Un appello, 17 maggio 2015
Le aree protette italiane stanno vivendo, ormai da qualche anno, una crisi drammatica, una crisi di sopravvivenza, che ci sta ricacciando indietro nel confronto con altri Paesi e nella nostra capacità di mettere a frutto le potenzialità educative, scientifiche, ricreative ed economiche dei nostri parchi. Mentre, al contrario, essi andrebbero, come le altre aree protette, meglio tutelati e rilanciati nel quadro normativo del Codice per il Paesaggio.
I primi due Parchi Nazionali nascono dalle intuizioni e dalle pressioni dell’intellighenzia liberale d’inizio secolo che trovano la prima attuazione nei Parchi del Gran Paradiso (1922) e d’Abruzzo (1923). Il fascismo burocratizzò e snaturò questi due primi Parchi Nazionali istituendone altri due per motivi lontani dalla cultura naturalistica (Stelvio e Circeo). Poi un lungo sonno. Rotto alla metà degli anni Sessanta da una forte domanda dal basso e da un fervore di iniziative che coinvolse contemporaneamente associazioni ambientaliste, regioni vecchie e nuove e dirigenza forestale. Questo formidabile slancio diede finalmente vita alla creazione di molte nuove riserve, pose le basi di quella che fu chiamata la “sfida del 10%”: passare cioè dall’1,5% del territorio protetto al 10%. Una sfida che nel corso di meno di un quarto di secolo fu brillantemente vinta, su due fronti: il superamento del fatidico 10% – oggi siamo quasi al 13% – e l’approvazione nel 1991 di una legge quadro, la n. 394 sulle aree protette, tra le più avanzate e organiche d’Europa.
All’inizio degli anni Novanta sembrava dunque che l’Italia avesse non soltanto recuperato i decenni perduti rispetto alle nazioni più avanzate, ma ambisse a diventare un punto di riferimento in Europa, in questa vera conquista di civiltà che sono i parchi naturali. Invece, distanza di un quarto di secolo le aree protette italiane sono come abbandonate a se stesse e minacciate da proposte di legge di “revisione” della 394 (ancora inapplicata in alcune parti qualificanti) che ne snaturerebbero fini e obiettivi.
Il quadro è fosco. Da anni si assottigliano implacabilmente le risorse pubbliche a disposizione. In diversi parchi, anche nazionali, è ormai difficile anche far marciare gli automezzi di servizio. Il Ministero dell’Ambiente, che dovrebbe fungere da propulsore e da garante di tutto il sistema delle aree protette italiane, appare da anni cronicamente assente. Salvo che per qualche nomina di carattere sempre più politico, sempre più discutibile e discussa, e per l’imposizione di un carico burocratico surreale e vessatorio.
Ma v’è di peggio. Per motivi di bassa cucina politica l’attuale governo si appresta ad avallare lo scempio che si è riusciti ad evitare per decenni, anche grazie ad autorevoli interventi di presidenti della Repubblica, cioè lo “spezzatino” di uno dei quattro parchi storici, quello dello Stelvio. Un atto di vera barbarie istituzionale che ci additerebbe al ludibrio dell’Europa e del mondo. E già viene richiesta localmente, da tempo, un’altra divisione: quella del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Per motivi non meno miopi si propone di dissolvere quello che nel corso del tempo è diventato un corpo di vigilanza ricco di preziose competenze in campo ambientale, cioè il Corpo Forestale dello Stato: un altro colpo mortale alla già indebolita protezione della natura in Italia e alla vita dei Parchi.
Le nomine dei presidenti e dei consiglieri dei Parchi Nazionali, qui e là viziate anche in passato da logiche partitiche, stanno progressivamente diventando puri e semplici tasselli di potere locale, senza quasi più nessi con le caratteristiche e con le missioni specifiche degli enti da amministrare.
Ancor più allarmante è la proposta di “riforma” della legge quadro del 1991, riproposta nelle aule parlamentari, persino con l’appoggio di qualche sodalizio ambientalista. Una legge che tiene solidamente fermi alcuni provvedimenti di assoluta gravità: la previsione di sfruttamento di risorse ambientali nei parchi in cambio di royalties, la inclusione negli organismi direttivi di portatori di interessi economici – che va peraltro di pari passo con l’esclusione degli scienziati – e quella di un controllo sempre più forte della figura del direttore da parte della presidenza degli Enti, cioè da parte della politica.
Mentre i parchi italiani cercano di sopravvivere soffocati dall’inedia, dalla burocrazia e da questo paradossale misto di indifferenza e di occhiuto controllo da parte del potere politico – anche se non manca qualche eccezione locale – e cercano di difendersi da tutti questi pesanti attacchi, sui loro problemi e sulle loro prospettive è calato il silenzio da gran parte della stampa e del mondo della cultura. In passato non era così, e anzi i grandi successi ottenuti negli anni Settanta e Ottanta hanno dovuto molto all’informazione e al dibattito pubblico.
Dobbiamo chiederci e chiedere – alle istituzioni, alla politica, all’opinione pubblica – se pensiamo ancora che le aree protette abbiano un ruolo importante nella crescita civile, culturale ed economica del nostro Paese oppure no. E se la risposta è positiva dobbiamo reclamare ad alta voce – scienziati, operatori forestali e della tutela, ambientalisti veri e loro associazioni – che vengano fermate le iniziative che tendono a depotenziarle e a stravolgerne fisionomia e compiti e che venga consapevolmente ripreso lo spirito e il dinamismo che portò alla vittoria del 10% e all’approvazione della legge quadro. Un Ministero competente, che si interessi, che funzioni; delle Regioni che tornino a discutere e a pianificare; un dialogo tra associazioni, tecnici e amministratori dei parchi, istituzioni, mondo politico, opinione pubblica e popolazioni locali che si faccia di nuovo serrato, di alto livello e rivolto al futuro. Come avviene altrove in Europa.
Per questo rivolgiamo un forte appello anzitutto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tutore dell’articolo 9 della Costituzione, che nel discorso inaugurale del proprio mandato ha citato l’ambiente fra i valori fondamentali da promuovere, affinché questa tragica involuzione venga fermata invertendo una rotta che rischia di compromettere le conquiste fondamentali realizzate in Italia nella seconda metà del secolo scorso.
Analogo forte appello rivolgiamo al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti e al ministro per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo, Dario Franceschini perché intervengano al più presto e positivamente in questa drammatica situazione di crisi delle aree protette.