Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Bernard Charbonneau, “Il giardino di Babilonia”, Edizioni degli animali, Milano 2022

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Con la lettura di questo testo torniamo ad immergerci in quel clima radioso della “primavera ecologica”, quando, oltre mezzo secolo fa, molti scienziati, studiosi, filosofi, politici, militanti acquisirono una profonda consapevolezza del carico minaccioso per il futuro dell’umanità e della natura connesso alla crescita impetuosa del sistema termo-industriale, ovvero della “Grande mutazione” allora in pieno svolgimento, per usare le parole di Charbonneau. Uomo del secolo scorso (1910-1996), grazie anche alla profonda e lunga amicizia con Jacques Ellul, di formazione umanistica, storica e filosofica, manifestò una viva e precoce percezione e preoccupazione per i cambiamenti irreversibili, nonché inediti nella lunga storia dell’umanità, che l’industrializzazione e l’urbanizzazione determinavano nel paesaggio e nel rapporto tra l’uomo e la natura. Il Giardino di Babilonia, forse la sua opera più importante, è del 1969, ma la sua lettura è di una tale potenza espressiva e profetica che, forse ancor più oggi, inchioda il lettore costringendolo a riflessioni in profondità sul “nostro futuro comune”. 

Per questo dobbiamo essere grati al coraggio dell’editore che ha voluto per la prima volta proporlo al pubblico italiano, impreziosendolo, tra l’altro, del contributo di due grandi maestri, che mi onorano della loro amicizia: Goffredo Fofi per la prefazione e Serge Latouche per la postfazione.

Charbonneau descrive in tempo reale e con sofferta partecipazione quanto gli accade sotto gli occhi: la devastazione della campagna ad opera dell’esplosione delle città, la morte della natura indotta dalla scomparsa del contadino trasformato anch’esso in un’appendice della macchina e della chimica, la nascita di quello che lui chiama “sentimento della natura” paradossalmente necessario per l’uomo moderno immerso nell’illusione della totale artificializzazione, rappresentato esemplarmente dal parchetto urbano confinato tra distese di colate di cemento, dai Parchi naturali e dalla moda dei viaggi in luoghi esotici e selvaggi. Per cui apre il 1° capitolo con un’espressione sconcertante e provocatoria: “La natura è un’invenzione dei tempi moderni” (p. 49). Ovvero dei tempi delle grandi città industriali, rappresentate dalle loro periferie immense e tutte uguali: “Nella periferia industriale si ritrova la disperazione grandiosa di un’impresa babilonese; il gigantesco laboratorio di un alchimista dove, in un labirinto di tubi di ferro, catene e uncini, si formula in mezzo alle nubi, in torri di bronzo in cui arde un fuoco interiore, la magia che permette agli uomini di dominare il mondo. Qui ogni incertezza svanisce: forze rigorose e implacabili realizzano ciò che è necessario; forgiano macchine efficienti e un proletariato coriaceo. Bisogna essere ciechi per non vedere che ciò che si elabora non è la mediocre comodità del piccolo individuo, ma uno sforzo collettivo per sfidare l’universo. È l’antro dove si forgia la folgore delle guerre mondiali” (p.81). Una città caratterizzata dal “segno più smaccato del crescente caos urbano…, la marea di rifiuti” giacché “quella vecchia pazza della società industriale, per altri versi simpatica, non si è ancora resa conto che, complice anche l’automobile, ha cominciato a soffrire di incontinenza, con il rischio di sporcare la sua bella biancheria di nylon”. Sembra un’anticipazione del mirabile racconto di Calvino, Leonia, città destinata ad essere sommersa dai rifiuti, in Le città invisibili. Ovviamente queste città hanno bisogno di un “diluvio di petrolio”, “prezioso quanto velenoso”, sfruttato allegramente, senza fare i conti con i pro e i contro: “non ci sono prezzi da pagare, non ci sono rischi; costruiamo bombe da cento, mille megatoni; petroliere da centomila tonnellate di greggio, e poi? Un incidente? Ma via! Oggi le navi navigano con il pilota au-to-ma-ti-co, il capitano può tranquillamente schiacciare un pisolino e la macchina vi porterà au-to-ma-ti-ca-men-te in porto –o contro uno scoglio. E il giorno in cui esploderà una bomba da cento megatoni o una petroliera da seicentomila tonnellate, l’uomo farà miracoli con una paletta ed il secchiello”. (p. 161) E l’ironia diventa sarcasmo sul possibile destino delle città: “Chissà, se un giorno la scienza riuscirà a rendere gli individui indifferenziati come le gocce d’acqua. Allora, salvata dal disordine, la città potrà espandersi fino a coprire tutta la Terra” (p. 180).

