NPK è la trinità degli elementi nutritivi delle piante. Nei primi decenni dell’Ottocento Jean Baptiste Boussingault (1802-1887) e Justus Liebig (1803-1873) riconobbero che le piante, per crescere, devono assorbire alcuni elementi, fra cui azoto, fosforo e potassio; l’industria dei concimi artificiali e sintetici nacque proprio per assicurare una adeguata disponibilità nel terreno di tali elementi.
Anche il potassio, come gli altri due elementi, ha un suo ciclo naturale: presente in molti terreni, oltre che nel mare, sotto forma di sali solubili in acqua, il potassio viene assorbito dalle piante, passa dai vegetali agli animali, e ritorna in parte nel terreno attraverso le spoglie dei vegetali e gli escrementi degli animali; un ciclo che non è chiuso; per la solubilità in acqua dei suoi sali, una parte del potassio viene lisciviato dalle piogge e finisce nelle falde sotterranee, nei fiumi, nei laghi e, infine nel mare.
Da almeno duemila anni gli agricoltori si sono resi conto che bisognava restituire al terreno “qualcosa” che era contenuto nelle ceneri delle piante. Solo con lo sviluppo della chimica si è capito che qual “qualcosa” era il potassio; la prima forma di concimazione potassica è stata perciò rappresentata dall’applicazione nel terreno delle ceneri delle piante; col tempo e con l’eccessivo “consumo” di foreste per questa pratica, è cominciata la ricerca di altre fonti di sali potassici.
Una di queste è costituita dal salnitro, il nitrato di potassio, che già i soliti industriosi cinesi avevano riconosciuto come utile ingrediente, insieme al carbone e allo zolfo, della polvere “nera”. Il salnitro si forma per ossidazione all’aria dei sali potassici presenti nelle grotte o negli edifici. Il potassio si trova in numerosi minerali come la silvite, cloruro di potassio, la carnallite, cloruri misti di potassio e magnesio, la kainite, cloruro di potassio e solfato di magnesio. In natura vi sono inoltre minerali di potassio e alluminio come la alunite, solfato basico di potassio e alluminio, e la leucite, silicato di potassio e alluminio, questi ultimi due in genere associati a manifestazioni vulcaniche.
I principali sali usati come concimi sono il solfato di potassio e, in grado minore, il cloruro e il nitrato di potassio, commerciati sulla base del loro contenuto di K2O. La storia moderna dei concimi potassici comincia nella metà del 1800 con il chimico tedesco Adolf Frank (1834-1916), impiegato dello zuccherificio di Stassfurt. Frank studiò le risorse naturali della regione, ricca di giacimenti di cloruro sodico: sullo strato di sale utile furono trovati depositi di sali “inutili”, Abraumsalze. Frank mostrò che erano costituiti principalmente da carnallite, il cloruro di potassio e magnesio, e che potevano essere impiegati come concimi. Nel 1861 Frank costruì la prima fabbrica di concimi potassici che soppiantarono la produzione di ceneri potassiche, fra l’altro con beneficio per i boschi che venivano risparmiati dalla distruzione. Nello stesso anno mise a punto un processo per estrarre del bromo dalle acque madri della raffinazione dei sali potassici
Frank è stato chiamato, meritatamente, un “chimico universale” perché si occupò anche della produzione del vetro; dal 1879 produsse i “sali di Karlsbad”, una miscela di sali di sodio, potassio e magnesio con proprietà lassative; dal 1895 condusse, insieme a Nikodem Caro (1871-1935), ricerche sulla produzione della calciocianammide per reazione dell’azoto, estratto dall’aria, con carburo di calcio prodotto al forno elettrico da calce e carbone. Dalla calciocianammide, che aveva un suo mercato come concime azotato, era poi possibile ottenere i cianuri, l’ammoniaca e l’acido nitrico.
