Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Inquinamento da sostanze poli e perfluoroalchiliche (PFAS)

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Nella categoria delle sostanze organiche, il fluoro, legandosi principalmente con l’ossigeno, forma composti e catene polimeriche estremamente stabili, come i famigerati CFC (Cloro-Fluoro-Carburi) depletori dell’ozono usati un tempo nei circuiti di refrigerazione e come propellenti per gli spray. Fra questi composti, le sostanze poli e perfluoroalchiliche, denominate PFAS (Per- and Poly-Fluoro-Alchyl Substances), compongono una grande famiglia di composti di sintesi introdotti negli anni ‘40 del Novecento per le loro proprietà ignifughe e idrorepellenti. Gli PFAS sono infatti costituiti da catene di atomi di carbonio parzialmente o totalmente sostituiti con atomi di fluoro e, come le plastiche convenzionali (costituite da monomeri di carbonio polimerizzati con sintesi di doppi o tripli legami chimici, catalizzate anche con l’aggiunta di cloro come per il poli-vinil-cloruro PVC) possono costituire pellicole di spessore ridotto da decine a centinaia di micrometri che rendono impermeabili e resistenti al calore superfici come quelle delle padelle antiaderenti presenti nelle nostre cucine, così come i tessuti e i materiali antifiamma e antiossidanti, utilizzati principalmente nei settori aeronautico e militare. Fu proprio la ricerca di nuovi materiali in campo militare a portare nella seconda metà del Novecento allo sviluppo di migliaia di derivati organici contenenti fluoro raggruppati nella famiglia degli PFAS con ricadute applicative anche nel settore civile dove sono utilizzati come rivestimenti antiaderenti, isolanti e lubrificanti di pentole, motori, e guarnizioni. Il prodotto più noto è il PTFE, commercializzato in forma di nastro con il marchio TEFLON.

Purtroppo, proprio a causa della loro stabilità e resistenza agli agenti chimico-fisici, gli PFAS sono inquinanti organici persistenti e una volta dispersi nell’ambiente vengono assimilati dagli organismi vegetali e animali, umani compresi. La lotta per la loro eliminazione è in corso dall’inizio del millennio. In Europa e negli Stati Uniti i composti PFAS con 8 atomi di carbonio con sigla PFOS (acido per-fluoro-ottan-sulfonico) e PFOA (acido per-fluoro-ottanoico, o acido penta-deca-fluoro-ottanoico, capostipite dell’intera famiglia PFAS), sono stati dichiarati pericolosi per la salute e sono stati banditi dalla produzione a partire dallo scorso decennio.

Cattive acque (Dark Waters, 2019) un film diretto dallo statunitense Todd Haynes racconta la vicenda che ha visto negli USA la comunità di Parkersburg, West Virginia, lottare per vent’anni con l’avvocato Robert Bilott contro la multinazionale DuPont che aveva accumulato scorie di lavorazione degli PFAS poi percolate nelle falde acquifere con gravi danni di salute per la comunità locale. Si scoprì che l’azienda sapeva della tossicità del PFOA dal 1961 e che dal 1981 aveva prove di malformazione alla nascita in bambini nati da donne che lavoravano per la DuPont, poi ritirate dal lavoro con il Teflon. Il monitoraggio dell’acqua potabile condotto nel 1984 confermò livelli elevati di PFOA nei pressi degli stabilimenti, ma ridurre le emissioni di PFOA non era per l’azienda ‘economicamente sostenibile’ (si vedano Nathaniel Rich, The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare, New York Times Magazine, 6 giugno 2016, e Robert Bilott, Exposure: Poisoned Water, Corporate Greed, and One Lawyer’s Twenty-Year Battle against DuPont, Simon and Schuster, 2019).

Nel 2004, la DuPont ha patteggiato un risarcimento di 343 milioni di dollari per la causa collettiva condotta da Bilott, che riguardava in quel momento 80.000 querelanti in 6 distretti. L’Agenzia USA per la protezione dell’ambiente (EPA) ha chiuso la causa contro DuPont con una sanzione di 16,5 milioni di dollari per la mancata informazione sui rischi per la salute. L’accordo prevedeva che DuPont risanasse l’acqua potabile con livelli di PFOA superiori a 0,4 ppb (parti per miliardo) e che lo eliminasse gradualmente entro il 2015. La controversia è ancora in corso e sono molte le cause intentate contro la multinazionale per l’inquinamento da PFAS.

