Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Dossier 1972 – Il Sole e l’uomo. Nuove prospettive per l’Eliotecnica

image_pdfScaricaimage_printStampa

 “Responsabilità del sapere”, XXIV (1972), n. 101, p. 24. Agostino Antonio Capocaccia (Busto Arsizio 1901 – Genova 1978), laureato in ingegneria navale e meccanica nel 1923 alla Scuola Superiore Navale di Genova, dal 1939 ottenne la cattedra di Meccanica applicata alle macchine bandito dall’Università di Cagliari e dal 1950 è stato Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova. La sua attività scientifica si è svolta nei differenti rami della Meccanica applicata alle macchine e della Costruzione di macchine, con particolare riguardo allo studio dei cinematismi e ai problemi degli attriti e della lubrificazione dei medesimi, settore in cui elaborò una teoria della “fluido-untuosità”, avvalorata da ricerche sperimentali. È stato Presidente del Consiglio dei 12 Presidi delle Facoltà di Ingegneria italiane e in tale veste ha portato a termine lo studio e la realizzazione della riforma degli studi di Ingegneria in Italia, entrata in vigore dal 1° novembre 1960. Ha fatto parte della Commissione Nazionale per la ricerca industriale istituita dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Autore (con U. Forti e A. Mondini) di una Storia della tecnica (1980).

La grande svolta

L’evoluzione tecnologica si trova di fronte ad una grande svolta. L’euforia generata dall’importanza e dal successo delle scoperte scientifiche e dalla rapidità con cui esse sono state utilizzate in innovazioni tecniche a beneficio di strati sempre più vasti della comunità, sta cedendo di fronte alle preoccupazioni indotte da alcuni effetti nocivi del progresso tecnologico.

Sotto le apparenze di un benessere materiale ogni giorno crescente – alleviamento della fatica fisica ed intellettuale, elevazione del livello di vita, miglioramento del comfort, maggiore possibilità di tempo libero, più flessibile agibilità dei mezzi di trasporto, ecc. – si celavano ed ora vanno rivelandosi con impressionante evidenza i danni arrecati dall’incontrollato impiego di certi apporti scientifici e tecnici. Gli inquinamenti dell’aria, dell’acqua. del suolo, l’alterazione dei prodotti alimentari, l’impiego indiscriminato di aggressivi chimici nella biologia vegetale, l’esodo delle popolazioni dalle campagne e la conseguente concentrazione in agglomerati urbani ad alto indice di addensamento, l’invadenza pressoché saturante degli automezzi, la prepotente imposizione del rumore, gli insulti alla natura e alle opere d’arte, non sono che alcuni degli aspetti negativi del progresso tecnologico.

Chi scrive è stato fra i primi a denunciare la “faccia in ombra” del luminoso astro della tecnica, rischiando perfino di venir tacciato di arretratismo. Purtroppo il tempo gli ha dato ragione. Quei sintomi, che quindici o vent’anni fa erano stati segnalati con preoccupazione, si sono rivelati premonitori di uno status di cui tutti hanno preso coscienza.

Per arrivare a tanto si è dovuto però attendere che il fenomeno assumesse proporzioni allarmanti, talvolta irreversibili.

Gridi di allarme si elevano ogni giorno dai centri più intensamente industrializzati non meno che dalle terre, un tempo floride, oggi desolate. Si organizzano congressi, si nominano commissioni di studio, si stanziano fondi per lo sviluppo di una scienza, l’ecologia, che, se pur non nuova, sta finalmente imponendosi, dopo anni di generale indifferenza o di strane diffidenze, all’interessamento dei politici come dell’uomo della strada.

Dopo una lunga, sommessa e faticosa gestazione, la sua ascesa è stata rapidissima, quasi esplosiva. A dire il vero di ecologia tutti parlano, ma pochi la professano. Che sia già diventata un mito prima ancora di essere realtà?

Ad ogni modo per i fini di questa conversazione non intendo approfondirne gli scopi e le metodologie. M’importa invece far presente, con pieno vigore di convinzione, che sul grande rettilineo dell’evoluzione tecnologica è ora apparso un disco rosso con una piccola freccia verde lateralmente orientata. Ecologia potrebbe anche essere soltanto un nome di comodo per indicare il nuovo orizzonte segnalato dalla freccia verde in direzione del quale siamo tutti invitati a rivolgere i nostri pensieri e le nostre azioni e, in particolare, le attività di ricerca scientifica e di realizzazione tecnica. Un orizzonte d’aria pura al posto di quello fumoso che si addensa oltre il disco rosso; un orizzonte che schiuda al nostro sguardo distese verdi ed alberi in fiore al posto di barriere compatte di cemento; un orizzonte di silenzio invitante alla musica ed alla contemplazione in antitesi al rumore assordante e snervante. Verso questi lidi dovremo orientare il nostro comportamento, ma soprattutto il processo di sviluppo tecnico-scientifico se vorremo dare finalmente alla parola progresso il suo significato più profondo.

L’ansia di conquista di nuove fonti di energia e di nuovi beni materiali, l’aspirazione a nuove vittorie sullo spazio e sul tempo, l’anelito a penetrare ulteriormente il mistero della vita e a illuminare di nuove certezze gli immensi segreti che l’Universo gelosamente ancora custodisce, tutto dovrà tendere a un punto limite: al vero ed autentico bene, e non solo al benessere materiale, dell’uomo e della società.

Se il progressismo materialista in atto dovesse respingere questa “grande svolta”, finirebbe fatalmente col ripiegarsi su sé stesso in un’involuzione annientatrice destinata a trascinare nel gorgo i suoi stessi promotori ed autori e, conseguentemente, per una sorta di reazione a catena, l’umanità intera. Sintomi di questa involuzione sono alla portata dell’uomo della strada che assiste incredulo e disilluso al progredire degli inquinamenti materiali e morali in proporzione crescente con l’aumento del benessere materiale e con l’avvento di nuove scoperte e di nuove macchine.

L’uomo e l’energia

Fra le motivazioni del lamentato attuale status, una mi sembra assumere particolare rilievo: l’energetica, cioè la scelta che, nel suo storico decorso, l’umanità ha fatto delle sorgenti di energia che il mondo fisico le ha poco alla volta rivelate.