I depositi tedeschi di sali potassici si trovano in un grande bacino che si estende dalle pendici dell’Harz al fiume Elba, da Magdeburgo a Bernburg. Nel 1906 vennero scoperti altri giacimenti di sali potassici in Alsazia, in un bacino limitato dai Vosgi a occidente e dal Reno a oriente, e che si estende da Mulhouse a Bollwiller. L’Alsazia e la Lorena, terre francesi, erano state annesse alla Germania dopo la guerra-franco prussiana del 1870. Agli inizi del 1900 la Germania possedeva quindi praticamente il monopolio della produzione dei sali potassici che esportava in tutto il mondo; le principali fabbriche erano riunite in un consorzio volontario che stabiliva a proprio arbitrio i prezzi di mercato. Come reazione, alcuni imprenditori americani cercarono di stipulare accordi con i produttori tedeschi indipendenti che potevano vendere i sali potassici ad un prezzo inferiore a quello del monopolio.
Il 25 maggio 1910 il parlamento tedesco promulgò la “legge sulla potassa” che mise tutte le miniere di sali potassici sotto il controllo dello Stato: vennero così a cessare i prezzi favorevoli praticati agli acquirenti americani che sollecitarono proteste diplomatiche. Più utile della diplomazia fu la chimica: gli importatori americani di sali potassici e gli agricoltori si misero in moto per cercare giacimenti di sali potassici negli Stati Uniti; nel frattempo era cominciata l’estrazione di sali potassici spagnoli in Catalogna, nella regione di Cardona.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, la flotta inglese pose il blocco alle esportazioni tedesche; per qualche tempo, attraverso l’Olanda, gli Americani poterono importare sali potassici dando in cambio cotone che ai Tedeschi era necessario per l’industria degli esplosivi; dopo il 1916 gli Americani poterono procurarsi sali potassici in piccola quantità dalla Russia. Il servizio geologico americano aveva intanto identificato un grande deposito di sali potassici nel Searles Lake, in California, il residuo di un grande lago salato. Alcuni imprenditori ricorsero al trattamento dell’alunite, il già ricordato solfato di alluminio e potassio, con un processo inventato da Howard F. Chappell (brevetto USA 1.195.655 del 1913), consistente nella trasformazione del solfato di alluminio in ossido insolubile e successiva estrazione del solfato di potassio solubile. Il chimico Frederick Gardner Cottrell (1877-1948) inventò un processo di separazione magnetica dei sali potassici dai fumi dei cementifici; fu tentato il recupero di sali potassici dai residui della dezuccherazione dei melassi di barbabietola, come era stato fatto in Europa. L’ingegner Guy Stirling sperimentò l’estrazione di sali potassici dalla leucite, il già citato silicato di alluminio e potassio, a Green River, nel Wyoming; lo stabilimento della società Boyer-Stirling arrivò a produrre 50 tonnellate al giorno di cloruro potassico.
Alla fine della prima guerra mondiale, negli Stati Uniti restava in funzione soltanto l’estrazione di sali potassici dalle salamoie del lago Searles e ricominciarono le importazioni dei sali potassici europei. Con la sconfitta della Germania nel 1918, la Francia aveva di nuovo occupato l’Alsazia per cui i monopolisti del potassio erano diventati due, che non tardarono a mettersi d’accordo. In Germania l’industria dei sali potassici era stata nazionalizzata nel 1919 ed era stato costituito un “sindacato”, il Kali Syndikat, che nel 1924 trovò un accordo con la Societé Commerciale des Potasses d’Alsaces per dividersi per due terzi e un terzo, rispettivamente, il mercato delle esportazioni. Nel 1927 il governo americano intentò causa ai due gruppi, tedesco e francese, per violazione della legge sui monopoli, senza effetto. Per reazione cominciò su scala industriale l’estrazione dei sali potassici dalle riserve interne americane, a cominciare dai depositi del lago Searles e poi da un vasto giacimento sotterraneo scoperto a Carlsbad nel New Mexico, quello che è stato proposto (senza successo) come cimitero “eterno” per le scorie nucleari.
Nel 1924 gli Stati Uniti erano in grado di produrre sali potassici ad un costo inferiore al prezzo di quelli esportati dall’Europa. A riprova che i monopoli durano poco, molti altri paesi cominciarono a cercare giacimenti di sali potassici e a produrne nel proprio territorio. I principali nuovi arrivati nel mercato furono la Spagna, dai già ricordati giacimenti della Catalogna, l’Unione Sovietica, con i grandi giacimenti di Solikamsk, nella regione di Perm, negli Urali, la Palestina, allora sotto mandato inglese, che dal 1930 cominciò ad utilizzare i depositi di sali del Mar Morto. Nel Canada fu iniziata l’estrazione di sali potassici dai giacimenti di silvite del Saskatchewan.