L’estinzione dei contadini e la morte delle campagne con lo stravolgimento del paesaggio vengono icasticamente rappresentate dalla nuova potente macchina che tutto spiana, la ruspa. “E la macchina è inesorabile: deve funzionare. Una ruspa deve essere redditizia: per il contadino che la utilizza un tanto all’ora, per l’azienda che gliela affitta, per la multinazionale che la produce. Ogni anno un caterpillar deve divorare tanti ettari di vegetazione. […] Calcolando la superficie media annua di cui ha bisogno un bulldozer per esistere, soprattutto se la specie continua ad accrescersi e moltiplicarsi, non è difficile stimare quanti anni di vita restano ancora al paesaggio francese” (p. 198).

Quindi nel finale del volume, della cui qualità, spero, le citazioni proposte diano sufficiente testimonianza, riprende la provocazione iniziale sul “sentimento della natura” e sul suo inevitabile “fallimento”: “In questo secolo dell’artificio nutriamo una passione per la natura che stiamo distruggendo. Siamo tecnologici e bucolici; in genere prima l’uno e poi l’altro. La nostra ostilità pratica e il nostro amore teorico sono parimente smodati. Come le nostre donne, ora nude sotto il sole, ora arricciate e truccate e fasciate di nylon dalla testa ai piedi” (pp. 219-220). E l’inganno di questo “sentimento della natura” viene ferocemente ridicolizzato nei gustosi paragrafi successivi, dei quali basta riportare alcuni titoletti: Il canto dei bucolici, Giocare agli indiani, I figli del Sole, L’amore per il primitivo, L’intellettuale e il buon selvaggio, Miti naturisti: il mito dell’isola, Dal giardino dell’Eden al Parco nazionale, Il tour del turista, Vista mare, Vista montagna.

La conclusone è quindi conseguente e inappellabile: “nelle nostre società industriali e urbane è più che evidente che il ‘sentimento delle natura’ si è ridotto al fallimento” (p. 291). Seguono pagine bellissime sui “paradisi artificiali” del turismo moderno, splendide e profetiche quelle dedicate a Venezia dipinta, (pp. 308-311) che non possiamo riproporre qui per ragioni di spazio, ma che da sole meritano l’acquisto di questo volume. 

Nelle conclusioni, però, Charbonneau non si sottrae alla pars construens, pagine tutt’altro che banali e scontate, che lo restituiscono come un importante precursore dell’ecologia politica. Esordisce affermando che innanzitutto bisogna abbandonare il “sentimento della natura” per acquisire invece la “coscienza della natura”, ovvero la consapevolezza che “corriamo il rischio, non indifferente, di distruggere l’uomo in conseguenza della distruzione dell’ambiente” (p. 349) e che “se è vero che la libertà dell’uomo scaturisce dalla natura, non è meno vero che la distruzione o l’organizzazione della natura è la fine della libertà” (p. 353). Quindi “è finita l’epoca della lotta dell’uomo contro la natura, ora all’uomo non resta che conoscersi e lottare contro se stesso. D’ora in poi, solo se sarà capace di dominare sé stesso, potrà dominare la Terra” (p. 354).  Insomma, nella “difesa della natura”, ci dice, “è in gioco l’uomo”, quindi “non si tratta di un lusso, ma della vita spirituale presente nel nostro corpo fisico”.  Consapevole di essere “controcorrente” e di percorrere “una strada tutta in salita” e che “la partenza non sarà facile”, insiste “sulla necessità di conversione del sentimento della natura perché questo primo passo è alla nostra portata e precede tutti gli altri” (p. 355) . Potente è indubbiamente questo termine conversione ripreso, come è noto, con insistenza dal nostro Alex Langer. Seguono pagine suggestive di pratiche da lui stesso sperimentate di incontro con la natura all’insegna di questa conversione, con l’intento non “di circoscrivere la natura in una riserva, ma di reintrodurla nella nostra vita”. Ma tutto questo non basta. E qui il nostro lancia il suo messaggio politico, ancora oggi tutto da declinare: “Misure parziali come queste, facili da riprodurre a seconda delle circostanze, sono possibili solo se accompagnate da un cambiamento  di direzione complessivo. […] In fondo la natura non ha nessun problema, il problema è uno solo: quello dell’uomo contemporaneo di fronte alla sua sorte. L’errore più grave sarebbe quello di ridurre la difesa della natura a un’ideologia della natura che perderebbe di vista il fatto che la sua difesa è solo un aspetto della ‘rivoluzione’ – il cambiamento di rotta – che l’umanità contemporanea deve attuare se vuole uscire dai binari che la stanno conducendo alla rovina. Purtroppo tutto il resto deve seguire la stessa strada: l’economia, la demografia, la politica” (p. 363). “Un’azione del genere presuppone un piano d’insieme, economico e sociale, e di conseguenza politico” (p. 363) “L’autentica impresa del 2000 non sarà l’esilio sulla Luna, dove saremmo ancor più rinchiusi nelle nostre macchine, ma il nostro insediamento sulla Terra”. Al Duemila ci siamo da oltre due decenni, ma non sembra che l’umanità si stia dedicando al nostro unico giardino terrestre per difenderlo dalle forze mortifere scatenate dall’uomo moderno, affinché, come auspica il nostro in chiusura,  “l’umile bellezza dei suoi fiori rifletta la gloria di un’altra eterna primavera.” (p. 364)

