Telmo Pievani, La Terra dopo di noi, fotografie di Frans Lanting, Contrasto, Milano 2019, € 22,90.
Una produzione feconda, quella di Telmo Pievani, entrata con forza nella bibliografia nazionale ed internazionale che si occupa di evoluzionismo. E da tutti i punti di vista: dalle ricostruzioni paleontologiche in generale a quelle paleoantropologiche, senza mai perdere il filo che lo porta a riflettere su noi stessi, oggi, Sapiens del ventunesimo secolo. Tra l’altro, Pievani è anche direttore del portale Pikaia, un utile ed aggiornato sito che dà conto delle scoperte della evoluzione e delle scienze della Terra.
La solida preparazione scientifica di base e l’approfondimento continuo delle ricerche e delle scoperte più recenti – che sono in una impetuosa “evoluzione” – lo portano ad aggiornare costantemente la sua opera di riflessione e di divulgazione. Per questo il lettore affezionato può affidarsi ai suoi libri per seguire, passo dopo passo, l’affascinante percorso della conoscenza di chi siamo e di quale sia la nostra origine nel tempo profondo. E intuire il futuro.
Pievani scrive con leggerezza, usando l’ironia come strumento di sdrammatizzazione e di consapevolezza della finitudine del tutto, noi compresi.
Questa modalità si rivela indispensabile per demolire, in modo piano, ma con argomentata fermezza, quel granitico pregiudizio antropocentrico che tanta parte ha avuto – ed ancora resiste! – nel modo di considerare noi stessi rispetto alla natura … combinando qualche guaio catastrofico.
In filigrana, si intravede la grande lezione di Jacques Monod:
Lo scienziato deve pensare la propria disciplina nel quadro generale della cultura moderna, per arricchirlo non solo di nozioni importanti dal punto di vista tecnico, ma anche di quelle idee, provenienti dal suo particolare campo d’indagine, che egli ritiene siano significative dal punto di vista umano. Il candore di uno sguardo nuovo (quello della scienza lo è sempre) può talvolta illuminare di luce nuova antichi problemi.
Questo il metodo di lavoro di Telmo Pievani, filosofo della scienza ed in particolare della biologia e della evoluzione. Lavoro che compie senza scantonare dal dovere di attraversare il campo minato dei pregiudizi, dei luoghi comuni, delle esplicite e subdole allusioni teleologiche, e dei diversi gradi del “negazionismo” antiscientifico antico e moderno, fino ai ridicoli geocentrismi e terrapiattismi amplificati dai social, purtroppo con numeri di proseliti impensabili solo fino a qualche anno fa.
Veniamo al saggio La Terra dopo di noi, sottotitolo: Nell’evoluzione vige una asimmetria: noi abbiamo bisogno della biosfera per vivere; la biosfera invece non ha alcun bisogno di un mammifero proclamatosi Homo sapiens.
Il volume ha un coautore, il fotografo e documentarista Frans Lanting, uno dei più sensibili “catturatori” di immagini della natura selvaggia. Ho detto coautore – anche Pievani lo riconosce – perché le fotografie che intercalano il testo accompagnano, integrano la scrittura, dando plasticità al nostro non essere indispensabili. Sono veri colpi di piccone per ogni antropocentrismo perché disvelano come la Terra è stata, è e sarebbe anche senza di noi. Dunque uso di due linguaggi, la parola e l’immagine, e la fusione riesce.
“Mammifero di grossa taglia comparso in Africa 200 millenni fa”, specie contingente e casuale, abitante un pianeta di periferia dello sperone di Orione della galassia Via Lattea, galassia a sua volta parte del Gruppo Locale, ammasso modesto del super ammasso della Vergine. Prevedibile lo scontro pirotecnico con Andromeda fra 400 milioni di anni (altri studi dicono 5 miliardi di anni), una preoccupazione che non tocca comunque i lettori! Questo l’incipit spiazzante – quasi a volerci ricordare, geometricamente, le misure degli attori in campo – ma inizio prodromico allo sviluppo della narrazione perché noi Sapiens, secondo Pievani, dobbiamo maturare una umiltà evoluzionistica, avendo oggi gli strumenti scientifici e tecnologici per farlo. Una umiltà di specie o, come più mi piace dire, un moderno e maturo egoismo di specie, frutto di una esperienza conosciuta e approfondita delle crisi che abbiamo provocato. Quasi questo Sapiens fosse un Prometeo un po’ invecchiato e scottato dai combustibili fossili e che fa pace con l’aquila che gli rode il fegato.