La storia della civiltà è intimamente connessa con la storia della tecnica e questa, a sua volta, con la storia delle energie. Si possono individuare periodi che portano i nomi delle “forme” di energia captate successivamente dall’uomo per i suoi fini utilitari: l’era dell’energia vivente (dell’uomo e degli animali), l’era del vento e dell’acqua, l’era del fuoco, l’era dell’elettricità, l’era dell’energia nucleare.

Una energia naturale ha dovuto cedere il passo ad un’altra quando questa è divenuta più largamente disponibile ed il suo impiego più agevole e più economico[1].

Tuttavia nessuna energia è mai riuscita a debellare le precedenti; esse sono ancora tutte presenti nel quadro mondiale di sfruttamento. Le varie ere sono perciò caratterizzate dall’instaurarsi e dallo svilupparsi di una forma su quelle delle ere che l’hanno preceduta.

Per secoli l’uomo ha fatto ricorso soltanto alle energie di superficie (esseri viventi, acqua, vento, legname) cioè a forme sostanzialmente “pulite”. Da due secoli a questa parte hanno preso il sopravvento quelle che io chiamo energie delle tenebre (carbone, petrolio, forze endogene, uranio) cui si deve tanta parte degli attuali inquinamenti.

Per quanto riguarda in particolare l’energia nucleare, la quale trae origine dalla disintegrazione di nuclei di materiali radioattivi (come appunto l’uranio), è noto che essa trasfonde nelle scorie un micidiale potere di contaminazioni radioattive.

La diffusione delle energie delle tenebre è in continuo aumento. Proporzionalmente crescono gli effetti inquinanti. Si direbbe che l’uomo, attirato dalle immense ricchezze del sottosuolo, si è dimenticato del cielo, lasciando da parte proprio la sorgente delle sorgenti, il sole, da cui tutte le altre energie dipendono,

Per quanto si tratti di un luogo comune, è bene richiamare che la maggior parte delle fonti d’energia di cui l’umanità disponeva sino all’era atomica, erano un dono del sole: la vita dell’uomo e degli animali, la circolazione dell’acqua e dei venti, la formazione dei giacimenti di petrolio, la vita vegetale, sono tutti condizionati dal grande astro. Non è del tutto sicuro che l’energia nucleare stessa non sia immagazzinata a causa di un processo cosmogonico legato alla formazione del sole[2].

Non meno scontato è il fatto che l’uomo è tributario del sole. Per la sua costituzione egli è un animale omeotermico e vive a suo miglior agio se la temperatura dell’ambiente è fra 15 e 20°, pur avendo un equilibrio termico a circa 37°. Per questo la culla delle antiche civiltà è sorta preferibilmente nelle zone temperate.

Dai tempi più remoti l’utilizzazione diretta dell’energia solare è stata oggetto di studi: le serre, le protezioni in materia trasparente per primizie risalgono a tempi assai lontani. E ancora potremmo citare la torcia dei giochi olimpici che sembra venisse accesa da specchi metallici ed il culto del Sole da parte degli Incas i cui sacerdoti cuocevano i cibi destinati agli dei mediante specchi di oro lucidato.

Superfluo poi parlare dell’incendio delle navi romane ottenuto da Archimede con i normali specchi, forse di rame, sottratti probabilmente alla vanità delle matrone siracusane.

Venendo a tempi più vicini a noi, ricorderemo che nel XVII secolo il Duca di Toscana riuscì a dimostrare che il diamante era capace di bruciare se esposto a forte concentrazione di luce solare a mezzo di lenti. Nel Cile, nel 1800, era stato realizzato un impianto di distillazione solare di 4800 metri quadrati, capace di fornire 23.000 litri d’acqua dolce al giorno, di cui restano ancora oggi le rovine.

L’utilizzazione del carbone e del petrolio come fonti di energia fece sì che le ricerche sullo sfruttamento dell’energia solare perdessero la loro importanza pratica dagli anni della rivoluzione industriale fino a poco tempo fa. Si trattava pur sempre di utilizzazione di energie naturali, accumulate nel corso di centinaia di migliaia di anni: l’estrema economicità di usare queste riserve di materiali capaci di fornire grandi quantità di energia con piccolo volume – e che in un primo tempo, per l’esiguità del fabbisogno dell’energia dell’umanità, sembravano inesauribili – ha fatto passare in un secondo piano il problema dell’utilizzazione diretta del calore solare. Ma oggi le cose stanno rapidamente cambiando; l’aumento del fabbisogno di energia, di cui si prevede un incremento impressionante sia in relazione all’espansione demografica sia a causa dell’estensione del consumo di kilowattore a popolazioni che ancora non ne dispongono, non permette di pensare inesauribili le fonti accumulate spontaneamente dalla natura in milioni e milioni d’anni.

Di più, come è già stato osservato, l’uso ai fini energetici mediante combustione diretta di sostanze che la chimica sta dimostrando ben altrimenti preziose per l’uomo (alludo, ad esempio, al petrolio o alle materie da esso derivabili) sembra contrario all’economia dei beni di cui disponiamo, perché comporta la distruzione di ricchezze irrecuperabili.

Tuttavia l’estrema diluizione dell’energia solare e la sua discontinuità ne rendono difficile l’utilizzazione diretta, in competizione con le fonti convenzionali come il carbone, il petrolio, i materiali fissili.

Lo scetticismo che ancora pervade gli ambienti scientifici e quelli della produzione di energia è senza dubbio giustificato, ma non sino al punto di condannare ogni tentativo diretto ad approfondire ulteriormente i mezzi per conoscere meglio l’energia solare e per farne utile impiego.

D’altra parte l’esplosione ecologica, di cui è stato fatto cenno, induce a modificare il concetto dì competitività che, dall’esclusivo ambito economico, deve estendersi a un settore più ampio che tenga conto dei reali vantaggi arrecati dall’assenza assoluta d’inquinamento.

Infatti non v’ha dubbio che l’energia solare, in quanto immune da esalazioni e radiazioni nocive, da scorie e detriti di qualsiasi genere, è la più pura di tutte le energie.