Caharbonneau ha ragione ad insistere sulla moderna città industriale: noi oggi sappiamo essere la grande trappola tecnologica dorata in cui ormai vive la maggioranza degli abitanti del Pianeta. E i grandi pensatori ecologisti  di ieri e di oggi sorriderebbero di fronte alle illusioni di chi pensa a realizzarvi la cosiddetta neutralità carbonica, con qualche pista ciclabile in più, con tante auto elettriche e qualche migliaia di piante (Si veda a questo proposito il recentissimo dossier Ecologia e sistemi urbani pubblicato lo scorso giugno sul n. 3 della rivista “I piedi sulla terra” dell’amico Alessandro Montebugnoli, https://centroriformastato.it/ecologia-e-sistemi-urbani/). La moderna città industriale è l’emblema della civiltà moderna basata sui quattro grandi pilastri: ammoniaca, plastica, cemento e acciaio (Vaclav Smil 2022), alimentati dai  combustibili fossili, come insostituibile risorsa energetica tutti e i primi due anche come materia prima. Sostituire questi pilastri, qualora lo si volesse davvero (ma nessuno, persino tra gli ambientalisti, sembra per ora pensarci) sarebbe comunque un’impresa titanica e di lungo periodo.

   Il merito di Charbonneau, e di altri che in quel solco hanno lavorato, è di presentare senza infingimenti la spaventosa difficoltà del compito che attende l’umanità. Questa consapevolezza è comunque la condizione irrinunciabile di partenza, oggi più che mai.

Come noto, noi di “Altronovecento” insistiamo a remare controcorrente, seguendo l’invito di Charbonneau. Nonostante l’appiattimento culturale del mondo contemporaneo (Olivier Roy 2022) e le intemerate di Susanna Tamaro che liscia il pelo dei giovani assecondandone la facile propensione a vivere nel presente godendo delle accattivanti suggestioni dell’attuale offerta “culturale” e lasciando perdere i noiosissimi classici, continuiamo a ritenere che il patrimonio di saggezza depositato nel passato sia imprescindibile per capire il presente, in particolare la profondità e complessità della crisi in cui si trova attanagliata l’umanità. Ebbene, questa lettura è, da questo punto di vista, esemplare, un classico di riflessione e profezia che ci può aiutare, almeno, a comprendere quanto l’umanità contemporanea sia andata avanti in direzione del precipizio e come sia straordinariamente necessario, ma allo stesso tempo impegnativo e tremendamente difficile invertire la rotta.

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Paolo Cacciari, "Re Mida. La mercificazione del Pianeta. Lavoro e natura, economia ed ecologia", La Vela, Lucca 2022

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Andrea Fantini, "Un autunno caldo. Crisi ecologica, emergenza climatica e altre catastrofi innaturali", Codice edizioni, Torino 2023

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