Nel 1940 in Norvegia fu messo a punto un ingegnoso processo, inventato da Jacob Kielland (1910-2001) della società Norsk-Hydro, per estrarre i sali potassici dall’acqua di mare che ne contiene circa 0,5 kg, espressi come K2O, per metro cubo; all’acqua di mare veniva addizionato il sale di calcio della dipicrilammina, solubile in acqua: si forma così il sale potassico della dipicrilammina che è invece insolubile in acqua e può essere separato per filtrazione e decomposto per recuperare e rimettere in ciclo la dipicrilammina; i sali potassici sono poi ottenuti per concentrazione della soluzione residua. Un primo impianto, nella Norvegia occupata dai nazisti, fu distrutto da un bombardamento alleato durante la Seconda guerra mondiale; un altro impianto è stato costruito in Olanda.
In questa lotta fra giganti si è inserita, a partire dagli anni Venti del Novecento, anche l’Italia. Nel 1923 era stata costituita, per iniziativa dell’industriale chimico Carlo Rossi (1877-1924) la società Vulcanea per l’applicazione di un processo, proposto da A. Messerschmitt, alle leuciti che si trovano nella zona a nord di Roma, vicino Civitacastellana. Una certa estrazione di sali potassici dai laghi salati dell’Africa orientale e settentrionale era stata proposta da E. Niccoli. Il processo che riscosse maggiore interesse fu quello elaborato dal prof. Gian Alberto Blanc (1879-1966), un importante barone della chimica italiana (era anche barone per titolo nobiliare), per il trattamento delle leuciti con acido cloridrico o con acido nitrico: si forma una miscela di sali solubili di potassio e alluminio che veniva separata dalla silice insolubile e veniva poi trattata con alcali per precipitare l’idrato di alluminio e ottenere una soluzione di sali potassici da concentrare.
Con adeguate sovvenzioni del governo fascista del tempo e con la partecipazione anche di capitali americani fu costruito ad Aurelia uno stabilimento che funzionò con intermittenza e fu infine chiuso nel 1934-’35. La passione nazionale per la leucite riprese nella seconda metà degli anni Trenta; furono proposti altri processi fra cui quello di F. Jourdan, quello di G. Gallo e una variante del processo Blanc, e furono costruiti alcuni stabilimenti ben presto chiusi.
Con la fine della Seconda guerra mondiale e dell’autarchia fascista l’Italia venne a dipendere del tutto dalle importazioni di sali potassici soprattutto da Francia, Germania, Spagna. A dire la verità si sapeva, fin dal 1919, che in Sicilia, a Pasquasia, in provincia di Enna, c’erano giacimenti di sali potassici che erano stati utilizzati per qualche anno dalla società S.P.E.M. andata in liquidazione nel 1931. Le miniere furono riaperte nel 1959 dalla Montecatini; nel 1972 l’Ente Minerario Siciliano e l’ENI acquistarono la maggioranza della società e costituirono una nuova società ISPEA (Industria sali potassici e affini). La produzione di solfato potassico nel 1961 aveva raggiunto circa 150 mila tonnellate e si aggirò fra 250 e 300 mila t/anno negli anni Sessanta e Settanta; una parte di questi sali era addirittura esportata. Nella produzione di solfato potassico subentrò la società Italkali che chiuse le attività nel 1992, altro esempio di crescita e declino, dopo aver raggiunto un picco di produzione, delle merci. L’Italia ha però sempre dovuto importare cloruro di potassio per alcune centinaia di migliaia di tonnellate all’anno.
La produzione mondiale di sali potassici, espressi come K2O equivalente, ammontava nel 2013 a 36 milioni di tonnellate. Il principale produttore mondiale è il Canada, seguito dalla Russia, dalla Bielorussia, dalla Cina, da Israele e Giordania (che si dividono le acque del Mar Morto), e da altri. Nel 2013 l’Italia ha importato circa 30.000 t di sali potassici.