Il Sole

Come è noto, il sole è una stella appartenente alla galassia della Via Lattea, ed è costituito da una sfera gassosa, immensamente più grande della terra, formata da gas ad altissima temperatura e mantenuta da processi termo-nucleari. Questi si sviluppano al centro e provocano un trasporto di energia verso la superficie attraverso una tumultuosa agitazione con urti di particelle ed emissioni raggianti.

La temperatura alla superficie è stata calcolata in 5780° K. (circa 5600° centigradi).

Grande importanza assume la costante solare, cioè la quantità di energia raggiante solare che colpisce in un minuto un centimetro quadrato di una superficie piana normale ai raggi e situata alla distanza media fra la Terra e il Sole. Es6a è stata determinata nel valore:

con l’approssimazione del ± 2 %. In base ad essa la potenza del Sole alla distanza media dalla Terra è di 1,4 kW/m2; essa prende il nome di radiazione solare diretta e si può considerare costante fuori dall’atmosfera[3].

La sua esatta misura è stata possibile grazie ai satelliti artificiali. Poiché la variazione diurna della distanza dalla Terra al Sole è assai debole, la radiazione diretta fuori atmosfera è relativamente costante durante la giornata.

Però i raggi solari arrivano generalmente inclinati sulle superfici riceventi, per cui occorre considerare la componente della radiazione in direzione normale alla superficie. Questa ovviamente varia con la latitudine del luogo, con l’epoca dell’anno e con l’ora della giornata. E’ evidente, ad esempio, che, per una lastra disposta parallelamente all’orizzonte, la componente della radiazione solare diretta è nulla alla levata e al tramonto del sole mentre raggiunge il massimo al mezzogiorno vero.

Della immensa energia che il Sole irradia nello spazio, sulla Terra ne cade una quantità estremamente piccola (circa un due miliardesimo) e questa subisce variazioni in dipendenza, oltre che dei fattori di posizione ora detti, anche di fattori fisici. Importantissimi sono quelli inerenti all’atmosfera e alle sue condizioni; essi indeboliscono la radiazione solare. Mi limito ad accennare all’assorbimento esercitato dai gas e dai vapori dell’atmosfera (ossigeno e azoto, argon, elio, gas carbonico, ozono), alla diffusione molecolare di gas, di vapori e di particelle in sospensione (goccioline d’acqua, polveri, fumi, particelle radioattive, particelle organiche, impurità varie),

Infine sull’irraggiamento gioca moltissimo la nebulosità delcielo, la cui distribuzione è molto variabile e, al limite, puòarrivare sino al completo annullamento della radiazione diretta. A titolo informativo ricorderò che la durata annuale d’insolazione varia da 2500 a 3000 ore per il bacino mediterraneo, da 3500 a 4300 per il Sahara ed è di circa 1750 ore per Parigi. L’energia utilizzabile sopra una lastra inclinata d’un certo angolo sul piano orizzontale è somma di tre parti: una dovuta alla componente normale alla lastra della radiazione solare diretta; un’altra dovuta all’irraggiamento riflesso dalla volta celeste eduna terza dipende da riflessioni di eventuali superfici circostanti (pareti rocciose, edifici, ecc.). Purtroppo i dati a disposizione a questo riguardo sono ancora pochi ed incerti,

Dalla carta delle radiazioni globali annue secondo valutazioni approssimate di H, E. Landsberg dell’U.S. Weather Bureau si ricava che, ad esempio, nell’Italia meridionale si può fare assegnamento sopra una energia irradiata di 140 kcal/m2 all’anno, pari a 1630 kWh termici/m2 all’anno, mentre in vaste zone torride dell’Africa si possono superare i 2300 kWh/m2 all’anno. Per dare un’idea più familiare dell’imponenza dell’energia disponibile nelle nostre regioni meridionali, si sottolinea che, grosso modo, il valore suddetto dell’energia per m2 conduce a calcolare che sopra 1 km2 di superficie l’energia termica disponibile sarebbe pari a quella sviluppata da 140.000 tonnellate di nafta in un anno. Nel Sahara si otterrebbe un’energia termica pari a 200.000 tonnellate per ogni km2 in un anno!

Sono cifre iperboliche quando si pensi di quanti km uniformemente soleggiati dispone il deserto del Sahara.

Non può lasciare indifferenti il fatto che una tale immensa ed inesauribile ricchezza sia rimasta sino ad oggi quasi del tutto inutilizzata. Fra le difficoltà che si oppongono al suo razionale sfruttamento prevalgono, per la loro gravità ed importanza, le due seguenti: l’estrema diluizione e la discontinuità.

Infatti la densità superficiale, che nel migliore dei casi raggiunge 1 kiloWatt per metro quadrato, pur apparendo considerevole, è debolissima rispetto a quella che la tecnica è abituata a considerare. Inoltre la variabilità di tale intensità in dipendenza dei fattori elencati in precedenza, culminante col fatto che durante le ore notturne la radiazione si annulla, implica la necessità di accumulatori che presentano tuttora notevoli difficoltà tecniche.

Captazione dell’energia solare

Giova premettere – cosa risaputa – che in linea puramente astratta un corpo nero esposto al sole fuori dell’atmosfera, perfettamente isolato termicamente e messo in condizioni d’irradiare solo calore nella direzione del sole stesso, sarebbe in condizioni di raggiungere la temperatura del corpo nero equivalente al sole, ossia, come già detto, poco meno di 6000° K (corpo nero assoluto). Le cose vanno ben diversamente nel caso di una lastra piana nera che possa irradiare in tutte le direzioni; in assenza di altre perdite, la temperatura massima assoluta raggiungibile sarebbe solo di 409° K, cioè di 136° centigradi.

In pratica, a causa delle inevitabili perdite di energia termica, la temperatura di una superficie nera esposta normalmente ai raggi del sole, può raggiungere al massimo 100 – 120°. Se poi tale superficie dovrà cedere calore a un fluido utilizzatore, la temperatura sarà ulteriormente ridotta.

a) Captazione diretta

Si ottiene esponendo superfici di materiale opportuno ai raggi del Sole ed utilizzando il calore ricevuto o direttamente per riscaldamento di ambienti o indirettamente convertendo l’energia termica in altra forma di energia (elettrica, per esempio).