Le fotografie di Lanting sono indispensabili per descriverci luoghi della Terra senza alcuna traccia umana: Pievani ci rammenta che il nostro Pianeta ha una storia di 4,5 miliardi di anni passati senza traccia dei sedicenti Sapiens. Dunque una Terra senza di noi è un dato di fatto, eppure il nostro Pianeta ne ha passati di sconvolgimenti, cavandosela abbastanza bene anche senza questo presuntuoso primate. In proposito, Pievani introduce il concetto di “indifferenza” che è molto utile nella comprensione di ciò che è accaduto ed accade: il nostro Pianeta è privo di una qualsiasi forma di sensibilità e non ha emozioni per quello che noi chiamiamo bene e male. Sembra una banalità, ma questa “indifferenza” è indispensabile per capire a fondo la casualità e la contingenza degli avvenimenti. Potevano non succedere, potevano succedere diversamente e in un gamma pressoché infinita di varianti, di varianti, di varianti … Anche circa 3,5 miliardi di anni fa incroci di casualità e contingenza nella materia e nelle energie hanno determinato l’inizio della vita biologica dando corso alla formazione di quella che chiamiamo biosfera.
E biosfera siamo anche noi che interagiamo con essa e questa interazione non è indifferente per nessuna delle parti in campo. Soprattutto da quando, come ci rammenta Pievani, la nostra specie smise di prelevare dall’ambiente circostante ciò che le era necessario per vivere, ma cominciò a coltivarlo ed ad allevarlo, circa 10.000 anni fa.
Una storia recentissima che ebbe effetti clamorosi: la nostra “impronta” cominciò a crescere vorticosamente, passando da pochi milioni di individui sparsi in tutto il Pianeta a centinaia di milioni, spesso concentrati e tendenzialmente stanziali.
Quel mutamento sostanziale è per molti scienziati l’inizio dell’Antropocene, concetto ancora controverso nella comunità scientifica, ma che ha il pregio di sintetizzare il processo attraverso il quale l’uomo è diventato attore ecologico globale in grado di modificare, interferendo con le sue attività, i macroequilibri biogeochimici del pianeta. Pievani ci mette in guardia dal negare che, per la nostra specie, questo non sia stato un percorso faticoso, ma di indubbio successo che ha consentito evidenti miglioramenti della condizione umana. Ma il crescere degli effetti negativi sulla biosfera oggi sono tali da fare impallidire la nozione di progresso connessa a quel percorso. Viviamo infatti in un inaccettabile squilibrio economico-sociale interno alla specie, caratterizzato dalla straordinaria produzione di ricchezza e dalla mai stata così diseguale distribuzione della stessa. E in presenza di almeno due crisi globali determinate da noi, oltre alla moltitudine di crisi locali: il riscaldamento globale che condiziona i mutamenti climatici e l’erosione della biodiversità.
Nel volume, l’intreccio fra crisi sociale ed ambientale è trattato con cura e ampiezza ed i rimandi alla Commissione Brundtland del 1987, passando per la Conferenza di Rio de Janeiro fino alla Laudato si’ di papa Francesco, ricostituiscono il percorso di intuizioni travolte dallo sviluppismo e dal neoliberismo economico.
Quale futuro desiderabile, dunque? Pievani usa un artificio: pensare la Terra senza di noi. Una Terra che l’elementare conoscenza scientifica ci dice sarà in grado di riassorbire e riciclare anche le più durature devastazioni antropiche. Il tempo gioca dalla sua parte e il Pianeta ci dimenticherà.
Ma noi dobbiamo contrastare questo scenario con quell’umiltà evoluzionistica che ci viene sollecitata fin dall’inizio del saggio: la nostra scomparsa come Sapiens non è pensabile nel breve periodo, ma il tema è come ci stiamo nel tempo lungo o breve di durata della nostra specie. Il rischio, la quasi certezza visti i problemi, è che non scompariremo, ma vivremo in condizioni peggiori. Dunque, e questa è la parte più intrigante ed impegnativa del libro, dobbiamo assumere piena contezza e responsabilità della situazione e consolidare un ambientalismo critico e lucido fondato su scienza e umanesimo.
Torna la saggezza politica di Jacques Monod, di Stephen J. Gould e del filone ambientalista scientifico italiano di Laura Conti e Giorgio Nebbia …
Nell’ultimo capitolo si contrappongono gli inguaribili ottimisti convinti che le tecnologie ci salveranno, che sapremo trarci su da soli, magari all’ultimo momento utile, come il settecentesco Barone di Münchhausen di R.E. Raspe che inverosimilmente si salva dalle sabbie mobili tirandosi fuori per i capelli … All’opposto, gli inguaribili pessimisti amano invece rifarsi alla hybris greca e ci danno ormai per spacciati, avendo noi tradito la Madre Terra che ci ha generato, per sete di dominio e illusione di controllo. Non resta che attendere il collasso.
Si potrebbe però decidere di sottrarsi alla dicotomia degli opposti inguaribili e, con umile esercizio del dubbio, prendere il buono di chi denuncia le malefatte umane senza sconti e il buono di chi cerca nella scienza e nella innovazione tecnologica una soluzione, un riscatto e una via d’uscita per chi verrà dopo di noi.
Pensiero ingenuo? Ce ne sono altri?
p.s.: consigli di lettura per un trittico del lockdown: oltre a La terra dopo di noi consiglio Breve storia della Terra di Robert Hazen, il Saggiatore, Milano 2017, e Storia della umanità per gente che va di fretta di Johannes Krause e Thomas Trappe, Il Saggiatore, Milano 2020.