nadia Marchettini, professore ordinario di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali all’Università di Siena, ha a lungo collaborato con Enzo Tiezzi che fu tra i principali interlocutori di Laura Conti in quella stagione dell’ecologia politica italiana.

Entrambi questi interventi ci forniscono preziose indicazioni per guardare all’opera e alla figura di Laura Conti uscendo dal registro degli omaggi di rito alla ‘madre dell’ambientalismo italiano’. Permettono, infatti, di rivalutarne il contributo in quanto studiosa dei meccanismi della crisi ecologica, riposizionando la sua traiettoria intellettuale all’interno dei dibattiti dell’allora nascente economia ecologica.

Da questo punto di vista, Questo Pianeta mostra la rilevanza dell’influenza sul pensiero di Laura Conti dell’insegnamento di Nicholas Georgescu Roegen. Un’influenza che la portò a prendere le distanze dall’“ottimismo” del “cerchio da chiudere” dell’amico Barry Commoner. Nella sua lettura, il dato dell’entropia e le implicazioni del secondo principio della termodinamica sul “sistema chiuso” che è la Terra incrinavano in modo irrimediabile l’ottimismo sulla possibilità di un ciclo di perpetua rigenerazione quale quello immaginato da Commoner. In questa prospettiva, diventava centrale la questione del tempo. Il tempo non era circolare ma aveva una direzione. Il tempo contava, inoltre, nel senso che le società umane avevano la possibilità di accelerare o rallentare il processo (per Laura Conti inevitabile) di degradazione delle condizioni che garantiscono il mantenimento della vita sulla Terra.

L’agricoltura industrializzata si rivelava allora come un motore straordinario di accelerazione della degradazione delle condizioni di abitabilità della Terra, con un’intensità e una pervasività senza precedenti. Da qui l’importanza, e l’urgenza, di trasformare i sistemi agroalimentari come il primo fondamentale tassello da cui prendere avvio per un ridisegno sistemico generale dei processi economici. Per Laura Conti non c’è in agricoltura alcuna chiusura del cerchio se ci si pone al livello dell’impatto delle pratiche agricole sull’equilibrio globale tra respirazione e fotosintesi. Si poteva però perseguire un obiettivo di maggiore sostenibilità dell’agricoltura, per esempio incentivando la creazione di sistemi agroforestali. Per fare questo, era però necessario un cambiamento radicale di regime metabolico che, inevitabilmente, era anche un cambiamento politico, di rapporti di potere e di modi di vita, un ridisegno complessivo dei sistemi sociali e produttivi. Un’altra economia e un’altra società. Questa rivoluzione, possibile solo con un movimento popolare forte che la sostenesse, era anche una sfida progettuale che aveva bisogno di essere affrontata facendo dell’impegno quotidiano di tutte e tutti nel progettare un futuro ecologico il cuore dell’esperienza democratica.

Questa analisi portava Laura Conti a prendere le distanze dalla fascinazione di molti dentro Legambiente, e di alcuni in particolare, per le prospettive aperte dalla chimica “verde” e dai biocarburanti. Prospettive che Laura Conti giudicava destinate al fallimento perché basate sull’assurdo ecologico di utilizzare “energia alimentare” per produrre “energia non alimentare”. Da questo punto di vista, il ritorno in libreria di Questo pianeta è un’occasione per ritornare con il rigore della ricostruzione storica su questa fase della vicenda di Legambiente, in cui si opera il distacco da una matrice interpretativa critica e sistemica dei problemi ambientali. 

Questo pianeta illustra inoltre il metodo scientifico che Laura Conti utilizzava per analizzare i problemi ambientali e progettare soluzioni. Si tratta di un metodo radicale, lontano dal dogmatismo e dalla chiusura negli specialismi; un metodo basato sullo studio, la ricerca sul campo, la progettazione partecipata (che inizia, a monte, con la definizione condivisa dei problemi), la sperimentazione di soluzioni e l’attenta valutazione degli esiti in modo da alimentare processi di apprendimento e revisione. Un metodo che ha diversi punti di contatto con un approccio di “scienza post normale”[2].

Per Laura Conti era necessario confrontarsi apertamente sulla questione di cosa intendiamo quando parliamo di ecologia, di quali quadri interpretativi ci serviamo per definire la problematica ambientale. Nella sua visione, la prospettiva da cui guardare ai problemi ambientali era quella della sussistenza della specie umana in un sistema vivente da cui tutti i viventi – umani e non – dipendono; un sistema vivente che gli esseri viventi riproducono attraverso complesse relazioni di interdipendenza metabolica.

Il rigore con cui Laura Conti fu coerente con questo quadro di analisi dei problemi ambientali creò spesso incomprensioni rispetto alle soluzioni progettuali da lei prospettate. Fu il caso del suo posizionamento sulla caccia, che provocò reazioni critiche che partivano da una diversa costruzione del problema, più incentrata su questioni etiche e di “valore in sé” della natura.

Nonostante Laura Conti ritenesse fondamentale il confronto di fondo sui quadri interpretativi della questione ambientale all’interno delle forze politiche di sinistra, questa sua esigenza di radicalità mal si adattava a una politica che stava cambiando, anche a sinistra, nel segno dell’immagine, dei protagonismi individuali e della delega ai tecnici delle questioni chiave in materia di economia e sviluppo. L’estrapolazione delle sue conclusioni dal quadro analitico che l’aveva condotta ad assumere quelle posizioni finiva non solo per discreditarne le proposte ma, soprattutto, per oscurare l’urgenza di quel confronto di fondo necessario a capire cosa stiamo facendo quando diciamo di voler difendere l’ambiente. Una questione oggi più che mai cruciale, di fronte al generalizzarsi del ricorso alla difesa dell’ambiente, specie nella versione del contrasto al cambiamento climatico, come motore di un capitalismo sempre più cannibale.


[1] Riprendo qui i concetti utilizzati dall’economista e storico dell’agricoltura Benoît Daviron, si veda Benoît Daviron, Biomasse. Une histoire de richesse et de puissance, QUAE, Versailles, 2019.

[2] Il riferimento è qui ai lavori di Silvio O. Funtowicz e Jerome R. Ravetz. Si veda Funtowicz, S.O., Ravetz, J.R., 1993. Science for the post-normal age. Futures 25 (7), 739–755. https://doi.org/10.1016/0016-3287(93)90022-L.

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