Uno dei sistemi più antichi e più diffusi è quello di coprire la superficie da riscaldare con una lastra di vetro (effetto serra). Questo materiale possiede l’interessante proprietà di comportarsi come un corpo nero per le radiazioni calorifiche di grande lunghezza d’onda. In effetti, “poiché la reirradiazione da parte della superficie riscaldata avviene a bassa temperatura e quindi a grande lunghezza d’onda, il vetro funziona da trappola di calore, permettendo solo l’entrata delle radiazioni di piccola lunghezza d’onda provenienti dal Sole”[4].

Il sistema della serra può essere oggi migliorato con l’uso delle materie plastiche al posto del vetro. Vaste distese di sottili pellicole di polietilene, leggero e poco costoso, si vedono ormai ovunque nelle nostre campagne per riscaldare le coltivazioni e proteggerle dal gelo e dalle intemperie. Non è il caso di entrare in dettagli.

Risultati di ben maggiore rilievo si sono ottenuti, per quanto attiene alla trasformazione diretta dell’energia solare in energia termica, con l’introduzione delle superfici cellulari antiraggianti presentate per la prima volta dal Prof. Giovanni Francia – considerato oggi fra i maggiori studiosi e realizzatori nel campo dell’Eliotecnica – alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite a Roma nel 1961.

A questo punto conviene dare la parola al Prof. Francia[5]: “Esse consistono sostanzialmente in una struttura a nido d’ape formata di materiali molto comuni come vetro, pyrex, quarzo e materie plastiche, trasparenti alla maggior parte dell’energia solare, ma sufficientemente nere (nel senso fisico della parola) per l’energia reirraggiata di grande lunghezza d’onda. Il principio su cui sono basate queste cellule è il seguente: un raggio solare che incontri la parete di una cellula viene in parte riflesso ed in parte attraversa la superficie. La somma delle energie dei due raggi è praticamente uguale a quella del raggio incidente. Disponendo l’assorbitore perpendicolarmente alle superfici delle cellule non si ha praticamente limitazione dell’energia entrante; viceversa, i raggi caldi emessi dall’assorbitore stesso, di lunghezza d’onda circa dieci volte superiore a quella dell’energia solare, sono praticamente tutti assorbiti dalle pareti delle cellule. Essi si riscaldano ed emettono energia termica che, come ho dimostrato in miei precedenti lavori, ritorna per la maggior parte sull’assorbitore stesso”.      

I risultati ottenuti sopra insolatori a pannelli piani destinati al riscaldamento di serre e di abitazioni, come pure alla dissalazione dell’acqua di mare, sono stati controllati dall’Istituto di Eliotecnica della Facoltà di Scienze di Marsiglia, diretto dal Prof. Perrot, e da altri studiosi della COMPLES (Coopération Mèditerranéenne pour l’Energie Solaire), della quale chi scrive è stato per tre anni Presidente ed è attualmente Presidente Onorario[6].

Tali risultati si sono dimostrati superiori ad ogni aspettativa. Sull’argomento torneremo più avanti a proposito delle centrali solari.

b) Captazione indiretta

E’ basata sulla riflessione e concentrazione dei raggi solari mediante specchi. Si possono raggiungere temperature tanto più elevate, a parità di altre condizioni, quanto maggiore è la superficie riflettente e minore quella ricevente. Scopo della concentrazione è quello di aumentare il rendimento dell’utilizzazione dell’energia solare.

Quanto alla costituzione degli specchi, tre sono i fattori da prendersi in considerazione:

a) materiali

b) forma geometrica

c) possibilità di variare orientazione secondo la posizione del sole relativamente al luogo d’installazione.

a)  Molti sono i materiali proposti ed utilizzati: vetro argentato o alluminato, alluminio speculare, metalli vari e materie plastiche ricoperte da un film di alluminio depositato per processo anodico; plastica alluminata per vaporizzazione sotto vuoto e protetta, con lo stesso procedimento, da un film di silicio o d’alluminio, ecc.[7]. Anche l’acciaio inossidabile è stato utilizzato; lasua inalterabilità e resistenza non sono tuttavia compensate da un buon potere riflettente. In sostanza l’alluminio puro rimane ancor oggi il materiale più conveniente.

b) Quanto alla forma geometrica gli specchi possono classificarsi in:

– piani

– a superfici sviluppabili (conici, cilindrici a direttrice circolare, parabolica, ecc.)

– a superfici non sviluppabili (sferici, paraboloidi di rivoluzione, tori paraboloidici, ecc.).

Gli specchi piani sono utilizzati come eliostati orientabili per dirigere i raggi solari su uno specchio curvo di posizione fissa che, a sua volta, concentra i raggi nella zona focale. Si usano “in batteria”, ottenuta accostando decine e talvolta centinaia di specchi di piccole dimensioni, rettangolari o circolari, ognuno dei quali è suscettibile di assumere, a comando, l’orientazione adatta a far convergere i raggi sulla superficie ricevente.

c) Quanto alla orientazione degli specchi piani o leggermente incurvati il problema sostanziale è quello di far convergere i raggi riflessi, ad ogni momento del giorno, nella zona o sul punto considerato, riducendo al minimo la dispersione. I raggi che provengono dal sole sul campo degli specchi possono considerarsi paralleli, data la grande distanza dell’astro rispetto alla distanza reciproca fra gli specchi. Ad ogni raggio incidente deve corrispondere un raggio riflesso che deve cadere sulla superficie ricevente. Perciò ad ogni specchio corrisponde un proprio angolo formato fra raggio diretto e raggio riflesso, onde, se si vuole che tutti gli specchi facciano convergere i propri raggi nel punto o nella zona prestabilita, occorre orientarli ognuno a suo modo e ciò, sia ben chiaro, non una tantum, ma d’istante in istante secondo la posizione relativa diurna e stagionale del sole rispetto alla posizione di ciascuno specchio.

Problema, come si vede, assai complesso, che ha trovato una brillante soluzione negli studi del già citato Prof. Giovanni Francia[8].