Impatto sull’ambiente e sulla salute

Come già ricordato, le proprietà chimico-fisiche ricercate per le loro applicazioni industriali dell’ampia famiglia degli PFAS e in particolare la stabilità e l’inerzia, ne determinano le proprietà di tossicità, trasporto e bio-accumulo, sia in acqua, sia nella catena alimentare fino all’uomo. È opportuno un parallelismo con la storia dell’amianto che – seppure non contenga fluoro e sia una sostanza inorganica – fu commercializzato ed esaltato per le stesse caratteristiche tecniche degli PFAS (ignifugo, resistente, economico …). Le innovazioni tecnologiche, i nuovi materiali, i nuovi metodi produttivi hanno frequentemente portato con sé anche nuovi pericoli per la salute di operai e cittadini (o effetti collaterali indesiderabili per le partorienti e i neonati causati da nuovi farmaci come il Talidomide e lo Stilbestrolo) che, direttamente, ne sperimentavano l’impatto – ‘l’onere della prova’ di nocività – nei luoghi di vita e di lavoro. Non solo per l’amianto, l’industria del mercurio o la combustione di risorse fossili, anche per le radiazioni ionizzanti, gli alogenuri di carbonio depletori dell’ozono, i pesticidi e gli antidetonanti delle benzine – per dirne alcuni – la rapidissima diffusione, la distribuzione e l’uso ubiquitario dei nuovi ritrovati hanno sistematicamente ostacolato le capacità collettive di comprendere, riconoscere e rispondere ai pericoli che questi rappresentavano, sovente in modo tutt’altro che inatteso, in tempi sufficientemente rapidi per evitare danni permanenti all’ambiente e alla salute.

L’esposizione alle sostanze PFAS disperse nell’ambiente colpisce le popolazioni principalmente attraverso la catena alimentare, con la fauna ittica e l’uso di acque contaminate come maggiori fonti di accumulo nella dieta umana. Gli studi condotti su popolazioni sempre più ampie imputano agli PFAS rischi di cancerogenicità e di soppressione delle funzioni immunitarie (immunodeficienza) ed effetti come disruttori endocrini e del sistema nervoso. Il patteggiamento della DuPont del 2004 oltre ai risarcimenti prevedeva la creazione di un gruppo di studi su PFAS C8 (con 8 atomi di carbono) per raccogliere informazioni epidemiologiche e determinare quali danni comportasse in particolare l’esposizione al PFOA. Il progetto, completato nel 2013, ha collegato tale esposizione a 6 malattie: colite ulcerosa, ipertensione indotta dalla gravidanza, malattie della tiroide, tumore ai testicoli e tumore ai reni.

Complessivamente, la famiglia degli PFAS è formata da migliaia di composti tossici incolori, inodori e insapori, che non vengono degradati se non minimamente dall’ambiente e pertanto si accumulano nelle falde acquifere, nei terreni e negli organismi. Sono state identificati quasi 5.000 PFAS, 3.000 dei quali sintetizzati ad hoc e i restanti formati per trasformazione ambientale o come sottoprodotti dei processi di produzione e utilizzo di queste molecole. Per questo sono inclusi fra i cosiddetti forever chemicals: inquinanti eterni.

Medicina Democratica ha dedicato agli PFAS una monografia (n. 240/241, luglio/ottobre 2018) attingendo alle conoscenze sviluppate da movimenti e attivisti nell’area industriale compresa fra Vicenza, Padova e Verona, dove una succursale della DuPont, la Miteni di Trissino (Vicenza) fallita nel 2018, ha riprodotto la stessa situazione di Parkersburg, ma su un’area di quasi 200 chilometri quadrati distribuiti su tre province dove vivono oltre 300 mila persone, una popolazione molto più numerosa che nel West Virginia.