Non potendo entrare in dettagli, mi limiterò a dire che ogni specchio è sostenuto da un proprio cinematismo, costruito in serie, suscettibile di dare allo specchio l’orientamento “attuale” esatto; i singoli meccanismi sono collegati fra loro cinematicamente e fanno capo ad un volantino di manovra, girando il quale ogni specchio assume la propria voluta posizione. La manovra è automatizzata essendo affidata ad un orologio solare.

Tale sistema è stato attuato nella centrale solare di Genova S. Ilario, costruita dal Prof. Francia sotto gli auspici dell’Istituto di Meccanica Applicata alle Macchine diretto dallo scrivente, e con i fondi del C.N.R.

In tale impianto il captatore dei raggi riflessi dagli specchi è costituito da una superficie cellulare (a nido d’ape, secondo i principi già esposti) che raccoglie e concentra il calore irraggiato riducendo al minimo la dispersione. Questo viene ceduto, mediante uno scambiatore tubolare – la cui geometria è stata appositamente studiata – a una massa d’acqua circolante nel fascio tubiere

Tale particolare tipo di caldaia solare ha consentito di ottenere con una superficie di specchi di 150 m2 circa 150 kg/ora di vapore a 500° e a 150 atmosfere.

La centrale solare di Genova – S. Ilario sta subendo ulteriori perfezionamenti ed è considerata uno degli impianti piloti più avanzati.

Dopo questa digressione, completiamo la rassegna degli specchi dal punto di vista della forma geometrica.

Fra gli specchi a superficie sviluppabile, meritano menzione;

– gli specchi conici, generalmente con angoli al vertice inferiori a 45°, i quali fanno convergere i raggi solari, dopo alcune riflessioni successive sulle pareti, verso la base del cono dove è collocata la superficie riflettente;

– gli specchi a superficie parabolica e a generatrice rettilinea che fanno convergere il fascio di raggi solari fra loro paralleli sui punti della retta focale delle parabole, dove possono raggiungersi temperature assai elevate. L’utilizzatore dell’energia termica così prodotta (per esempio, un tubo percorso da acqua) viene collocato lungo la retta focale (concentrazione lineare);

– gli specchi a direttrice circolare (limitata a meno di 180°) e a generatrice rettilinea che funzionano presso a poco come i precedenti, ma con una riflessione ovviamente meno concentrata.

Fra gli specchi a superficie non sviluppabile emerge per praticità il paraboloide di rivoluzione disposto col proprio asse geometrico parallelo ai raggi solari. Questi vengono riflessi nel fuoco della parabola.

La concentrazione è pertanto puntuale. Ne sono stati costruiti molti esemplari, alcuni dei quali giganteschi, capaci di concentrazioni termiche sino a 4.000° K.

Il carattere divulgativo di questa nota non consente di entrare nei dettagli costruttivi dei singoli specchi, di tutti i sistemi per adeguare la loro orientazione alla posizione del sole e neppure negli accorgimenti studiati per riunirli in parallelo, in modo da costituire grandi superfici riflettenti piane, cilindriche, parboloidiche, toroidali.

Le applicazioni generali dell’energia solare

Le ricerche scientifiche sulle complesse trasformazioni che avvengono nel sole sono alla base degli studi sulle radiazioni solari e sul modo di utilizzarle per i bisogni dell’uomo sulla terra e, in questi ultimi anni, per le esigenze delle imprese spaziali.

Fra le principali applicazioni considereremo le seguenti:

1) Centrali solari per produzione di energia;

2) Produzione di sorgenti termiche pure ad elevatissima temperatura;

3) Insolatori vari;

4) Sistemi per migliorare l’effetto serra e i processi di fotosintesi;

5) Convertitori diretti dell’irraggiamento solare in energia elettrica (eliopile, fotopile, celle solari, ecc.).

1) Centrali solari per produzione di energia

Si tratta come già detto, di concentrare l’energia solare che, per sua natura, è estremamente diluita, facendola convergere a mezzo di specchi, o di sistemi composti di superfici riflettenti, in uno scambiatore di calore o caldaia. Questo è generalmente costituito da un fascio di tubi nei quali circola l’acqua che, a sua volta, può essere utilizzata direttamente come mezzo di riscaldamento (ma ciò riguarda la seconda categoria di applicazioni della quale si parlerà successivamente) o sotto forma di vapore saturo o surriscaldato. Il vapore viene poi utilizzato in impianti convenzionali a turbina o a macchina alternativa per la produzione di energia elettrica o meccanica.

Il costo e l’ingombro delle installazioni di questo genere, la loro manutenzione e il rendimento ancora modesto della captazione dell’energia solare non consentono di rendere la produzione di energia solare o meccanica, all’uscita, competitiva con quella prodotta a mezzo del carbone, del petrolio, ecc. Tuttavia le ricerche, sia dal punto di vista scientifico sia da quello tecnico, procedono alacremente in tutti i paesi – con particolare riguardo questa volta in quelli in via di sviluppo – per cui di anno in anno si accorcia il divario fra il costo del kWh prodotto con gli impianti solari e il costo relativo agli impianti convenzionali.

Tuttavia sul problema della competitività ci riserviamo di tornare a conclusione della presente relazione.

2) Produzione di sorgenti termiche pure ad elevatissima temperatura

Lo stesso principio su cui sono costruite le centrali solari permette di essere sfruttato non per produrre energia elettrica, meccanica ecc., ma per ottenere sorgenti purissime di temperature estremamente elevate. Queste installazioni prendono il nome di forni solari. Concentrando con superfici riflettenti i raggi del sole in zone estremamente ridotte – come potrebbe ottenersi, ad esempio, con uno specchio paraboloidico e ponendo l’utilizzatore nel fuoco di detto paraboloide – si possono raggiungere, come già osservato, temperature di qualche migliaio di gradi. L’impianto più importante costruito per questo scopo è quello progettato dal Prof. F. Trombe e costruito a Mont-Louis; con una superficie di specchi di varie centinaia di metri quadrati si concentrano i raggi in una cella rotante nella quale si raggiungono temperature sino a 4000° K. Il poter disporre di temperature così elevate allo stato puro, cioè non contaminate dalla presenza di altri gas o impurità, consente di effettuare studi di carattere molto avanzato sopra nuovi materiali e sulle loro proprietà.

3) Insolatori vari

Sono generalmente costituiti da pannelli piani con caratteristiche tali da ridurre al massimo l’assorbimento del calore solare e minima la dispersione. Il tipo più elementare, noto fin da tempi remoti, è formato da una lastra di materiale trasparente sovrapposta parallelamente ad una superficie annerita al di sotto della quale viene fatta circolare una lamina d’acqua o viene disposto un fascio tubiero entro il quale scorre l’acqua da riscaldare o per circolazione naturale o per circolazione forzata.

L’acqua calda viene utilizzata per il riscaldamento di ambienti, per la cottura di cibi, per l’ebollizione e la distillazione di acqua marina, per l’essicazione e conservazione di prodotti alimentari (frutti, verdure, pesci). Tutta una serie di importanti ricerche è stata condotta in questi ultimi anni, ed è tuttora in via di sviluppo, per migliorare il rendimento degli insolatori cioè per ridurre la superficie a parità di produzione o per aumentare la produzione di acqua calda o di vapore a parità di superficie. Fra le innovazioni più interessanti vi è la soluzione cellulare del Prof. Francia, già citata in precedenza. Interponendo fra la lastra di vetro, o di altro materiale convenientemente trasparente, e la superficie annerita uno strato cellulare a nido d’ape o similare di materia plastica, si riesce a migliorare il rendimento in misura eccezionale, in quanto ogni cellula esercita una funzione captatrice dei raggi tale da ridurre enormemente le perdite per riflessione. Gli insolatori del tipo ora detto o di altri consimili, hanno un grande avvenire, soprattutto nei paesi molto soleggiati e nei quali la disponibilità di energia è rara o addirittura nulla. In Israele, ad esempio, sono stati costruiti insolatori su modello del Prof. Tabor in alcune decine di migliaia di esemplari, diffusi nelle regioni/desertiche per la cottura dei cibi, lungo le coste per la dissalazione dell’acqua di mare, nelle zone montuose per il riscaldamento. Gli insolatori possono pure essere usati come produttori di frigorie.

4) Sistemi per migliorare l’effetto serra e i processi di fotosintesi

La diffusione delle coltivazioni in serra ha avuto un incremento importante sia nei paesi ad elevato sviluppo agricolo per la produzione di primizie, sia in quelli scarsamente soleggiati per introdurvi coltivazioni che il sole e il clima rifiutano. Chi con l’aereo sorvoli regioni del centro e del nord Europa, rimane oggi impressionato dalla vista di immense distese di serre. In Belgio, ad esempio, si produce il vino con le viti coltivate in serra. Del resto anche nel nostro paese la coltivazione in serra sta assumendo proporzioni sempre più vaste. L’eliotecnica sostituisce ai vecchi schemi soluzioni sempre più progredite allo scopo di ottenere una migliore regolazione della temperatura interna e della luminosità in armonia con le esigenze di accelerare nella giusta misura il processo di fotosintesi. Importanti sono pure i sistemi di accumulazione del calore nelle ore di maggiore insolazione per ridurre l’escursione termica durante le 24 ore e ciò tenendo anche conto delle variazioni stagionali.

La fotosintesi clorofilliana fondamento della energetica biologica, non utilizza che certe bande di frequenza situate nel campo visibile. Si tratta allora di convertire le parti esterne dello spettro solare in forma dì energia adatta ai bisogni dello tecniche attuali o future dell’uomo. Le serre di tipo convenzionale non rispondono a questo scopo. Sono allo studio, già sperimentate con successo, serre particolari, dette “selettive”, nelle quali si realizza una selezione fra l’irraggiamento solare destinato alla fotosintesi e quello convertibile in energia termica; questa può essere utilizzala sul posto, ad esempio, per dissalare l’acqua di mare, nelle zone aride e rivierasche, convertendola in acqua dolce per irrorare le stesse coltivazioni protette dalla serra. Le soluzioni a questo riguardo sono molteplici: meritano di essere citate quelle di Trombe a Mont-Louis, quelle di Boutière in Francia (Laboratoire Arago, Banyuls sur Mer).

5) Convertitori diretti dell’irraggiamento solare in energia elettrica (eliopile, fotopile, celle solari, ecc.)

I fotoni emessi dal sole, la cui direzione è quella dei raggi luminosi, agiscono in modo diverso a seconda dei materiali sui quali essi incidono. Il carattere divulgativo di questa relazione non consente di entrare nei dettagli di principi fisici e di realizzazioni costruttive che richiederebbero ben più approfondita trattazione. Sostanzialmente il problema è quello di convertire direttamente le radiazioni solari in energia elettrica. Le eliopile sono incontestabilmente il mezzo più semplice per produrre elettricità direttamente partendo dai raggi solari. Quelle al silicio iperpuro e al solfuro di cadmio stanno avendo notevole diffusione, anche se il costo del kW risulta estremamente elevato[9].

Le eliopile sono impiegate nelle regioni desertiche lontane da qualsiasi fonte di energia allo scopo di alimentare batterie relais per le telecomunicazioni civili. Soprattutto interessanti sono le applicazioni recenti sopra i satelliti artificiali. In questo caso il rendimento è migliore di quello ottenibile sulla superficie terrestre data la maggiore purezza dell’atmosfera. Il rendimento passa poi a valori notevolmente più alti per le applicazioni sui veicoli spaziali, cioè in assenza di atmosfera.

Le ricerche in questo settore stanno avendo uno sviluppo impressionante ed aprono nuovi orizzonti per lo sfruttamento dell’energia solare in sostituzione di altre sorgenti impure.

Tuttavia è bene precisare che nelle missioni spaziali Apollo sono state preferite le “pile a combustibile” costruite dalla Pratt e Whitney della United Aircraft, capaci di erogare 2,3 chilowatt sotto una tensione continua di 20,5 volt. Esse si basano sulla magneto-fluido-dinamica, una scienza fertile di interessanti applicazioni nel campo della conversione diretta da energia termica ad elevatissime temperature in energia elettrica[10].

Conclusione

L’inventario delle risorse del globo, dal punto di vista energetico, è in corso di continuo aggiornamento. Non c’è paese ormai che non formuli il proprio piano pluriennale di sviluppo industriale in base alle risorse d’energia.