Un recente studio internazionale sui principali bacini idrici d’Europa ha mostrato che il PFOA è la sostanza prevalente nelle acque fluviali e il Po il fiume più contaminato (200 nanogrammi per litro [ng/l], mentre negli altri fiumi europei è intorno ai 20 ng/l) principalmente a causa degli scarichi della Solvay di Spinetta Marengo (AL) convogliati nel fiume Bormida, affluente destro del PO. Nonostante le scelte restrittive per il loro uso, le preoccupazioni non sono diminuite per la persistenza dell’inquinamento loro associato, per l’estensione dell’impatto di questo sulla salute di popolazioni e territori e per i dubbi sollevati anche sull’innocuità delle sostanze usate come alternative, a più corta catena di atomi di carbonio, che crescono di numero e complessità, come nel caso del cC6O4 utilizzato come alternativa agli PFAS C8 ma senza dimostrazione di minore nocività e persistenza. Una mappa dettagliata dell’inquinamento da PFAS in Europa creata da Le Monde e da 17 partner che hanno partecipato all’indagine transfrontaliera Forever Pollution Project, mostra l’entità della contaminazione da sostanze per- e poli-fluoro-alchiliche, ‘sostanze chimiche per sempre’ che d’ora in poi accompagneranno l’umanità per centinaia, forse migliaia di anni.

Legislazione nazionale e internazionale

Mentre si osserva che il declino dei livelli di PFAS ritrovati nei tessuti umani è legato non a una loro minore concentrazione nell’ambiente ma soprattutto al loro abbandono come contenitori di alimenti, tocca alle comunità colpite e alle associazioni di cittadini farsi carico di azioni per valutare la reale estensione del problema e di rivendicazioni per la sorveglianza sanitaria e la bonifica dei territori; lo avevano già ribadito i firmatari dell’Appello di Madrid sui poli- e per-fluorurati alchilici (PFAS) del 1 maggio 2015, in cerca di risposte da produttori, amministratori e scienziati per stimarne gli effetti nocivi, definire percorsi di smaltimento fisiologico dagli organismi e recuperare le aree inquinate, assieme ad azioni di prevenzione e protezione.

Solo a inizio 2023 la Solvay, in seguito a esposti del WWF e altre associazioni ambientaliste e dopo la chiusura delle indagini preliminare della Procura per disastro ambientale colposo, ha commissionato uno studio sul monitoraggio condotto fra il 2004 e il 2021 su 809 lavoratori dell’impianto di Spinetta Marengo (AL), rendendo pubblico l’accesso ai dati di contaminazione, fino ad allora secretati. Lo studio (S. Fustinoni, D. Consonni, Historical trend of Exposure to Perfluoroalkyl Surfactants PFOA, ADV, and cC6O4 and its Management in Two Perfluoroalkyl Polymers Plants, in Italy, Annals of Work Exposures and Health, 2023, XX, 1-18, 2023) ha evidenziato un livello di contaminazione da PFAS elevato e proporzionale all’esposizione, con tendenza a ridursi in funzione delle misure di protezione adottate dall’azienda. 

In Italia mancano limiti nazionali di legge per gli scarichi industriali, anche se nella scorsa legislatura (XVIII) era stato presentato un progetto di legge (Pdl N.2392, anno 2021): “Misure urgenti per la riduzione dell’inquinamento di sostanze poli e perfluoroalchiliche (PFAS) e per il miglioramento della qualità delle acque destinate al consumo umano”. Tuttavia, mentre l’UE si muoveva per bandire la produzione di sostanze perfluoroalchiliche, in Italia le proposte di regolamentazione non sembravano adeguate: il Pdl, accantonato con la nuova legislatura, era molto timido prevedendo limiti massimi di sversamento di PFAS nelle acque di scarico e l’introduzione di valori di tolleranza nelle acque potabili, quando l’unico valore accettabile dovrebbe essere pari a zero.