Queste sono di due specie: a riserva finita e a riserva infinita.

Le prime sono quelle di cui si prevede l’esaurimento nell’ambito di qualche generazione e la cui velocità di costituzione degli stocks è inferiore a quella del consumo (legna, carbone, petrolio, uranio). Essendo localizzate nello spazio, pongono problemi di distribuzione e di scambi quando si voglia estendere la loro utilizzazione su una grande superficie territoriale. Non si può escludere tuttavia che la tecnica scopra altre sorgenti di questo tipo, ma il loro sfruttamento sarà sempre limitato nel tempo.

Le seconde comprendono l’energia solare e quelle che ne derivano nel grande ciclo termodinamico naturale come, ad esempio, l’energia idroelettrica, l’energia delle maree, come pure quella che potrebbe ricavarsi dal dislivello fra la temperatura del mare in superficie e quella degli strati più profondi; infine l’energia nucleare di fusione dell’idrogeno quando fosse risolto il problema della regolazione di un fenomeno che finora si è rivelato solamente nel suo terrificante aspetto esplosivo.

Le risorse di tipo inesauribile sono ripartite su spazi assai grandi con densità relativamente deboli. Per inciso, osserviamo che lo sfruttamento delle precipitazioni atmosferiche per gli impianti idroelettrici richiede la concentrazione dell’acqua piovana o di scioglimento delle nevi da bacini imbriferi molto estesi in bacini di carico assai ristretti.

Per quanto attiene, in particolare, all’energia del sole si sono già messe in evidenza le peculiari caratteristiche e le implicazioni derivanti dall’estrema diluizione e dalla discontinuità.

Dai tempi dei tempi il Sole ha condizionato le possibilità e le modalità della vita sulla terra. Le antiche mitologie hanno fatto del Sole il centro degli interessi e delle aspirazioni religiose. Anche se sono fra loro differenti le concezioni, i riti, le forme mitiche, si osserva tuttavia che le divinità solari compaiono in tutte le religioni panteistiche.

L’homo sapiens è sempre stato considerato come parte integrante della natura; egli stesso è natura ed è sottomesso alle stesse leggi fisiche e biologiche che regolano l’universo,

L’homo mechanicus, quale è andato gradatamente formandosi entro le costrizioni e i condizionamenti imposti dal progresso tecnologico, è ormai divenuto immemore della sua origine,
della sua divina sostanza e soprattutto della funzione che il Creatore gli ha attribuito di conservare e valorizzare i beni, le risorse e le meraviglie dell’ambiente che lo circonda. Immemore dei doni
ricevuti egli ha avuto la presunzione di poter aggiungere ad essi qualcosa di più e di meglio e di sostituire al mondo naturale un mondo artificiale più rispondente all’urgenza dei bisogni materiali.

I danni arrecati da una tale sovrapposizione si rivelano ogni giorno sempre più gravi. I contributi straordinari arrecati dall’ingegno umano al miglioramento della natura (si pensi, ad esempio, al miglior sfruttamento del suolo, alla valorizzazione di zone aride, ai progressi della biologia e delta medicina, al debellamento di certe malattie, alla riduzione della mortalità infantile, al prolungamento della vita media, allo sviluppo delle comunicazioni, alla riduzione della fatica fisica e mentale, ecc.) appaiono spesso frustrati dal deterioramento della natura stessa come conseguenza dell’invadenza incontrollata della macchina, degli irrazionali insediamenti industriali, dell’incapacità di eliminare detriti, esalazioni nocive, rumorosità snervanti, inquinamenti di ogni genere.

La rottura degli equilibri biologici è un’altra delle conseguenze che invano ci illudiamo che la natura stessa possa compensare e tamponare.  

Ma, come già detto nell’introduzione, siamo arrivati al momento di cambiare rotta. Ne va di mezzo l’avvenire della nostra specie a meno che si voglia riportare, dopo aver tutto distrutto, l’uomo a condizioni di vita che neppure potrebbero ormai più paragonarsi a quelle dei cavernicoli,

Tutto ciò è legato ovviamente al tanto discusso problema dell’espansione demografica. Gli studiosi, dell’argomento stimano che dall’attuale fase di accrescimento esponenziale della popolazione si dovrà passare ad una fase logaritmica che sola sarebbe in grado di assicurare la perennità della specie e una velocità d’evoluzione compatibilmente con l’evoluzione biologica, ancora incontrollata.

Una soluzione in questo senso dovrà essere trovata nel corso dei prossimi anni.

Ma anche in questa ipotesi ottimista resteranno aperti numerosi problemi, per la soluzione dei quali potrà esercitare una funzione importante quella che oggi viene chiamala Eliotecnica ecologica.

“Di fronte al pericolo attuale – scrive Henri Boutière[11] – bisogna infrangere questa utopia d’un mondo necessariamente in via d’espansione indefinita e questo eufemismo politico che fa chiamare “paese in via di sviluppo” qualunque paese che attualmente non è ancora minimamente sviluppato”.

Sino ad oggi gli studi sull’energia solare sono stati ispirati al raggiungimento di un grado di competitività tollerabile rispetto alle altre forme di energia. In sostanza si è trattato di una eliotecnica “concorrenziale”, indubbiamente interessante quanto a stimolo per la ricerca, ma arrivata troppo tardi quanto ad applicazioni tecniche rispetto al livello raggiunto dall’impiego delle altre forme.

Pertanto si parla oggi insistentemente di una nuova eliotecnica che dovrà essere ecologica nel senso di rispettare il ruolo termodinamico e biologico del sole, una scienza dunque suscettibile di essere sviluppata a grande scala senza rischio di polluzione o di rottura di equilibri biologici per fornire energia, prodotti alimentari e per mantenere il tasso di ossigeno senza limiti di durata (Boutière, op. cit.). Ed io aggiungo “per dissalare l’acqua di mare”, non solo allo scopo di venire incontro alle crescenti richieste dell’industria, ma anche per soddisfare alla sete e ai bisogni domestici in zone aride, specie in previsione dell’avvento di scarse o nulle precipitazioni atmosferiche, quale ci viene preconizzato dai meteorologi.

Fra i nuovi campi affrontati dall’eliotecnica ecologica si presentano di grande interesse gli studi per l’architettura dell’irraggiamento (Touchais) e per l’urbanistica solare.

Un progetto di “città solare” è stato presentato nell’ottobre 1970 alla riunione annuale della COMPLES a Sanremo dal Prof. Francia e da una équipe di giovani architetti da lui guidati (Amirfeiz, Bertalotti, Moresco, Pagano),

Lo studio, che è in corso di pubblicazione sulla rivista “L’Urbanistica”, ipotizza una struttura urbana da progettare in modo da sfruttare tutti i benefici dell’energia solare e precisamente:

  • illuminazione naturale, a mezzo di superfici riflettenti, degli spazi interni, in modo che i raggi del sole giungano anche là dove, seguendo gli schemi convenzionali dell’architettura classica e moderna, il loro ingresso è precluso;
  • zone verdi disponibili anche a piani elevati grazie all’azione della “luce guidata”;
  • piscine aperte e coperte a riscaldamento solare;
  • riscaldamento degli ambienti e produzione d’acqua calda con energia solare e con accumulazione per le giornate prive di sole;
  • centrale solare per la produzione di energia elettrica per illuminazione urbana e per usi domestici;
  • accumulatore destinato ad utilizzare l’energia estiva eccedente.

Non ci nascondiamo le difficoltà di realizzazione che sono molte e svariate; tuttavia tecnicamente non impossibili a superarsi. Il problema presenta maggiori dubbi se considerato dal punto di vista economico. Sotto questo angolo visuale può apparire addirittura fantascientifico.

Ma ogni ardimento nelle innovazioni della tecnica parte da illuminazioni della fantasia per cui non è azzardato accostare il modo di concepire del tecnico a quello dell’artista quando si tratta di nuove forme.

Tuttavia l’aspetto economico non è che una delle feritoie dalle quali, chiusi nella nostra turris eburnea di presunzione critica, noi osserviamo la realtà. Occorre mutare la nostra posizione di osservatori; porgere l’occhio ad altre feritoie o meglio salire sulla torre ed esaminare la stessa realtà inserita nell’ampia visione d’insieme a tutto giro d’orizzonte. Allora potremo accorgerci, ad esempio, che tanti pregiudizi economici di competitività ristretta al solo costo del kilowattora prodotto con l’impiego dell’energia solare o al costo del kg d’acqua dissalata dal mare per mezzo del sole o alla caloria erogata agli ambienti con elio-riscaldatori o infine ai watt prodotti dalle celle solari, cadrebbero se tutto ciò fosse messo in relazione coi luoghi e coi tempi e soprattutto con le esigenze di evitare i danni connessi all’impiego di quegli impianti e di quei metodi che sono stati presi come pietra di paragone.   

L’eliotecnica apre dunque nuovi orizzonti alla soluzione di numerosi problemi per il conseguimento di un nuovo migliore rapporto fra l’uomo e l’ambiente e di un maggior rispetto per la natura e per i suoi equilibri biologici, problemi  che assillano l’umanità di oggi asservita ai condizionamenti negativi dell’evoluzione tecnologica.

Non ci nascondiamo le difficoltà. Questa scienza è ancora bambina e i suoi cultori operano ancora con spirito pionieristico. Li anima la fiducia che l’umanità possa un giorno lasciare alle spalle le impure energie delle tenebre per valersi di quella purissima della luce solare.

Ed io mi auguro che non si tratti solo di una svolta di carattere fisico. Mi soccorre San Paolo: “La notte è avanzata, il giorno vicino. Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”(Lettera ai Romani 13, 11-14).


[1] A. Capocaccia, Umanesimo della macchina, in “Humanitas”, VIII, Brescia, 1953.

[2] M. Perrot, La houille d’or, Imprimerle Croulzet, Paris 1963.

[3] F. Zacar, Il Sole, Conferenze dell’Osservatorio Astronomico di Milano-Merate, Milano 1968.

[4] C. Ricci, L’Energia Solare, Bollettino Finsider, n. 213, Roma, novembre 1964.

[5] A. Capocaccia, Energia dal Sole, in “Energìa”, Roma, novembre 1967.

[6] La COMPLES pubblica un bollettino che può essere richiesto rivolgendosi alla Segreteria Generale della COMPLES – Facoltà di Scienze -Saint Jerome – Marseille. Altra interessante rivista è pubblicata da un’altra Associazione scientifica che riunisce studiosi di tutto il mondo: la Solar Energy– Arizona State University – Tempe – Arizona U.S.A. Degni di consultazione sono pure i Cahiers dell’AFEDES, Association Français pour l’Étude et le Développement des Applications de l’Energie Solaire (Rue de la Source 28 – Paris XVI°).

[7] M. Perrot, op. cit.

[8] G. Francia, Impianti pilota per centrali solari. Solar Energy Society, Sezione Italiana, Stamperìa Napoletana, Napoli, novembre 1967.

[9] Fotoelementi ad ossidulo di rame sono particolarmente adatti ad agire sotto l’azione della luce solare in base all’effetto fotoelettronico di strato di sbarramento che consente di trasformare direttamente l’energia radiante in energia elettrica senza l’ausilio di una tensione ausiliaria. I fotoelementi ad ossidulo di rame sono particolarmente adatti per la luce solare e presentano un rendimento dello 0,5 % superiore a quello delle fotocellule che utilizzano altri semi-conduttori (Lencer, Enciclopedia della Tecnica, Ed. PEM, Novara).

[10] Cfr. M. Kinc Hubbert, Le risorse energetiche della Terra, in “Le Scienze”, Milano, dicembre 1970.

[11] H. Boutière, Ecologie, environnement et héliotechnique, memoria presentata alla Rencontre générale du COMPLES, Atene, 4-9 ottobre 1971.

image_pdfScaricaimage_printStampa
Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articolo Precedente

Dossier 1972 – Forse entro cento anni la fine del mondo. I limiti allo sviluppo in uno studio del mondo condotto da un’equipe del Mit per conto del “Club di Roma”

Articolo Successivo

Editoriale n°48

Articoli Collegati
Total
0
Share