Inoltre presentava l’inusuale indicazione di limiti negli scarichi idrici (PFOS e PFOA) identici a quelli per le acque potabili: o quelli per gli scarichi idrici sono da considerarsi particolarmente restrittivi o quelli per le acque potabili non lo sono a sufficienza. Inoltre, la tabella proposta con il collegato ambientale non distingueva i limiti tra scarichi immessi in fognatura (e quindi da sottoporre a depurazione) e quelli diretti in acque superficiali, come se non ci si aspettasse efficacia dai trattamenti di depurazione. Prima del Pdl 2392 i limiti fissati per gli scarichi PFAS in Italia erano contenuti nella AIA (2014) della Miteni di Trissino: 0,03 mg/l per il PFOS, 0,5 mg/l per il PFOA, 0,5 mg/l cumulativi per gli altri PFAS (la Miteni non ha mai utilizzato il cC6O4 anche se risultava essere uno dei due registranti REACH, assieme a Solvay). I primi due limiti sono stati riproposti nel Pdl 2392 mentre per gli altri PFAS vengono definiti singoli limiti pari a 0,5 mg/l. L’introduzione di limiti per i singoli PFAS a catena lunga non è condivisibile: passare da un limite collettivo a uno, identico, per singola sostanza significa, nella pratica, incrementare il limite. Analoga scelta è stata operata relativamente ai limiti degli PFAS per l’acqua potabile prima nelle linee guida dell’ISS del 2013 e poi nel D.M. 6.07.2016. La Regione Veneto (DGR 1590/2017) aveva rivisto i limiti nelle acque potabili, per il gruppo degli PFAS a catena lunga con un limite complessivo di 0,3 µg/l.

Al di là della difficoltà intrinseca nella  individuazione di limiti connessi a sostanze ‘particolarmente preoccupanti’ rispetto a obiettivi delle direttive europee di elevata tutela della popolazione, la definizione di limiti ‘di gruppo’ presenta diversi aspetti critici a partire dalla definizione e interpretazione  dei risultati analitici, sempre che sia disponibile un kit analitico quantitativo idoneo per tutte le sostanze considerate e ricordando che le stesse hanno pesi molecolari diversi. Non va dimenticato il particolare relativo a modalità di analisi che, nel caso del cC6O4   non sono allo stato validate e sono state messi a punto (e conosciute) solo da Solvay così come il problema di un intervallo di confidenza (incertezza analitica) previsto per esempio dalla direttiva europea 2020/1842 (acque per consumo umano) del 50 %.

Nell’UE, in seguito alla proposta presentata da cinque stati membri di regolamentare gli PFAS, l’Agenzia europea di regolamentazione delle sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato lo scorso febbraio (2023) una bozza riguardante i polimeri fluorurati, tra cui il PTFE (o TEFLON) e gli elastomeri fluorurati denominati FKM e FFKM, tutti utilizzati in diversi settori e comuni nelle guarnizioni ad alte prestazioni, sempre particolarmente interessanti per ambienti ad alta temperatura e/o corrosivi. La proposta dell’ECHA chiede di vietare gli PFAS come inquinanti persistenti. In vista della data di entrata in vigore, prevista per il 2025, l’ECHA ha avviato un periodo di consultazione di sei mesi con le principali parti interessate, compresa l’industria, per identificare le applicazioni dei PFAS considerate importanti dal punto di vista socioeconomico, per le quali si ipotizza la possibilità di gestire il rischio di utilizzo e non esistono tecnologie alternative immediatamente disponibili. In queste circostanze potrebbe essere concessa una proroga per l’uso dei PFAS oltre la prima applicazione.

Stride intanto il fatto che la proposta di vietare la produzione di queste sostanze nell’UE non sia arrivata dall’esecutivo italiano, mentre il nostro paese è teatro del più grande inquinamento da PFAS sul continente europeo. Inoltre, va detto che la possibilità di deroghe più o meno momentanee all’uso di sostanze tossiche può essere abusata e costringe le popolazioni a esporsi in modo importante e duraturo ai contaminanti. In Veneto almeno 300mila persone vivono le conseguenze dell’esposizione agli PFAS; in Piemonte, a Spinetta Marengo (AL) l’attività dell’azienda belga Solvay continua senza limiti significativi mettendo a rischio la salute di decine di migliaia di abitanti. Sull’abuso della proroga non vi è solo il noto caso risalente agli anni ‘80 del secolo scorso, d’innalzamento delle concentrazioni limiti dell’atrazina (con la scusa che si trattava di un erbicida diverso da quelli previsti nella norma). La proroga a limiti per le acque potabili è norma usuale in molte aree d’Italia, in particolare in Toscana e Lazio, ove situazioni idrogeologiche particolari o altre situazioni (ad esempio lo sfruttamento dell’energia geotermica) determinano l’esposizione a elevate concentrazioni ‘in deroga’ di elementi (anche cancerogeni) come l’arsenico. In altre zone (per esempio nella Pianura Padana) la principale criticità è rappresentata dai nitrati derivanti dall’uso massiccio di fertilizzanti azotati di sintesi nelle produzioni agroindustriali.

Il 29 marzo 2023, anche l’EPA degli Stati Uniti ha pubblicato una proposta di standard per l’acqua potabile per sei composti PFAS. La pubblicazione ufficiale fa seguito all’annuncio dell’Agenzia del 14 marzo 2023 di proporre livelli massimi di contaminazione per PFOA, PFOS e altre sostanze fluorurate. La pubblicazione ufficiale della proposta di regolamento ha dato il via alla raccolta di commenti pubblici, aperta fino al 30 maggio 2023.

Occorre ricordare la classificazione degli PFAS fra i disturbatori endocrini, peculiarità che li accomuna con un gruppo numeroso di altre sostanze (tra cui, altrettanto famigerati, gli ftalati) oggetto negli ultimi anni (regolamento UE REACH) di restrizioni importanti fino al divieto di utilizzo, o meglio a delimitazioni negli usi consentiti (allegato XIV regolamento REACH). Non si tratterebbe di cancerogeni ‘totali’ come l’amianto, ma la loro interazione fisiologica e metabolica rappresenta un rischio per possibili effetti sinergici che queste sostanze potrebbero svolgere anche nel processo multistadio della cancerogenesi. Lo stesso Pdl 2392 ricordava una possibile sinergia degli PFAS con gli esiti del COVID-19, in Veneto e nelle zone in cui sono più diffusi. La proprietà d’interferenza endocrina delle sostanze fluorurate e i relativi effetti sulla popolazione, sempre più oggetto di studi scientifici ed epidemiologici, le stanno portando, in termini di intervento normativo, alla parificazione con gli agenti cancerogeni e mutageni: è in dirittura di arrivo una direttiva europea in materia di sicurezza sul lavoro, che aggiunge questo gruppo di sostanze a quelle da monitorare per gli obblighi vigenti (D.Lgs. 81/2008) a tutela dei lavoratori.

Per ovviare, almeno parzialmente, a tutte le criticità evidenziate, l’UE ha intrapreso un percorso di tutela denominata ‘integrata ambientale e sanitaria’, iniziato con la direttiva 2000/60 e proseguito fino alla direttiva 2020/2184.Una delle direzioni esplicitamente espresse nella direttiva è che “Una buona qualità delle acque contribuirà ad assicurare la fornitura di acqua potabile alla popolazione”;quindi la protezione di tutte le possibili fonti di approvvigionamento (superficiali e sotterranee) è il fulcro della politica di tutela del ‘patrimonio’ acqua su cui si fonda l’obiettivo del ‘buono stato delle acque’. Per quelle sotterranee, un ulteriore obiettivo di tutela è “identificare e correggere qualsiasi tendenza significativa e prolungata all’aumento della concentrazione di sostanze inquinanti”.  In questa prospettiva, sono valide anche per gli PFAS le stesse affermazioni che Giulio Maccacaro e altri, come Lorenzo Tomatis (direttore per 10 anni della Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro – IARC di Lione), adottavano per la salvaguardia di ambiente e salute rispetto agli agenti tossici, cancerogeni e mutageni: non esiste alcun valore limite accettabile al di sotto del quale le condizioni di tutela dell’ambiente e della salute degli esposti, lavoratori o cittadini, possano essere salvaguardate.

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